Il presente, si sa, è incerto e la frase più frequente che più si sente sussurrare in questo periodo “bastardo e sospeso” è: “Si naviga a vista”. Del domani, si sa pure questo, “non v’è certezza”. Così, di fatto, se vuoi argomentare di pallacanestro non ti rimane che il passato.
Poi, siccome l’invito è “Restate a casa”, non resta altro da fare che provare a mettere un po’ d’ordine in un archivio sempre troppo incasinato. Dai cassetti e dagli scaffali saltano fuori libri, appunti, foto, ritagli di giornale e chi più ne ha, più ne metta. Foto. Tante. Ognuna delle quali racconta una storia. Cristallizza un momento. Movimenta ricordi. Trascina emozioni. Innesca spunti di riflessione. E tanto, molto d’altro ancora.

La foto, considerando la velocità con cui tutto si sviluppa e quella con cui il presente divora il passato, appartiene alla nostra preistoria. E’ la foto dell’Ignis Pallacanestro Varese anno 1965-1966. Una gran bella squadra e un gruppo di valore assoluto raccontato per tutti noi da Pierangelo Gergati.
“Una squadra tanto bella e forte quanto sfortunata dice subito Gergati -. Bella perchè tutta formata da giocatori che non solo sapevano giocare, ma possedevano anche una cifra di talento naturale, innata che permetteva loro di mettere in mostra scampoli di buonissima pallacanestro. Forte perchè oltre alla Coppa Intercontinentale conquistata a Madrid, quella squadra vinse anche lo scudetto nel primo, famosissimo, spareggio disputato a Roma. Sfortunato perchè quello scudetto, qualcuno lo ricorderà, fu clamorosamente “scippato” dal Simmenthal che in combutta con i dirigenti federali di allora costruirono dal nulla “querelle-Gennari” e inventandosi problemi di tesseramento annullarono la nostra, più che legittima e meritata, vittoria ottenuta sul campo e di fatto regalarono lo scudetto ai nostri acerrimi rivali milanesi”.

Gruppo forte e di talento, hai detto: vorresti descriverci un po’ i tuoi compagni di avventura?
“Premessa doverosa, tutti i ragazzi di quel gruppo erano accomunati da due grandissime qualità: carattere e personalità. Ognuno ne era provvisto in quantità industriale e  a posteriori devo dire che quella stagione per me rappresentò un master, anzi, “il” master perfetto per capire come ci si doveva comportare. Certo, devo anche ammettere che frequentare quegli uomini, quei grandi giocatori non fu semplice. Nei loro confronti io ero il classico “attendente”, il ragazzino che era lì per guardare, imparare, fare esperienza e svolgere al meglio tutti questi compiti con umiltà e rispetto per quei “mostri sacri”. Il tutto senza accampare pretese e soprattutto senza usare gli atteggiamento da “fenomeno” tanto usati dai ragazzini di oggi. Detto questo, ecco la descrizione di quei fantastici uomini e giocatori. In posizione di playmaker schieravamo Remo Maggetti, un regista “tappo” che arrivava a malapena a 170 centimetri, ma era imprendibile quando andava a tutta velocità e coi piedi per terra faceva sempre canestro anche da lontanissimo, ben oltre quella che oggi è la linea dei 3 punti. In guardia giocava Gianbattista “Gianbo” Cescutti, giocatore completo sui due lati del campo, dotato di buonissime doti fisiche, rapido di piedi e di mani. In ala piccola giocava Paolo Vittori, giocatore che non ha certo bisogno di presentazioni perchè considerato, a mio avviso giustamente, uno dei migliori cinque giocatori italiani ogni epoca. In ala grande Giovanni Gavagnin, bravo nel giocare sia spalle, sia fronte a canestro. “Gava”, per la sua capacità di mettere palla a terra, tirare da lontano e giocare uno contro rappresentava sicuramente un “4” moderno. In posizione di centro giocava l’americano Toby Kimball, bravissimo nel giocare spalle a canestro, nello sfruttare il suo ottimo tiro dalla tacche e nondimeno stupendo nell’esaltare le sue incredibile doti atletiche svettando a rimbalzo. In quella Ignis però era davvero improprio parlare di panchina prima di tutto perchè il quintetto cambiava spesso la sua morfologia e in seconda battuta perchè, con così tanta qualità, non c’erano mai problemi nell’alternare giocatori. Del resto, quando coach Nesti prima, e in seguito l’accoppiata Gavagnin-Vittori, si giravano verso la “panca” alla ricerca di soluzioni andavano sempre a colpo sicuro. I loro occhi infatti avevano solo l’imbarazzo della scelta potendo puntare su Massimo Villetti, buonissimo tiratore e sensazionale contropiedista e una “coppia delle meraviglie” costituita da  Sauro Bufalini, buonissimo rimbalzista, difensore molto grintoso ma anche eccellente tiratore dalla media distanza e Ottorino “Flabo” Flaborea, un giocatore che in Italia ha insegnato l’arte del gancio e dei movimenti di piede perno a intere generazioni di giocatori”.

Prima hai fatto accenno al cambio avvenuto in panchina tra coach Vinicio Nesti e la coppia Gavagnin-Vittori: cosa ti ricordi di quell’episodio?
“Come ti ho già detto quello era un gruppo in cui agivano giocatori molto esperti, di carattere e con personalità, anche tecnica, decisamente spiccata. Così ricordo che dopo un paio di derby, contro Milano e Cantù, persi malamente, in particolare il secondo, i dirigenti sollevarono dall’incarico coach Nesti e affidarono la guida tecnica a Giovanni e Paolo. Gavagnin e Vittori, oltre che capire di pallacanestro, nella figura di giocatori-allenatori sapevano come guadagnarsi il rispetto dei noi compagni di squadra. Non a caso il gruppo, nonostante le feroci e via via montanti polemiche sul tesseramento degli oriundi arrivò fino alla fine senza intoppi. Epilogo, come ho già detto, marchiato a fuoco dallo “Scandalo-Gennari” che ci tolse a tavolino, e dopo un mese, uno scudetto vinto nettamente (74-59 ndr) sul campo. Ma questa – conclude in tono amareggiato Pierangelo -, è davvero un’altra storia”.

Massimo Turconi