Massimo Ferraiuolo fa il punto sulla Pallacanestro Varese che sarà, con un occhio a ciò che sarebbe potuto essere quest’anno ed il rammarico per non aver potuto assistere ad una seconda parte di stagione che si preannunciava entusiasmante dopo gli arrivi di Carter e Douglas.

Che stagione era stata quella di Varese fino allo stop?
“Al netto del normale periodo di rodaggio, dovuto al fatto che ogni anno dobbiamo cambiare praticamente tutta la squadra, mi sembrava che avessimo trovato la quadratura del cerchio. Oltretutto resta il rammarico per aver ingaggiato due giocatori importanti come Carter e Douglas e, ahimè, di non averli mai potuti vedere all’opera. Carter in un mese di allenamenti aveva già dato l’idea di poter essere un importante collettore tra gli esterni, ciò che era un po mancato nella prima fase di campionato. Douglas invece in pochi giorni aveva dimostrato non solo, di avere delle qualità tecniche indiscutibili per un giocatore di quel livello ed esperienza, ma soprattutto di essersi presentato con umiltà per integrarsi al meglio in una nuova realtà, che magari per lui era di livello inferiore rispetto al quale era abituato a giocare, ma capendo come avrebbe potuto essere importante per la nostra squadra e che si sarebbe anche potuto divertire nel contesto Varese. Quindi il bilancio fino allo stop è stato positivo, resta forte il rammarico per non aver potuto assistere al nuovo volto della squadra, alla luce di match importanti che ci aspettavano e che avrebbero fatto anche divertire i tifosi”.

Ti intriga il progetto di una Varese giovane e sempre più italiana, capace di creare un forte legame con la città ed i tifosi?
“Con me sfondi una porta aperta. Quando giocavo io gli stranieri erano solo due e gli italiani davano sempre un’impronta fortissima alla squadra. Al di là degli ottimi risultati che abbiamo conseguito in quegli anni è facile immaginare come il legame tra la città ed i giocatori che da essa provenivano, e poi giocavano nella prima squadra, potesse essere forte. Io sono da anni a favore di questa direzione. E’ tempo che  proviamo ad andare nella direzione di un 5+5 e di provare a dare un imprinting un po più italiano alla squadra. E’ chiaro che non è facile perché il mercato dei ragazzi azzurri in Italia non è così ampio però, anche in base alle scelte che stiamo facendo sul mercato, che possono sembrare ardite e coraggiose, sono il giusto punto di partenza per avere una crescita continua negli anni di questo progetto, che può portare grandi dividendi in termini di risultati, di crescita degli stessi giocatori, e di identificazione dei tifosi nella squadra, un po com’è stato con il nostro capitano Giancarlo Ferrero negli ultimi anni”.

Quanto può essere importante il fattore Caja, capace di valorizzare al massimo anche i giovani che ha a disposizione, nello sviluppo di tale processo?
“La capacità di Attilio è proprio quella di riuscire a tirare fuori il meglio dai propri giocatori, permettendo a tutti di avere un ruolo importante all’interno della squadra. Oltre all’esempio di Ferrero potrei farti l’esempio di Matteo Tambone, ragazzo che in pochi anni è diventato un giocatore importante nel panorama nostrano. Un altro esempio che mi vien in mente è quello di Nicola Natali, un ragazzo che, nonostante non avesse mai calcato i parquet della massima serie, a Varese è riuscito a costruirsi un suo ruolo ed assumere una certa importanza nell’economia della squadra. Per cui, un allenatore come Caja, nonostante possa essere duro ed esigente nel lavoro quotidiano ed in ciò che richiede ai suoi giocatori, è capace di cavare fuori il sangue dalle rape come si suol dire, valorizzando al massimo la rosa che ha e permettendo alle squadre che allena di ottenere ottimi risultati nelle proprie annate”.

Il giocatore che negli anni ti ha impressionato di più per la crescita che ha fatto?
“Il giocatore a cui sono più legato è senza dubbio Aleksa Avramovic. Con lui ho stabilito un rapporto quasi fraterno e mi fa piacere che mi chiami ancora a volte per chiedermi consigli. E’ un ragazzo che è cresciuto moltissimo nella sua esperienza qui a Varese, nonostante abbia avuto momenti molto difficili in questi anni. Un ragazzo molto serio, che non si lamentava mai e che con la continua applicazione sul campo e l’impegno è riuscito a raggiungere i risultati che tutti abbiamo visto, non solo a Varese ma anche in campo europeo, con la nazionale Serba. Dal punto di vista puramente tecnico il giocatore però che più mi ha sorpreso per la sua crescita è stato Okoye. Ad essere sincero, dopo la sua prima esperienza a Varese, non avrei pensato che Stan potesse avere una carriera così importante. Invece anche lui, che è una persona molto seria e dedita al lavoro, fatta la sua gavetta in A2, quando è tornato da noi ed ha trovato il suo ruolo ideale da 3 e non più da 4, è esploso facendo un anno clamoroso con noi e poi altre due annate ottime in un campionato, quello spagnolo, che non è certo dei più facili”.

Ci dobbiamo aspettare un basket sempre più polarizzato agli estremi dopo questa crisi economica, o tutto il movimento può riallinearsi e trovare maggiore equilibrio?
“Ti dico la verità, spererei che le cose possano andare verso quest’ultima direzione, anche per avere un campionato più appetibile. La realtà, che poi è avvalorata dalle scelte sul mercato che la stessa Milano, Bologna, Brescia, Sassari, stanno facendo, ecco dimostrano come non abbiano più di tanto risentito di questo momento e che anzi siano sempre più proiettate verso una dimensione europea più che italiana. Questo chiaramente aumenta il divario tra le 3-4 potenze del nostro basket e le altre, con diverse squadre che non si sa ancora se potranno iscriversi al campionato. Speriamo che nonostante tutto il nostro campionato riesca a reggere l’urto di questa crisi e rimanere una competizione di primo riferimento nel panorama europeo”.

Alessandro Burin

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