La seconda ondata di Covid-19 è arrivata, potentissima ed implacabile. Un ritorno di fiamma della pandemia che a luglio sembrava arginata e che ora si è rifatta sotto con grande forza, in Italia come in tutta Europa. Nonostante, a differenza di marzo, ora il virus lo si conosca e si sappia quali possono essere le misure da adottare per contrastarlo, la situazione è di nuovo critica e il ricorso alle chiusure anticipate di attività e il coprifuoco serale tornano in auge sul nostro territorio.
Il DPCM del 25 ottobre ha ratificato la chiusura anticipata di bar e ristoranti alle 18, la chiusura completa di palestre, piscine, il divieto di sport di contatto e tante altre limitazioni. A farne le spese maggiori sono ovviamente i titolari di tutte queste strutture colpite dal decreto, un decreto necessario per contenere l’avanzata del contagio che si fa sempre più insostenibile. A questo in Lombardia, una delle regioni più colpite dalla seconda ondata di coronvirus in italia, si era già aggiunto un coprifuoco serale dalle 23 alle 5 del mattino, un antipasto di ciò che sarebbe stato il DPCM di domenica scorsa.

Stefano De Gaspari, titolare de La Taverna Del Luppolo, birreria di Viale Milano a Gallarate che compie dieci anni dalla sua nascita, racconta la sua esperienza di titolare in questi mesi difficili dal primo lockdown ad oggi, gli sforzi fatti per poter andare avanti nonostante le chiusure, le restrizioni e le spese sostenute per poter riaprire il suo locale in sicurezza per tutti i clienti.

Quanto è dura tirare giù di nuovo la claire?
“E’ dura da un punto di vista emotivo, oltre che economico. Aver vissuto la speranza che tutto tornasse piano piano alla normalità, dopo tre mesi chiusi in casa e poi vedersi fermare di nuovo, un pochettino ti segna”.

Quanto sono stati duri i mesi di chiusura nel primo lockdown e quanto c’è lavoro c’è stato per seguire le indicazioni del Governo atte ad una riapertura in sicurezza?
“Dirò una cosa che è un po’ un contrasto. L’inizio del lockdown è stato meno preoccupante secondo me perché, essendosi sviluppata una malattia che non si conosceva e quindi non potendo immaginare i tempi di chiusura, molti possono aver pensato che fosse una cosa passeggera e abbiano sentito meno questa prima chiusura. Dopodichè ovviamente, con l’evoluzione della pandemia, ci si è resi conto della gravità della situazione e del pericolo, si è fatto tutto ciò che è stato indicato per riaprire in sicurezza, ma il ritorno di questo virus lascia preoccupati. La fatica fatta in questi mesi è stata molta, tre mesi di chiusura sono tanti ed ora che si stava ripartendo rientrare in questo vortice non è semplice e fa male. Per chi ha un’attività come la mia o chi ha ristoranti oppure bar, chiudere alle 18 è come stare chiusi tutto il giorno”.

Legato a questa chiusura anticipata alle 18, quanto pensi attività come la tua o quelle che tu hai citato possano andare avanti con il solo pranzo a fare da boa di salvataggio?
“Sicuramente questa situazione non può durare per tanto tempo. Tutti vivono con gli introiti serali e non del mezzogiorno. La speranza è che passi in fretta. Chiaro che se ci dicono che dal 24 novembre finisce il periodo di chiusura e si può riprendere, rimaniamo un po’ scottati ma vuol dire aver superato l’ultima fatica, se invece la cosa dovesse perdurare io non oso immaginare attività più grosse della mia come facciano ad andare avanti”.

Secondo te le misure adottate per la riapertura erano sostenibili?
“Per noi sicuramente sì. Se tu vai a fare un investimento per riprendere a lavorare, vai a riassorbire questo costo. E’ una situazione che nessuno si aspettava, dall’impresa più piccola a quella più grossa. In questa situazione bisogna rimboccarsi le maniche e fare qualcosa per andare avanti, e così è stato fatto nel mio settore. Il problema è che se continua ad essere una situazione perpetua, con la chiusura dei locali alle 18, diventa impossibile andare avanti”.

Tu pensi che sia stata una decisione giusta ed utile ai fini del contenimento del contagio quella di chiudere anticipatamente attività come la tua?
“Ho ribattezzato la sigla DPCM come il Decreto Per Contrastare la Movida. Il discorso è che purtroppo con tanti assembramenti e tante persone in giro è ovvio che aumentino i contagi. D’altra parte, non è nemmeno così semplice dare assoluta certezza che in un locale non possa avvenire nessun contagio, pur con tutte le misure di sicurezza del caso, perché se poi le persone si assembrano fuori siamo punto e a capo. La speranza è che in questo mese si veda un miglioramento di tutta la situazione. Se così fosse c’è margine per ripartire, altrimenti io penso servano altre misure ed aiuti, che comunque ci sono stati, per poter sostenere le attività e farle andare avanti”.

Alessandro Burin

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