Passione, determinazione, e tanta voglia di fare. Il tutto, con un pizzico di follia, quella che basta per permetterti di sognare ad occhi aperti e, perché no, di raggiungere traguardi inimmaginabili. Possiamo descrivere così la carriera di Fabrizio Cacciatore. Partito dalla C2 con l’Olbia, è arrivato a segnare e giocare in Europa, nonostante il suo percorso non sia stato sempre tra i più facili. Per lui, anche una stagione a Varese da protagonista. Trasferitosi in Lombardia nell’estate del 2011, Fabrizio ha contribuito in maniera importante a costruire la squadra dei record, quella formazione che, come lui, stava sognando l’approdo definitivo in massima serie, salvo poi doversi svegliare, proprio sul più bello, e arrendersi alla corazzata Sampdoria ad un passo dal traguardo. Destino beffardo il suo, eliminato dalla stessa squadra che ne deteneva il cartellino, ma autore, in ogni caso, di ottime prestazioni. Per dimostrarlo, basta leggere i numeri: 38 partite giocate e 3 gol, considerando anche Coppe e Playoff. Mai così bene in carriera, evidentemente aiutato da un ambiente che ha saputo accoglierlo nel migliore dei modi, e da cui, evidentemente, è riuscito subito a farsi apprezzare.

Partiamo dalle primissime tappe della tua carriera. Ha iniziato nelle giovanili della Juventus, per poi passare tra le fila di Torino e Sampdoria.  Eri poco più di un bambino, ma evidentemente avevi già il sogno di calcare palcoscenici importanti. Che esperienze sono state? 
“Quando sei molto piccolo è normale che hai il sogno di giocare in grandi squadre, non conosci ancora quali sono realmente i tuoi mezzi ed hai grandi ambizioni. A mano a mano che vai avanti con gli anni, però, cominci a capire quali sono i veri traguardi, quelli che vuoi e puoi ottenere”.

Però se penso alla Juventus e alla carriera di Cacciatore, mi vengono in mente subito due episodi. Il primo: siamo nella stagione 2017/2018 e vesti la maglia del Chievo. Nella gara contro i bianconeri, dopo un cross in area di Jaroszynski, vieni colpito da un avversario e rimani a terra. Segue qualche “incomprensione” con l’arbitro Maresca ed esci dal campo mimando il gesto delle manette in segno di protesta. Ricordi cosa è successo esattamente?
“Certo che mi ricordo (ride, ndr). La faccio breve, anche perché ti dico subito che stavamo facendo una grande partita. Però si sa, quando giochi contro la Juventus alcuni episodi non saranno mai a tuo favore. La nostra gara era stata ottima fino a quel momento, nonostante fossimo già in 10 per l’espulsione di Bastien nel primo tempo. Stavamo facendo una gara stupenda, però ti dà fastidio quando alcuni episodi, che possono essere anche piccoli come può essere un fallo a metà campo, non vengono fischiati. Magari in TV non si vedono tante cose, ma in campo sai perfettamente cosa succede, e rovinare così una partita perfetta, come la nostra, non è mai piacevole.

Contro i bianconeri, però, ti sei tolto anche una bella soddisfazione. Sempre a Verona, questa volta sponda Hellas, segni allo Stadium il gol del momentaneo vantaggio degli scaligeri, con un’esultanza che ancora oggi fa il giro del web. Tanta gioia forse è dovuta al fatto che, per un torinese, segnare alla Juventus è qualcosa di speciale.
“Assolutamente sì, il primo gol in Serie A, per giunta davanti ai tuoi amici, è un’emozione che non dimentichi. Diciamo che tutti questi elementi messi insieme mi hanno fatto esplodere, nel vero senso della parola”.

Tra l’altro in quel Verona c’erano alcuni giocatori importanti, compreso un giovane Jorginho che si stava affermando a buoni livello proprio in quegli anni. Possiamo dire che già allora avesse una marcia in più? Magari anche nello spogliatoio aveva già comportamenti da leader.
“Era giovane, ma si vedeva che avesse già qualcosa di diverso. Al Napoli non ha fatto altro che consacrarsi, riuscendo ad esprimersi al meglio nel suo ruolo naturale. Tra l’altro non ci scordiamo che in squadra c’era anche Toni, un giocatore fantastico. Alla sua età avere certi numeri non è alla portata di tutti”. 

Torniamo a te e agli inizi della tua carriera. In un’altra intervista hai dichiarato che per arrivare in massima serie hai fatto un po’ più di fatica rispetto ad altri ragazzi. Sei dovuto ripartire dalla C2, mentre altri hanno fatto subito l’esordio in categorie più importanti. Forse dovevi ancora maturare un po’ come calciatore?
“Ho fatto semplicemente la gavetta, che ai miei tempi era più difficile, soprattutto nella primavera di squadre come la Samp. Ricordiamo che in Serie A e in Serie B ci andavano i ragazzi delle giovanili di Juve, Milan e altre grandi squadre, è normale che se militavi in formazioni come la mia non avevi le stesse agevolazioni. Diciamo che, a differenza di chi militava nelle big, noi non avevamo mai la strada spianata, anche se a livello tecnico non eravamo inferiori ad altri”. 

La tua occasione, però, arriva nella stagione 2008-2009. Ti chiama la Triestina, con cui collezioni 36 presenze e totalizzi più di 3000 minuti in campo. Possiamo dire che, per essere l’esordio in cadetteria, non è andata affatto male.
“Fortunatamente avevo un mister che mi apprezzava, una società che credeva in me e una grandissima squadra alle spalle. In fin dei conti è andato tutto bene, non ci siamo qualificati ai playoff per un nulla, considerando anche che agli spareggi di allora partecipavano meno squadre rispetto ad oggi. In definitiva, però, ho ottimi ricordi di quell’ambiente”.

Tra le righe mi hai fatto una citazione importante, perché a Trieste hai incontrato per la prima volta Rolando Maran. Una storia che sarà destinata a ripetersi nel tempo e un rapporto con il mister che, almeno dall’esterno, appare decisamente forte. È una persona a cui sei particolarmente legato?
“Io dovrò sempre ringraziare il mister per quello che ha fatto, sia con me che, in generale, con la squadra. Ha avuto il merito di lanciarmi in Serie B, e a Varese siamo stati ad un passo dall’impresa di raggiungere la massima serie. Sono stato contento di averlo incontrato nuovamente al Chievo e al Cagliari, dove ormai ero diventato un calciatore maturo”. 

C’è un lato di Fabrizio Cacciatore che mister Maran ha avuto il merito di cambiare radicalmente? O meglio, c’è un punto su cui, grazie a lui, hai lavorato in maniera importante, umanamente e calcisticamente parlando? 
“Sicuramente la concentrazione durante la partita, perché in alcune gare peccavo un po’ su quello. È stato sempre il mio punto debole, quel lato di me che, forse, non mi ha permesso di fare un altro tipo di carriera, per quanto sia soddisfatto di quello che è stato il mio percorso”.

Mi hai citato giustamente Varese. Sei rimasto solo un anno, ma l’hai descritta come un’esperienza fantastica. Che ricordi hai di quella stagione?
“Di Varese porterò sempre dentro il campionato che abbiamo fatto, nonostante non fossimo partiti benissimo con mister Carbone. La squadra arrivava da due grandi stagioni, non era assolutamente facile ripetersi, ma siamo riusciti addirittura a migliorare quanto di buono era stato fatto in quegli anni. Abbiamo fatto un cammino importante, ho ricordi assolutamente positivi di quella piazza”.

Perché con Carbone le cose non hanno funzionato? In 7 partite appena una vittoria, un bottino assolutamente troppo magro per una squadra come la vostra.
“Da quello che mi ricordo giocavamo anche abbastanza bene, però forse al mister mancava un po’ di carisma. Al contrario di Maran, Carbone non aveva il polso giusto per riuscire a gestire la squadra, ma è anche vero che queste sono cose che si imparano con l’esperienza. Carbone era ai primi anni della sua carriera da allenatore, mentre Rolando aveva già allenato diverse squadre. Era sicuramente più preparato”.

Tra l’altro toglimi una curiosità. Hai perso la finale playoff contro la Sampdoria, che però in quel momento era anche la squadra che deteneva il tuo cartellino. Che sensazione prova un calciatore nella tua condizione? Tu, in ogni caso, avresti potuto giocare in Serie A nella stagione successiva.
“Eh, non è una situazione facile (sospira, ndr). Diciamo che sentivo qualcosa di strano, però perdere la finale contro la Samp mi ha dato tremendamente fastidio. Avermi mandato via da Genova l’ho vista un po’ come una bocciatura da parte loro, e vincere quella partita sarebbe stata una rivincita clamorosa a livello personale”.

C’è un giocatore di quella squadra che, all’epoca, ti aveva colpito particolarmente? O magari qualcuno con cui hai stretto un legame più forte che con altri. C’era gente come Kurtic, ma anche Neto Pereira, De Luca o Pucino.
“Ti dico la verità, con i ragazzi di quel Varese ho perso un po’ i contatti. Sono passati diversi anni, non ho sentito quasi più nessuno. Ogni tanto mi tengo in contatto con Terlizzi, mentre con Jasmin (Kurtic, ndr) ci ho giocato contro. Lui ai tempi era ancora molto giovane, non possiamo fare un discorso come quello di Jorginho. Non si conoscevano tutte le sue doti, era sicuramente molto forte ma era appena arrivato dal Palermo e doveva ancora dimostrare tanto”.

Oltre la finale persa hai, a livello personale, un rammarico per come è andata quella stagione?
“Assolutamente no, in quella stagione ho fatto anche 3 gol ed è andato tutto piuttosto bene. Ad un certo punto ho avuto un periodo di calo, ma credo che sia anche fisiologico. Quando sono rientrato l’ho fatto alla grande, peccato solo per la promozione mancata”.

A fine anno torni a Genova prima di essere girato di nuovo in prestito, questa volta a Verona. Banalmente, non potevi rimanere a Varese? La società aveva il diritto di riscatto sulla comproprietà, non hanno provato a farti rimanere?
“Parlo sinceramente, trattative non ce ne sono mai state. Non so se hanno parlato con il mio procuratore, a me non hanno mai detto nulla. Anche perché quell’anno avevano tenuto Pucino, c’era Fiamozzi e hanno deciso di puntare su di loro. Diciamo che la società ha fatto le sue scelte, ma anche io speravo vivamente di trovare una sistemazione in Serie A”.

Quando parli di voler approdare in Serie A, ti riferisci anche all’Atalanta? Ho letto che in quell’estate avevano provato a portarti a Bergamo.
“No, che io sappia non c’è mai stata nessun’offerta. Ripeto, magari hanno parlato con il mio procuratore, ma a me non è arrivato niente”. 

Nella stagione 2010/11, però, avevi raggiunto addirittura l’Europa, segnando anche un gol contro il PSV. Che emozione è stata?
“Semplicemente bellissima. Non me lo sarei mai aspettato, per un ragazzo come me che è partito dalle categorie inferiori era davvero un sogno che stava diventando realtà. E poi diciamocelo, il loro è uno stadio di una certa importanza, non ho fatto gol ad una di quelle squadre di cui a stento si conosce la provenienza. E’ stato davvero qualcosa di indimenticabile, lo aggiungo con fierezza al mio curriculum”.

Ma in quella Samp cosa è successo di preciso? Eravate in Champions, poi siete scesi in Europa League e a fine stagione siete addirittura retrocessi. C’è stato evidentemente qualcosa che non ha funzionato.
“Sai, quando viene a mancare il progetto diventa tutto difficile. C’era l’idea di vendere i pezzi più importanti, sono partiti Pazzini, Cassano e tanti altri. A fine anno non c’era nemmeno più Palombo, ma quando ci sono dissapori interni succedono queste cose. Io alla fine ero ancora un ragazzino, non conoscevo bene come funzionassero certe dinamiche, ma loro erano giocatori affermati e di un certo livello”.

Però mi hai parlato di “volontà” di vendere i pezzi pregiati, capisci che è un’accusa importante nei confronti della Sampdoria.
“Con l’eliminazione dalla Champions la società probabilmente aveva pensato che nemmeno l’Europa League potesse essere alla portata. Non abbiamo nemmeno passato il turno, e in quel momento non ti dico che l’idea fosse di smantellare, ma sicuramente c’era la volontà di “fare cassa”. Comunque per una società come la Sampdoria c’è sempre bisogno di monetizzare, almeno che non riesci a fare un percorso come quello intrapreso dall’Atalanta negli ultimi anni”.

In chiusura. Sei passato anche per Siena, dove hai incontrato Antonio Conte. In quell’avventura sei sceso in campo appena 6 volte, non sentivi fiducia da parte sua?
“No, il problema non era la fiducia. Lui è sempre stato molto diretto, è una persona maniacale nella cura dei dettagli ma anche molto schietta. Mi ha sempre detto che non voleva modificare determinati equilibri, la squadra stava andando bene e voleva continuare con quell’assetto, anche se giocava qualcuno con qualità che potevano essere inferiori rispetto alle mie. Aggiungiamoci il fatto che sono arrivato l’ultimo giorno di mercato, capisci bene che non è stato facile inserirmi in quell’ambiente”. 

A Cagliari invece? Come mai non sei riuscito a trovare l’accordo per il rinnovo? Mancanza di intesa con Zenga?
“Sinceramente non ho mai ricevuto nessuna proposta concreta dalla società. Mi aspettavo un segnale da parte loro, e se non volevano propormi il rinnovo immediato potevano almeno provare a convincermi con qualche incentivo. E invece niente, nemmeno qualcosa come “valutiamo a fine stagione”, e alla fine con il mio procuratore abbiamo deciso di guardare altrove. Per quanto riguarda Zenga non c’è mai stato nessun problema, lui voleva farmi restare, ma la società alla fine ha fatto le sue valutazioni”.

L’ultimissima. Recentemente sei dovuto intervenire in prima persona sui social per smentire alcune voci che mettevano in dubbio le tue condizioni fisiche. Il tutto dopo che ti aveva cercato il Pescara, con cui, alla fine, non sei riuscito a trovare un accordo. Riesci a riassumermi come è andata davvero con gli abruzzesi?
“Considera che la trattativa ormai era fatta, mi sarei dovuto trasferire a breve ma ad un certo punto qualcuno da Cagliari ha parlato con il presidente ed è saltato tutto. Sicuramente questa persona voleva mettermi i bastoni fra le ruote”.

A chi ti riferisci di preciso?
“Sinceramente non lo so, ma non è questo il punto. Probabilmente non saprò mai chi è stato, ma qualcuno ha parlato. Purtroppo è andata cosi, il Pescara poi ha cercato di far passare il messaggio che a loro servisse un difensore centrale e non io, ma la verità non è assolutamente questa. Se al presidente del Pescara hanno detto che le mie condizioni non erano buone, è normale che si sia spaventato”.

Per il futuro? Sfumato l’approdo al Pescara, hai qualche altro progetto?
“Cerco semplicemente qualche sistemazione che possa darmi stimoli, con il mio agente stiamo cercando qualche situazione adatta a me”.

Puoi anticiparci qualcosa? 
“Stiamo valutando tutto, c’è qualcosa di concreto ma dobbiamo capire cosa succede con diversi club. Non posso dirti di una squadra in particolare, ci sono tanti progetti sia in Serie A che in B, dobbiamo capire bene cosa può fare davvero al caso nostro. Le rose ormai sono complete, non è facile muoversi. Qualche società mi ha dato un feedback positivo ma c’è sempre il problema di voler valutare i giocatori attuali prima di prendere una decisione definitiva”.

Gabriele Rocchi

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