La sospensione dei campionati dilettantistici, abbinata alle misure restrittive imposte dal nuovo lockdown, obbliga i moltissimi calciatori della nostra provincia a trascorrere un periodo di fermo lungo almeno fino a gennaio prossimo. Non sono però i soli, poiché a far loro compagnia sono anche gli atleti che valicano il confine per giocare nel Canton Ticino. La Federazione Ticinese Calcio, infatti, a seguito delle ordinanze espresse dal Consiglio Nazionale svizzero, ha sospeso le attività fino al 12 novembre, data che coincide con l’ultima giornata del girone d’andata e alla quale seguirà la lunga pausa invernale. Il tema del frontalierato coinvolge quindi anche la sfera sportiva, attraverso decine di ragazzi che scelgono di provare nuove esperienze. Ma quali differenze ci sono tra i due movimenti calcistici? 
Roberto Ciullo, centrocampista varesino del Ligornetto (Terza Lega) con vari trascorsi nel nostro territorio, prova a rispondere a questo quesito: “In Svizzera il clima è più disteso, ci sono meno pressioni. Il gioco è più fisico, si corre tanto e ci si contrasta molto, ma a fine partita cessa ogni ostilità. Il numero degli italiani presenti qui è alto”. 

Soffermiamoci proprio su quest’ultimo punto: secondo te perché tanti ragazzi passano dalla provincia di Varese al Canton Ticino?
“Penso che le motivazioni siano varie, non c’è una verità assoluta. Sicuramente molti scelgono di giocare qui perché già ci lavorano, quindi può risultare comodo andare ad allenarsi una volta terminato il turno. Un altro fattore che può invogliare a scegliere una società elvetica è la durata annuale dei contratti. A fine stagione un calciatore può decidere di rimanere oppure di cambiare squadra. In Italia, invece, essi possono essere più lunghi e questo può non piacere a tutti. I rimborsi spese non credo rappresentino una particolare attrattiva, poiché sono in linea con quelli italiani. Certo, ci sono società che possono pagare meglio di altre, ma questo avviene dappertutto. È difficile definire una ragione specifica. Io, ad esempio, sono arrivato qui tre anni fa grazie alla proposta di un amico e ancora oggi giochiamo assieme. Ci tengo che passi un messaggio: non sta a me dire o decidere quale movimento calcistico sia migliore. Il mio è soltanto un paragone basato sull’esperienza personale ed è naturale che qualcuno possa non rispecchiarsi nelle mie parole”.

Prima accennavi ad un clima maggiormente disteso che si respirerebbe nel calcio ticinese. Da cosa lo percepisci?
“Qui devo fare una precisazione: io sono stato fortunato. A Ligornetto si è creato un legame veramente forte, con una grande coesione tra squadra e società. Per non parlare del bel rapporto con i compagni, è come essere in famiglia. Non so quale aria si respiri negli altri club, ma sicuramente si vive il calcio con più tranquillità. Una partita può essere molto dura e possono volare parole grosse, ma una volta sopraggiunto il triplice fischio dell’arbitro, si chiudono anche gli scontri. Senza alcun problema ci si ferma con gli avversari per bere una birra assieme, parlando del match e scherzandoci sopra. Per quanto mi riguarda, credo che in Italia si generi qualche aspettativa di troppo, che finisce per ripercuotersi anche sull’umore dello spogliatoio”.

Quali differenze hai riscontrato sul campo?
“Sono due stili differenti, due modi diversi di intendere il gioco. Il nostro Paese è più avanti per quanto riguarda l’aspetto tecnico-tattico, c’è tanta attenzione verso i dettagli. In territorio elvetico, invece, sono le prestazioni fisiche a farla da padrone. Corsa, forza, resistenza e ruvidità sono le prerogative. Grazie alla quantità di giocatori provenienti dall’Italia, anche la qualità ne sta beneficiando. Si sta avvertendo una crescita generale”.

Allievi Valceresio Audax – Stagione 2011-2012

L’emergenza sanitaria si è fatta sentire in maniera significativa anche in Ticino. La Federazione come ha gestito le difficoltà generate dalla prima e dalla seconda ondata?
“La scorsa stagione ricordo che avevamo appena iniziato il girone di ritorno quando la FTC ha decretato la fine dei campionati, senza vincitori né vinti. A luglio abbiamo fatto la preparazione estiva, cercando di rispettare alcuni protocolli di sicurezza e a fine agosto è cominciato il nuovo torneo. Siamo riusciti a giocare cinque partite, prima che sopraggiungessero i nuovi stop e si arrivasse alla sospensione ufficiale di pochi giorni fa. Inizialmente l’intenzione era quella di non fermarsi, ma dopo la stretta imposta dal Governo nazionale, la Federazione ha dovuto attenersi”. 

Torneresti a giocare a giocare in patria qualora te lo proponessero? Hai già avuto qualche offerta?
“A dire il vero nessuno mi ha ancora proposto di tornare. Mai dire mai, ma io attualmente sto bene qui. Sono felice di essere capitato in un club come il Ligornetto, una società gestita in maniera semplice ma efficace. Siamo come una grande famiglia, perciò non ho motivi per cambiare. Ho 25 anni e gioco a pallone da circa venti, tre quarti dei quali trascorsi in provincia di Varese. Ora la mia realtà è questa e voglio godermi il momento, sperando che duri a lungo”.


Dario Primerano

(foto Flavio Monticelli)

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