Era il 1967 quando Sergio Lanzarotti diede vita alla Lanzarotti Catering, azienda che da allora non ha mai smesso di mettere a disposizione qualità, ricercatezza e professionalità per qualsiasi tipo di evento. E continua a farlo anche nell’anno del Covid, quel 2020 che rischia di mettere in ginocchio parecchi settori, attraverso i tanti servizi che compongono l’universo Lanzarotti.
Perché Lanzarotti non è solo catering, ma un macrocosmo ben strutturato che come spiega uno dei tre soci Diego Taiano: “Coinvolge più tipologie di attività nel mondo del food, dal Pizza & Mozzarella nel milanese al Johnny Fox’s Irish Pub di Casorate Sempione con 496 posti a sedere, senza dimenticare il Lanzarotti Lunch di Gallarate specializzato in colazioni, pranzi, merende e aperitivi. Passiamo inoltre dal brand Sport Catering al Catering stellato, grazie alla collaborazione con Enrico Derflingher, premiato nel 2008 come “Miglior chef del mondo”, che nella sua gloriosa carriera culinaria è stato chef sia alla Casa Reale Inglese sia alla Casa Bianca. Abbiamo quindi una struttura ramificata, che ha radici profonde nel territorio: contiamo circa un centinaio di impiegati diurni, ma nei giorni più affollati a livello di eventi arriviamo anche a oltre 250”.

Viviamo un momento difficile per quanto riguarda la ristorazione; quali sono le restrizioni e i protocolli da seguire?
“Fino a quando non hanno ridotto a 30 il limite di persone per un dato evento, la prima e sostanziale differenza rispetto al passato riguardava l’eliminare il più possibile i punti di contatto tra i partecipanti. In pratica è stato eliminato il buffet self-service, a meno che non lo si volesse realizzare solo visivamente, trasformandolo in monoporzioni. La gestione degli spazi è cambiata al fine di garantire il distanziamento, per cui i tavoli da dieci e da otto sono diventati rispettivamente da sei e da cinque, e chiaramente si preferiva organizzare in esterna. L’evento aziendale è stato di fatto annientato, azzerato, e riposizionato sul lunch box monoporzione”.

Per quanto riguarda la gestione sanitaria, invece, come vi siete mossi?
“Ci siamo chiaramente uniformati alle normative anti-Covid, dalla misurazione della temperatura corporea all’igienizzazione costante degli ambienti, ma va detto che noi abbiamo sempre messo al primo posto la sicurezza e la tutela delle persone a livello igienico-sanitario. Lanzarotti Catering è una realtà con Sistema di Gestione Qualità certificato UNI EN ISO 9001:2015 e Sistema di Gestione per la Sicurezza Alimentare certificato UNI EN ISO 22000, standard di riferimento in materia di sicurezza alimentare e protocolli HACCP (Analisi dei Rischi e Controllo dei Punti Critici, ndr)”.

La situazione odierna ricorda molto quella di marzo; come siete usciti dal lockdown?
“La nostra politica societaria, da sempre, è improntata su un rapporto diretto con dipendenti e clienti, i quali si affidano molto a noi. Attraverso il dialogo costante e bidirezionale si è venuto a creare un rapporto di collaborazione che ci ha permesso di fronteggiare al meglio una situazione del genere. Le direttive del Governo non sono state chiare, motivo per cui abbiamo cercato di temporeggiare e mantenere la calma investendo ancor di più su noi stessi. Nel momento in cui c’è stata la riapertura in termini produttivi abbiamo dato maggior valore a ciò che facevamo, aumentando il personale e riuscendo così a rispettare al meglio tutti i protocolli. Non abbiamo tagliato le spese, ma abbiamo investito, e dal punto di vista del brand questa è stata un’ottima opportunità. Poi è chiaro che a livello economico sia stata una situazione disastrosa: abbiamo da recuperare qualche centinaia di migliaia di euro, ma per farlo ci vorrà del tempo. La cosa più importante, comunque, è che noi abbiamo gestito un momento difficile con calma, investendo sulle risorse umane in modo tale da far capire al mercato che noi ci siamo”.

A livello di organizzazione eventi quanto avete perso rispetto al 2019? Gli aiuti economici da parte del Governo sono arrivati?
“Pensiamo di registrare circa il 75% di eventi in meno rispetto all’anno scorso. Per quanto riguarda gli aiuti economici abbiamo ricevuto il 10% del fatturato perso ad aprile, ma noi non chiediamo soldi perché è evidente che non navighiamo in cattive acque: chiediamo di poter lavorare. Non siamo abituati a star fermi e attualmente siamo un motore freddo da rimettere in moto: per quanto ci riguarda il problema non è economico, ma psicologico e organizzativo perché sarà difficile riequilibrare il tutto da questo punto di vista”.

Si potrà tornare alla normalità?
“Credo che una normalità si avrà a fine aprile 2021, ma con la mascherina. In quel periodo inizierà la ‘seconda stagione’ e a lungo andare ci si abituerà: se prima ci si dimenticava sempre la mascherina, ora è diventata un’abitudine portarla. Io parlo di normalità in questi termini, perché credo non si potrà più tornare a cinque anni fa dato che è cambiato proprio il modo di fare delle persone; se non altro è stata trasferita a tutti una consapevolezza igienico-sanitaria di base”.

Come valutate la gestione della situazione da parte del Governo?
“C’è stato un evidente ritardo per quanto riguarda la previsione. Va bene non sapere come muoversi nelle prime due o tre settimane di lockdown, ma abbiamo passato 72 giorni fermi senza avere indicazioni su come prepararci per il dopo. È impossibile che Ministeri con migliaia di persone al loro interno non riescano a legiferare sui vari settori: hanno decretato in maniera generalizzata, senza tener conto della capillarizzazione del territorio che poteva esser data dalla Polizia Municipale o dalle ASL. È questo secondo me lo snodo centrale: non c’è stata organizzazione tra le parti e ognuno ha dato la sua interpretazione. Ripeto, va bene un primo momento di sbandamento, ma dopo serve chiarezza: noi abbiamo scritto da soli la procedura aziendale anti-Covid e non abbiamo saputo nulla in merito. Ciò cosa vuol dire? Che possiamo decidere noi i cartelli da usare? Che possiamo interpretare a nostro piacimento il “sanificare spesso”? Che possiamo usare qualsiasi strumento per rilevare la temperatura corporea? Io, così come tanti altri, ho una PEC, potevano mandarci un messaggio indicando step-by-step cosa fare per essere a norma; invece non c’è stato alcuni tipo di assistenza”.

Tornando sulla crescita del brand, un’ottima vetrina è stato il Giro d’Italia 2020. Com’è nato questo sodalizio e come vi siete organizzati?
“Le trattative c’erano già da tempo e, grazie alla nostra attività commerciale interna, abbiamo stipulato un biennale con RCS che ci ha permesso di strutturare tutte le hospitality, sia per le partenze sia per gli arrivi, del Giro d’Italia. Creando il brand Sport Catering sono entrati dei soci che avevano già esperienza in quel settore, il che ci ha permesso di gestire al meglio ogni aspetto: avevamo due strutture mobili con lavastoviglie, acqua potabile di carico e di scarico, gruppi elettrogeni, fornelli e tutto l’occorrente. La macchina organizzativa del Giro d’Italia è stupefacente: in poco più di mezzora venivano montate e transennate tutte le aree e l’efficienza si è vista anche in termini di procedure anti-Covid, dato che ci sono stati pochissimi casi isolati. Durante i 21 giorni di corsa ci aspettavamo di ricevere un migliaio di persone quotidianamente, ma in realtà c’è stata un’affluenza del 30%. È stata comunque un’esperienza unica che ci ha portato ad avere una trentina di persone in movimento per tutta Italia, più visibilità e maggior consapevolezza. Ovviamente puntiamo a migliorare anno dopo anno sotto tutti i punti di vista”.

A proposito di miglioramenti, quali sono gli obiettivi a medio/lungo termine?
“Internazionalizzare il brand: che sia Europa, New York, il Medio Oriente o l’Oriente, vogliamo continuare a crescere. È la nostra naturale vocazione e andrebbe a concludere il percorso che ci ha portato dalla provincia alla Regione e successivamente alla Nazione. Tutto questo, ovviamente, insieme a persone, strutture, cobrand e altri marchi; ad esempio la vocazione di Sport Catering dovrebbe portarci alle Olimpiadi. Dobbiamo poi continuare, come sempre, a lavorare su noi stessi: nei prossimi anni ci vediamo ovviamente sul territorio con il tradizionale contatto personale a qualsiasi livello”.

Per concludere, su quale mercato potreste orientarvi? E Come?
“Direi Cina. Il Made in Italy è ciò che interessa l’estero, perché noi italiani facciamo le cose con spirito e qualità inferiori a nessuno. L’Europa è forse più “provinciale” rispetto a ciò che potrebbe fare l’Oriente, ma in ogni caso già solo con le ambasciate si potrebbe fare tantissimo. È chiaro che mercati più chiusi, ma di assoluto livello come New York, sono percorribili solo parzialmente perché ormai sono saturi di Made in Italy; non la Cina, che ne è invece affamata. E noi ci saremo, che sia per consulenza o per organizzazione in proprio, Lanzarotti Catering risponderà presente”.

Matteo Carraro

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