Facciamo il punto. E (fidatevi), è tutt’altro che semplice. Andiamo per ordine. Lunedì 8 il Consiglio Federale è chiamato a deliberare sul format con cui la Serie C dovrà chiudere la stagione 2019/2020. La partecipazione assertiva del presidente Gravina al Consiglio Direttivo di Lega Pro di venerdì 29 lascia intendere che le proposte emerse in quella sede possano essere approvate anche dal consesso della FIGC. Cioè, promozione diretta di Monza, Vicenza e Reggina; finale di Coppa Italia come primo impegno alla ripresa; playoff su base volontaria per le aventi titolo; retrocessione diretta di Gozzano, Rimini, Rieti (più Rende e Bisceglie); playout per i soli Gironi A e B. Tutto deciso quindi? Eh, magari… Perché in questi ultimi giorni la maggioranza quasi unanime che giovedì 7 maggio aveva votato per la sospensione definitiva del campionato si starebbe frammentando.

La maggioranza sai è come il vento. La fronda (innescata dai club destinati alla D a tavolino ed allargata a chi, pare, vorrebbe addirittura il ritorno alla normalità con regular e post season), farebbe leva sulla scadenza prorogata al 20 agosto per la chiusura della stagione e sulla contrarietà dell’UEFA alle promozioni dirette a campionato non concluso. Al momento, un manipolo di una dozzina di società che potrebbe però rinfoltirsi ponendo Ghirelli nella scomodissima posizione di affrontare il Consiglio Federale da virtuale sfiduciato. Perché virtuale? Perché l’Assemblea di Lega che potrebbe metterlo in minoranza necessita di 7 giorni di preavviso e non può dunque essere convocata prima dell’8. Un discreto papocchio. Già, perché domenica 7 andrà in scena una riunione informale che non potrà però avere nessun valore deliberante. Se non quello di smascherare il clamoroso cortocircuito che sta dilaniando la Serie C. Una categoria marginalizzata dagli eventi e bisognosa di una riforma immediata. Non certo aspettando (forse) il 2021/2022.        

Tutto tutto niente niente. Quindi? Lo scenario più plausibile resta quello di cui sopra salvo playout estesi anche alle 5 (potenziali) retrocesse. Compromesso che delegherebbe al campo ogni verdetto e solleverebbe (forse) la Federazione dalla lunga teoria di ricorsi estivi. Il nodo è però un altro. Allo stato, nessun club di terza serie sta svolgendo allenamenti di gruppo (solo in forma frazionata) e pochissimi (il Padova è partito ieri) hanno già avviato l’iter sanitario di tamponi e test sierologici. Sempre che non venga ammorbidito l’attuale protocollo, come si può pensare di tornare in campo entro 2/3 settimane? Non solo. In Lega Pro, tra il 65 e il 70% dei tesserati ha contratti in scadenza il 30 giugno. Chi non ha già risolto il problema in autonomia (una sparuta minoranza), rischia seriamente di giocarsi così la stagione a rosa decimata. Fantascienza? Per nulla. Anzi, ad oggi, la nuda (e cruda) realtà. Insomma, l’affare si ingrossa. Con una serie di grane che (come d’incanto) la FIGC dovrebbe però spazzare via lunedì 8. Possibile? Certo. Ma non diamolo per scontato.                                                  

Giovanni Castiglioni  

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