Nella mia narrazione sui settori giovanili varesini, strada facendo mi sono imbattuto nel gruppo dei nati nel 1977 targati Pallacanestro Varese. Imbattuto e, aggiungo, stupito perchè per quanto mi sia sforzato in tema di ricerca delle fonti e approfondimenti bibliografici la conclusione è stata una sola: trattasi di annata maledettamente sfortunata. Una leva, il ’77, da cui non è sbocciato nemmeno un giocatore di livello medio-alto e che, in tutto e per tutto, ha prodotto alcuni ragazzi che al termine del loro percorso giovanile hanno disputato “solo” campionati più che discreti nelle serie minori.
Un’annata stranamente e insolitamente “di magra” per la Pallacanestro Varese che invece, in quel periodo, era abituale frequentatrice delle finali nazionali e “catena di montaggio” di giovani talenti. “Non posso fare altro che confermare il risultato della tua ricerca: quello dei nati nel ’77 è stato un gruppo tutto formato da bravissimi ragazzi e ottime persone, ma cestisticamente povero – ammette Luca Taverna, ala di 196 centimetri che di quel nucleo è stato l’elemento arrivato a giocare a maggior livello, con stagioni da buon protagonista tra serie C2 e C1″.

Che spiegazione ti sei dato per questa “semina” senza raccolto di qualità?
“In verità nei miei ricordi, e per come l’ho vissuta, non ci sono particolari spiegazioni da proporre. Semplicemente – risponde sereno Luca -, è andata così, con un’annata “storta” sia dal punto di vista fisico – nessuno di noi ha mai “visto” i 2 metri -, sia dal punto di vista atletico -, nessuno di noi alle voci esplosività e reattività era particolarmente brillante – e, infine, nessuno è stato baciato nè da classe, nè da talento naturale. In definitiva, la classe 1977 ha prodotto un onesto gruppo di giocatori – Cerchia, Gandini, Leo, Riboni, Spagolla -, dotati di eccellente attitudine al lavoro, fondamentali solidi e buona conoscenza del gioco. Ma, via, in tutta onestà nemmeno un giocatore degno di attenzione per le categorie professionistiche o semi-professionistiche. Io, per primo”.

Perchè questa sottolineatura?
“Perchè nel corso degli anni Besio, Chiapparo e Crocetti, ovvero gli allenatori che mi hanno seguito nel percorso giovanile in Pallacanestro Varese, hanno avuto tutti e tre modo di dirmi che i risultati da me ottenuti a livello senior sono stati inferiori alle loro aspettative. Giulio, Gianni e Vincenzo erano pronti a scommettere che, al netto delle mie qualità, almeno una B2 col passo del protagonista avrei potuto raggiungerla. Evidentemente, mi è mancato qualcosa in termini di fortuna e logistica e, probabilmente, di mentalità”.

Quindi, partendo dall’inizio, quando comincia la tua avventura nella pallacanestro?
“Inizia a 8-9 anni nel MiniBasket Castronno allenato per una stagione da Arturo Benelli e nei due anni successivi dalla coppia Pinelli-Crocetti. Ed è proprio “Vince” Crocetti che valutando le mie caratteristiche fisiche e tecniche, mi chiede di trasferirmi alla Pallacanestro Varese. Le prime esperienze agonistiche alla Cagiva sono più che confortanti dal momento che a livello Propaganda vinciamo il “Garbosi”, mentre in altri tornei importanti otteniamo comunque piazzamenti da podio. Le cose, se parliamo di risultati conquistati sul campo, cominciano a cambiare nelle categorie successive, in particolari Allievi Open e Cadetti. In quei tornei le doti fisiche e atletiche assumono sempre più importanza e noi, nonostante la passione, l’impegno sempre massimale e un grande amore per il gioco, siamo leggerini e abbiamo pochissimi centimetri e chili da mettere sul piatto in quasi tutti i ruoli. Non a caso io e il compianto Giuseppe Ferla, con 195 cm. ciascuno siamo i più alti del gruppo”.

Quindi, nessun risultato di rilievo?
“Non credo di sbagliare, ma a livello nazionale, peraltro insieme alla classe 1978, quella di Leva e Cazzaniga tanto per fare solo due nomi, ci siamo giocati un interzona a Tolentino, ma siamo stati eliminati dalle finali nazionali da Livorno di Bulleri. Poi, aspetto da considerare, siamo capitati in un periodo caratterizzato da continue riforme e controriforme del limite d’età delle giovanili. Di fatto ci hanno “fregato” almeno un paio d’anni che, forse, ci avrebbero aiutato a migliorare un po’ di più”.

Quindi, come si sviluppa il tuo percorso post-giovanili?
“A 18 anni inizio la mia carriera tra i senior a Castelletto Ticino. Io, ragazzino, faccio “equipaggio” con giocatori importanti ed esperti come Antonetti, Baggiani e Guidotti. A Castelletto mi fermo tre stagioni al termine delle quali, guidati da coach Arturo Benelli, centriamo la promozione in serie C1,. Nel 1998-1999 mi sposto all’Olimpia Legnano, sempre in C1. La squadra non è malaccio – Luca Biganzoli, Nannetti, Mattarello, Provenzi, Pozzi, Tunesi, ma la famosa “chimica” non scatta mai e alla fine, nonostante le ambizioni e i buoni propositi, retrocediamo a picco. Così l’anno successivo torno in Piemonte, a Borgomanero, chiamato da coach Lesica. A “Borgo” resto per un altro ciclo triennale che si conclude allo stesso modo: un’altra promozione in C1, ottenuta con coach Lazzarini in panchina. Lazzarini però non mi conferma e, devo dirlo, un po’ ci rimango male perchè mi sembrava di meritare la C1 e avrei dato un braccio pur di giocarla a Borgomanero in un ambiente che mi aveva accolto benissimo e in un club in cui hanno addirittura ritirato la mia maglia numero 13″.

Così, come nel Monopoli, torni al punto di partenza.
“Esatto. Ricomincio da Daverio, in C2, ancora con Claudio Lesica per due campionati più che discreti. Nel 2004-2005 mi muovo verso Gorla Maggiore, ancora in C2, ma un serio infortunio al ginocchio si mette di traverso e per un anno mi toglie dai campi. Dopo una breve parentesi a Fagnano, rientro in piena forma per giocare le mie ultime brillanti stagioni a Marnate, sempre in C2, con due viaggi consecutivi nei playoff. Infine, nel novembre del 2012 arriva la tremenda mazzata: un’embolia polmonare che mi obbliga allo stop definitivo nei campionati federali. Un grande dispiacere perchè, come gran parte dei giocatori, mi sarebbe piaciuto abbandonare la pallacanestro sul parquet e non, com’è effettivamente successo, in uno studio medico”.

Da quel giorno cos’è diventato per te il basket?
“E’ ancora una parte importante della mia vita visto che sono passato dal campo alla panchina come allenatore. In questi anni ho allenato a livello di settore giovanile e tra i senior, in serie D a Marnate, raggiungendo una semifinale playoff, poi persa contro la corazzata Ju-Vi Cremona. Oggi invece alleno ancora a Marnate un gruppo “Lab” giovanissimo con il quale, coronavirus permettendo, affronteremo la Prima Divisione”.

Quando ti guardi alle spalle e, classicamente, riavvolgi il nastro della tua vita da giocatore, cosa vedi?
“Vedo un ragazzo che, orgoglioso, a metà anni ’90 è aggregato alla serie A e si allena tutti i giorni vicino a fenomeni come Andrea Meneghin e Arjian Komazec. In quei momenti ho seriamente pensato, e sperato, che la pallacanestro potesse diventare la mia vita. Poi, come ho già detto, oltre ad un paio di episodi intorno ai quali è meglio sorvolare, non sono stato capace di fare il salto decisivo. O, forse, in quel frangente non ho incontrato nessuno che mi spiegasse cosa fare per provare a saltare dall’altra parte del precipizio”. 

Chiuderei, se sei d’accordo, con le tue “nomination” per allenatori e compagni di squadra.
“Come allenatori di settore giovanile scelgo Besio e Crocetti, entrambi eccellenti insegnanti di fondamentali e con un buon equilibrio tra lezioni di basket e vita. Per il livello senior scelgo, e non è un paradosso, due coach dalle caratteristiche opposte: Arturo Benelli e Claudio Lesica. Benelli, anzi, “Il Martello” Benelli, coach preparatissimo, già capace ai tempi, quando nessuno ai livelli minori lo faceva, di proporre un piano-partita incredibilmente dettagliato e preciso in tutti gli aspetti. Arturo, durissimo e intransigente, in palestra ti faceva letteralmente vomitare dalla fatica, ma sicuramente ti portava ad un alto livello di preparazione. Claudio Lesica, invece, è stato il migliore in assoluto nel costruire e, soprattutto, tenere insieme un gruppo miscelando con intelligenza l’importanza della parte tecnico-tattica a quella mentale. Per quanto riguarda i miei compagni, il mio quintetto per le giovanili è formato da Leva, Maurizio Giadini, Leo, Cucco e Pastori, mentre tra i senior i miei “starters” sono Vasini, Paolo Remonti, Calini, Schizzarrotto e Fontanel.
Il mio personalissimo Oscar al compagno di squadra più forte in assoluto con cui ho avuto l’onore, il piacere e il privilegio di giocare, va senza esitazioni a Valentino Schizzarrotto. “Vale”, straordinario giocatore e atleta, era dotato di classe innata e aveva nel DNA tonnellate di talento cestistico. Qualità che sapeva abbinare alla semplicità e ad una visione di gioco che appartengono solo ai grandissimi. E, la gente del basket lo sa benissimo, solo un  destino bastardo lo ha tolto dalla serie A e, purtroppo, prematuramente anche dalla vita. Infine, permettimi un ricordo del tutto personale per Beppe Ferla, mio compagno di squadra nelle giovanili a Varese, mancato giovanissimo qualche anno fa. Beppe, amava in modo pazzesco la vita e la pallacanestro, e ogni anno ci piace ricordarlo con un torneo, riservato al minibasket e al baskin che si disputa all’Oratorio di Biumo Inferiore”.

Massimo Turconi

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