Ogni domenica VareseSport ha raccontato, grazie ai propri inviati, le imprese sportive, grandi o piccole che siano, delle squadre del nostro territorio ma non solo. Calcio, basket, pallavolo, hockey e molto altro. E se per una volta fossero gli appassionati a raccontarci la loro storia, come loro hanno vissuto una grande impresa sportiva legata alla provincia di Varese, ma più in generale allo sport italiano?
Intendiamo quindi invogliare voi lettori a scrivere le vostre emozioni rispetto ad una partita di calcio, di basket o volley, un gol, un canestro o una metà vincente, una gara di nuoto o di canottaggio e così via che ha segnato la vostra vita e renderla un breve storia che vi pubblicheremo.

 

L’altalena del Camp Nou: Davide e la semifinale di Champions a Barcellona

La liturgia della semifinale si celebra spesso con molto più ardore dell’ultimo atto. Ripassando gli attimi più felici della propria vita sportiva, più nitido sarà il ricordo della penultima partita prima del trionfo. Che nella maggior parte dei casi si sarà conclusa ai supplementari, o perché no, ai rigori. Come se fosse necessario più tempo per sperimentare gioie e dolori che in finale lasceranno spazio alla più pura delle tensioni, inevitabilmente. Se poi capita di consacrare il tutto in terra iberica, che eternamente ritorna nel destino nostrano, allora il meccanismo riesce con ancor più naturalezza.

È la sera del 28 aprile 2010 e mancano esattamente due minuti al termine di una gara interminabile tra Barcellona e Inter. In palio un posto in finale di Champions League. Ce la racconta Davide 22enne di Saronno, nerazzurro sfegatato, all’epoca 12enne incollato al televisore di casa. Per la causa ha digerito l’1-0 di Piqué perché il risultato dell’andata, match finito per inciso 3-1 in favore della sua squadra, gli concede questa leggera serenità. È snervato dal continuo palleggiare di quei piccoletti in maglia blaugrana che ti consuma minuto dopo minuto. Benché in molti si siano spesi nel sottolineare l’importanza di esserci per gustare le reali sensazioni di una partita di calcio, Davide, che per la cronaca alla finale di Madrid ci sarà, riesce a sentire addosso il peso del Camp Nou, intravedendo una lieve goccia di fatica trasudare perfino dallo schermo.

Ero all’inferno di una partita disputata quasi interamente con un uomo in meno – racconta Davide – una partita combattuta e difficile emotivamente. E finalmente vedevo una luce in fondo al tunnel”. E proprio quando uno stadio mostruoso e un uomo in più – Thiago Motta fu espulso poco prima dello scoccare della mezz’ora – sembravano non bastare nemmeno a quei marziani, “ho vissuto in prima persona il più grande sbalzo d’umore della mia vita”.

MourinhoBojan entra in area, doppio tocco e destro all’incrocio. È la rete che qualifica gli uomini di Guardiola. Davide suda freddo, sente un brivido attraversargli la schiena. Cerca in qualsiasi cosa una valida spiegazione allo sgretolarsi istantaneo di quell’immensa fatica. Poi si accorge che qualcosa non va. Perché gli avversari non festeggiano? Un fischio lo scaraventa di nuovo nella realtà. Alza lo sguardo e vede l’arbitro annullare il gol per un tocco con il braccio. Torna il respiro, ancora per poco. Perché sì, è di nuovo tutto come prima, ma ci sono ancora una manciata di interminabili secondi che Davide vive letteralmente in apnea. E al fischio successivo, quello definitivo che mandò l’Inter in finale di coppa dopo trentotto lunghissimi anni, quando Mourinho liberò una corsa sfrenata dito al cielo in mezzo al campo, immaginiamo lui abbia fatto lo stesso.

Alessio Colombo
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