Vuole far parlare e discutere mister Davide Kolec che intende proporre nuovi spunti di riflessione. Le critiche non mancano ma il suo obiettivo mira ad una rivoluzione nel campo della pallamano italiana per quanto riguarda l’approccio mediatico, le strategie e le analisi attualmente in auge. “Il lungo periodo di lockdown mi ha permesso di concentrarmi e studiare ancora di più – spiega Kolec –. Ho osservato metodicamente ciò che avviene nel mondo dello sport, in particolare nel calcio, e di maturare ancora più consapevolmente i miei ragionamenti”.  

Da cosa nascono le tue riflessioni? 
“Dal fatto che non si dia il giusto valore e peso ai fatti”. 

A cosa ti riferisci?
“Soprattutto al ruolo dell’allenatore. Credo che il ruolo dell’allenatore, non solo perché io lo sono, sia fondamentale in una società: fa la maggior parte del lavoro, perché è quello che si assume le responsabilità e ha a che fare con tutti, il suo lavoro ricade su tutti. Sono polemico anche perché si parla di giocatori, di certi risultati “insignificanti” e non si parla mai di tattica, di tecnica, motivazione, di cose concrete che possono migliorare le società, atleti e appassionati”. 

Cosa hai notato negli altri sport che manca alla pallamano? 
“Gli altri sport parlano tanto dell’aspetto tecnico e tattico. Parlano ed analizzano le partite, le logiche che stanno dietro a certe scelte. Ho visto allenatori prendere delle posizioni, da loro emergono ragionamenti, riflessioni e modi di esprimere la loro idea, sostanzialmente fanno conoscere lo stile dell’allenatore. Il ruolo dell’allenatore è fondamentale. Chiariamoci bene ed evitiamo fraintendimenti, lo sono anche i giocatori. Si raccontano solo gli aspetti formali, quindi solo il resoconto della partita e qualche notizia sui giornali. La stessa cosa dovrebbe valere per gli arbitri. Non ci sono valutazioni su di loro e chi ha voglia si aggiorna. Sono convinto che anche loro vorrebbero essere presi in considerazione dal panorama italiano. Sarebbe interessante un giudizio sulle loro partite, per esempio sulla Gazzetta dello Sport si valutano le loro prestazione e a fine dell’anno vengono premiati come migliori arbitri. Credo che questo titolo di prestigio comporterebbe uno stimolo per loro e per tutti”. 

Tu saresti realmente disposto a metterti in gioco? Ad accettare critiche, analisi che non rispecchiano il tuo punto di vista?  
“Certo che sì, vorrei che tutti ci mettessimo in gioco. E’ il nostro lavoro ed è importante che tutti vedano cosa stiamo facendo nel bene e nel male”. 

Tu cosa proponi invece? 
“Io propongo di analizzare perché si vince e si perde. Dare il giusto merito o demerito alle società, fare delle valutazioni pre-campionato, post campionato, se le aspettative erano giuste o sbagliate, se è stato fallimentare o no. Soprattutto analizzare lo storico della società. Per esempio, noi negli ultimi tre anni abbiamo fatto cose molto importanti e noto che questo è passato in soppiatto. Se come movimento italiano si vuole crescere è possibile che non si promuova una comunicazione di questo genere? Non si cerca di curiosare, di chiedere, di dire cosa è successo realmente. Meglio avere tre informazioni giuste e importanti, che dirne altre 100 non importanti. Non si parla mai di numeri e di statistiche, di analisi e ci ritroviamo a comprare o valutare giocatori/allenatori in base a che cosa? Negli anni ho notato che l’allenatore non viene ingaggiato perché è stato analizzato ma perché allena da anni. Se i dirigenti in Italia e le società in Italia non sanno chi stanno prendendo come pensiamo di dare uno scossone alla pallamano italiana?!”.

A che cosa ti riferisci?
“Le società non si pongono la domanda: “che stile di gioco vorremmo avere? Quale filo logico vogliamo seguire?” – come succede nel calcio, sport dal quale dovremmo “rubare” molto. Invece qui si comprano gli allenatori e i giocatori per sentito dire “che tizio è bravo”. Per me non vale che più anni vivi la pallamano, più sei un bravo allenatore, può essere che diventi più esperto ma non necessariamente più bravo. Conosco N allenatori ottimi e bravi ma nessuno mai gli ha dato una vera occasione solo perché non allenavano da tanto, perché allenavano in una società di poco prestigio e si dà tutt’ora precedenza ad allenatori che militano nella pallamano italiana da sempre. La stessa cosa vale per i giocatori”. 

Tu credi di essere discriminato perché allenatore giovane? 
“Assolutamente sì. Ho avuto la fortuna di crescere e di far parte della famiglia del Cassano, dove ai tempi Massimo Petazzi e Mario Saporiti hanno voluto farmi diventare allenatore della prima squadra, ma penso che ci siano poche persone con questa enorme opportunità. Al di fuori del Cassano notavo e noto tanto scetticismo, una svalutazione delle mie qualità, come se non fossi all’altezza. E se avessi avuto 40 anni? Nessuno mi avrebbe messo in dubbio. Faccio un esempio: quando nella vita reale, si va a fare un colloquio e vieni valutato solo in base ai titoli di studio che hai e non si valuta la personalità e le sue potenzialità. Nessuno valuta la voglia dell’allenatore, quanto s’impegna, quanto si aggiorna e quanto realmente vale”. 

Qual è la soluzione?
“Se vogliamo fare un salto di qualità sarebbe bello creare una pagina concreta dove si parla di statistiche, di tattica, di argomentazioni che possiamo realmente verificare. Credo e sono convinto che il panorama italiano trarrebbe beneficio da queste informazioni”.

Noto anche un certo rancore, mi sbaglio?
“Mi fa arrabbiare sentire dire che il Cassano è un’isola felice, che a Cassano è normale aver tutti questi risultati e che chiunque l’avrebbe fatto. Se fosse stato davvero così facile perché nessuno l’ha mai fatto? Mi dispiace perché questa società ha lavorato per anni e anni. Tantissimo il lavoro svolto su infiniti tornei, per non parlare dei sacrifici dietro le quinte e, soprattutto, nessuno ha mai valorizzato una società che ha sempre investito sui giovani. Leggo tanti articoli su pagine importanti del panorama con notizie superficiali, notizie riguardanti i campioni regionali e non ho mai visto qualcuno citarci per aver vinto tutto quello che abbiamo vinto. Se una realtà come Cassano esiste, perché non valorizzarla e replicarla? Non voglio esaltare Cassano come unico modello; in Italia ci sono diverse realtà che devono essere studiate e prese come esempio. Questa è l’unica via per avere una Nazionale di successo”. 

Qual è la tua filosofia di vita?
“Il cervello comanda. Se sei forte mentalmente puoi affrontare tutto”. 

Quali sono le tue ambizioni? 
“Prima di tutto vorrei portare la Coppa in questa società che lo merita e poi vorrei portare la Nazionale a qualificarsi in qualche manifestazione importante”.

Quindi vuoi dire che vorresti diventare allenatore della Nazionale?
“Certo che sì. Penso che sia l’ambizione di ogni allenatore! Il mio pensiero è che senza un grande sogno non si possono fare delle grandi imprese”.    

Federica Scutellà
(foto Serena Viggiano)

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