Terra chiama Pianeta Calcio, Pianeta Calcio non risponde. Non risponde più. Sono state interrotte le comunicazioni e forse, quel pianeta, si è perso nell’orbite di uno spazio in cui non c’è più posto.
Per diciotto lunghi anni un filo diretto tra quelle scarpette ed il mondo del calcio varesino, un segnale che non ha mai perso forza, che ha vacillato ma che con la tariffa della passione ha saputo tenere bada ogni interferenza.
Le vetrine di via dei Mille stanno per spegnere le luci, l’insegna diventerà buia, Claudio Casaroli ed il suo socio Massimo Pepi hanno sentito il triplice fischio e Pianeta Calcio, il negozio di articoli sportivi che ha vestito e cullato i sogni di migliaia di sportivi, è pronto per serrare la porta.
“Dopo diciotto anni abbiamo detto basta, la nostra avventura con Pianeta Calcio finisce qui, è uno spaccato di vita che tira giù la serranda e non può essere fatto a cuor leggero, ma c’è anche la serenità e la consapevolezza di aver fatto tutto quello che avremmo potuto fare e di chiudere al momento giusto” afferma Casaroli.
È stato questo secondo “simil lockdown” a tagliarvi definitivamente le gambe?
“Abbiamo avuto 88 giorni di chiusura forzata, ci siamo dovuti adeguare al web con tante realtà ovviamente più pronte di noi da questo punto di vista, il calcio dilettanti si è fermato a lungo, è ripartito e adesso ha subito un nuovo brusco stop, è una situazione frustrante, ci siamo guardati in faccia ed abbiamo capito che era giunto il momento, senza alcun rimpianto, che è la cosa più importante, la nostra avventura con Pianeta Calcio finisce qui”.
Parli sempre di avventura mettendo quasi in secondo piano che si trattasse del tuo/vostro lavoro, come mai?
“Il segreto è proprio questo, non abbiamo mai lavorato un solo giorno in questi diciotto anni, abbiamo trasformato un sogno in realtà alimentati da una passione indescrivibile, abbiamo vissuto tutto con estrema gioia, ci siamo arricchiti sotto tutti i punti di vista, abbiamo dispensato e ricevuto sorrisi, se avessimo “solo” venduto scarpe sarebbe stato un lavoro come un altro, ed invece noi abbiamo raccolto storie, le abbiamo raccontate, colorite, fatte nostre e forse qualcuna o almeno una l’abbiamo scritta, ora mettiamo solo un punto e voltiamo pagina”.
A proposito di storie: hai spesso raccontato di aver servito i giocatori del Varese, tua squadra del cuore. È questo l’orgoglio più grande?
“Io tifo Varese, ho sempre tifato Varese, ho vissuto i campi di serie B con la mia realtà, ho venduto le magliette di Neto Pereira, ho conosciuto i miei “idoli” ma l’orgoglio più grande è avercela fatta, e aver ricevuto la fiducia di tantissime persone, ti racconto un aneddoto”. Vai, spara. “Sai quante volte ci è capitato di ricevere ragazzi che ci dicevano “Sei un grande, mi hai dato il consiglio giusto e domenica ho fatto doppietta proprio con la scarpa che mi avevi suggerito tu” oppure “Meno male che ti ho ascoltato, stoppare il pallone con queste calzature è molto più facile”, ma in realtà sono tutte cazzate: queste sono cose che partono dalla testa eppure noi siamo riusciti a personalizzare ogni cosa senza, in realtà, personalizzare nulla, quando i nostri clienti tornavano raccontandoci ciò che gli era successo è perché sapevamo di aver fatto bingo”.
Più che bingo un gol vittoria al novantesimo…
“So già dove vuoi andare a parare” (ride ndr).
Concedimi di parlare anche di questo, del calcio giocato e del tuo ruolo di mister. Tu oggi sei il tecnico degli allievi del Torino Club ma non ti manca il mondo delle prime squadre?
“Se dicessi di no sarei bugiardo, la competizione vera è lì, io mi ritengo fortunato perché ho vinto da giocatore e da allenatore, ma ci sono state vicissitudini che mi hanno portato a fare una scelta di cui vado molto fiero, ovvero essere un punto di riferimento per i ragazzi da cui ricevo la stessa energia che gli dono, loro ti raccontano di tutto anche oltre il calcio e li vedi crescere davanti ai tuoi occhi sotto ogni punto di vista, questo è impagabile”.
Oggi ancora una volta li vedi solo tramite zoom: quanto ti mancano? Pensi sia giusto questo nuovo stop?
“Mancano sì, zoom è solo un modo per dimostrare che siamo qui nonostante tutto ma il campo è un’altra cosa; li abbiamo accolti dopo lungo tempo seguendo alla lettera tutti i protocolli ideati per ripartire, ma se oggi i nostri governatori decidono questo dobbiamo stare alle regole, quello che mi fa letteralmente ‘incazzare’ è la mancanza di prevenzione, abbiamo tutti abbassato la guardia perché ci è stato concesso di abbassare la guardia, ed ora siamo punto e da capo”.
Torniamo a Pianeta Calcio: quando ci sarà la chiusura definitiva?
“Credo intorno a metà dicembre: abbiamo le nostre scorte da svuotare, da sabato abbiamo iniziato la liquidazione con sconti dal 30% al 70%, spero che chi ci ha sostenuto fino ad oggi lo farà anche in quest’ultimo mese”.
Guardandoti indietro è facile notare come tu sia entrato in questo negozio che eri un ragazzo e ne esci da uomo. In cosa ti senti cambiato?
“Indubbiamente ne esco più maturo, una volta c’era molto più istinto, oggi sono e siamo meno disillusi, sognare è più difficile ma si vive meglio il presente, sono entrato entusiasta e ne esco ancora più entusiasta, come ho detto non ho rimpianti”.
Un percorso lunghissimo ed una serie di ringraziamenti: da chi partiamo?
“L’elenco è lungo ma preferisco fare solo due nomi: Massimo Pepi, più di un socio, è colui che mi ha permesso di realizzare il sogno e che soprattutto l’ha vissuto con me, e poi Simona la donna che mi ha supportato e sopportato per tutto il percorso, mi ha confortato, mi ha assecondato e mi ha permesso di diventare padre”.
Diciotto anni, una miriade di emozioni ed un punto fermo in fondo alla pagina. Però se la giri c’è ancora un sacco di spazio bianco…
“E altri progetti da realizzare: sì ho in mente un po’ di cose che spero di realizzare, ci sto lavorando, vedremo cosa succederà”.
Questo perché anche da uomini più maturi e meno disillusi si può continuare a sognare. L’inchiostro poi non è ancora finito, ci sono altre storie da scrivere.
Mariella Lamonica