Il razionamento ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, immagini impresse nella memoria collettiva tornate alla mente durante questo impensabile periodo di quarantena che vede la gente non poter uscire di casa, o peggio ammalarsi o peggio ancora morire. E così, il divieto di assembramenti a causa del virus Covid-19 rende complicate le operazioni più comuni della nostra vita quotidiana vissuta fino a questo momento. Andare a fare la spesa o fare un salto in farmacia diventano ardue imprese che possono richiedere anche ore di tempo. Interminabili file di persone fuori dai supermercati, dalle Poste o dalle farmacie, scene, appunto, da vera e propria guerra.
200 g di pane al giorno, una candela al mese, 1 dl di olio per due mesi, rara distribuzione di pasta; era questo il razionamento degli anni ’43-’45, gli anni della fame nera vissuta dai nostri nonni. Interminabili ammassi di persone davanti ai forni, ai panifici per ricevere un tozzo di pane dopo giorni di digiuno. Una situazione molto diversa dall’oggi dove i beni di prima necessità sono garantiti per tutti. E allora siamo sicuri che si esca di casa esclusivamente per necessità, urgenze ed emergenze? Abbiamo raccolto le testimonianze degli eroi silenziosi di questi tempi che, dopo i sanitari (i più colpiti dal punto dei contagi), vengono a contatto tutti i giorni con un gran numero di persone senza tirarsi indietro, a volte anche sprovvisti delle dovute protezioni. In prima fila, oltre a chi indossa un camice, c’è anche chi sta dietro un bancone, uno sportello o una cassa, quella ad esempio del supermercato.
Manuela ci racconta la sua esperienza diretta da cassiera. Lavora alla Tigros di via Pirandello di Busto Arsizio, una delle città della nostra provincia con più contagi. L’abbiamo raggiunta telefonicamente al termine del turno di lavoro.
Con quale stato d’animo si va al lavoro? “Personalmente vado di dovere, se potessi sceglierei starei a casa con mio marito e i miei figli. Un giorno sì e l’altro no penso se sia il caso di mettersi in malattia, ma stare a casa una o due settimana non avrebbe senso perché poi si dovrebbe comunque rientrare. Per ovvi motivi, non possiamo stare chiusi. Poi penso sia giusto così, sia giusto andare soprattutto per rispetto nei confronti dei colleghi, ma anche dei clienti”.
Vengono adottate tutte le precauzioni del caso? “Ad oggi direi di sì, ma fino a settimana scorsa non eravamo protetti abbastanza. Siamo stati dotati di guanti, mascherina e anche occhiali protettivi e in questi giorni sono stati installati anche i plexiglass; la sanificazione avviene ogni tre giorni. Nonostante questo il clima è davvero pesante, vado al lavoro con un gran peso nel cuore perché potrei mettere a rischio tutta la mia famiglia”.
Le lunghe code di persone fuori da ogni supermercato fanno un po’ impressione: “E’ un’altra tutela che dobbiamo prendere per noi e per loro. Ne entrano poche alla volta. La gente ha iniziato a capire ora che deve uscire meno possibile, fino a settimana scorsa c’era chi entrava per acquistare una o due cosette. Negli ultimi giorni ho visto fare solo spese grosse, carrelli pieni perché chi viene pensa magari anche ai genitori anziani, o ai vicini o a qualche parente. Apriamo alle 7.30 e capita di avere già 20 o 30 persone all’ingresso. All’inizio è stato anche difficile far capire alla gente che si poteva entrare uno per volta e pochi alla volta. Ora invece si sono messi tutti l’anima in pace e hanno capito”.
Le persone sono cambiate? “Le ho viste molto smarrite, se non in confusione. La situazione è un po’ surreale, c’è un grande silenzio. Due settimane fa mi sono commossa perché, mentre ci sentiamo una categoria non considerata, un ragazzo mi ha ringraziato per quello che stiamo facendo; un’altra cliente mi ha regalato una mascherina. Piccoli gesti che per me hanno significato tanto”.
Come lavoratori vi sentite tutelati? “Da parte dell’azienda sì perché ci ha messo a disposizione quello che doveva. Ma da parte di chi ci governa assolutamente no, ci sentiamo carne da macello. Il flusso di lavoro è anche aumentato di molto. Scaffali e frigo vengono caricati notte e giorno, la merce arriva in continuazione. E, a parte il lievito – ironizza -, si trova tutto”.
Questo significa che i beni di prima necessità sono garantiti: “Assolutamente sì. L’unica difficoltà c’è stata solo dopo la prima domenica di follia e di assalto alla quale i supermercati non erano preparati. Il lunedì dopo alcuni scaffali erano veramente vuoti, ma adesso siamo organizzati al meglio. C’è un flusso continuo di merce che arriva, le persone possono stare serene almeno su questro fronte”.
E a casa? “I ragazzi stanno tutto il giorno a casa, idem il piccolo che al massimo gioca in giardino. Ho vietato a tutti di uscire e questa è la quinta settimana! Anche per loro sta diventando pesante; in casa sono tutti sportivi, fino a un mese fa avevano delle vite piene, adesso li vedo sacrificati. Ma la salute è più importante delle uscite. Mio marito mi dice: “Beata te che almento esci per andare al lavoro!” Ovviamente non sono d’accordo con lui”.
Elisa Cascioli
(foto di Manuela Ventura, intervistata telefonicamente)