Il presente, si sa, è incerto e la frase più frequente che più si sente sussurrare in questo periodo “bastardo e sospeso” è: “Si naviga a vista”. Del domani, si sa pure questo, “non v’è certezza”. Così, di fatto, se vuoi argomentare di pallacanestro non ti rimane che il passato. Poi, siccome l’invito è “Restate a casa”, non resta altro da fare che provare a mettere un po’ d’ordine in un archivio sempre troppo incasinato. Dai cassetti e dagli scaffali saltano fuori libri, appunti, foto, ritagli di giornale e chi più ne ha, più ne metta.
Foto. Tante. Ognuna delle quali racconta una storia. Cristallizza un momento. Movimenta ricordi. Trascina emozioni. Innesca spunti di riflessione. E tanto, molto d’altro ancora.

La foto di oggi, quella che ritrae l’Antifurti Ranger Pallacanestro Varese anno 1989-1990, è bella perchè nella sua stupenda genuinità esprime le ragioni più belle del fare sport: il senso dell’amicizia, dell’essere gruppo, del ridere e giocare insieme, della fratellanza e della solidarietà fra compagni. Dovessi usare una sola parola direi: divertimento. Un aspetto che, lo sanno tutti quelli che a qualsiasi livello hanno fatto e fanno sport, supera il valore del risultato. Anzi, spesso, quasi sempre, è alla base del risultato stesso.

Bella davvero, questa foto. Un fermo immagine in cui il senso di  gioia traspare da ogni volto, dall’espressione di ogni giocatore e di ogni elemento dello staff. In questa foto tutti quanti – dal campione più importante e celebrato, all’ultimo ragazzino aggregato alla prima squadra -, trasmettono un senso di piena felicità. Una pienezza che raggiunge il suo culmine nell’affettuoso abbraccio tra Stefano Rusconi e Massimo Lucarelli che di quella Ranger era il team manager, mentre oggi, “Lucky”, quella foto ce la descrive
“Toto Bulgheroni e Marino Zanatta mi proposero quell’incarico al quale io – dice Lucarelli -, veramente innamorato della pallacanestro, risposi subito un sì convinto anche se, ci tengo a sottolinearlo, per me si trattava di un impegno post-lavorativo dal momento che avevo già un mio impiego da dirigente in un’azienda. Però, l’idea di poter frequentare ancora il mondo del basket, restare nell’ambiente e poter dare una mano agli amici della Pallacanestro Varese, era certamente stimolante e funzionava da panacea per scacciare via la stanchezza e i pensieri “pesanti” che si accumulavano durante la giornata trascorsa in ufficio. Insomma: quelle due-tre ore passate quotidianamente al palazzetto rappresentavano una sorta di isola felice piazzata nel bel mezzo di una giornata stressante”.

Però, lo stress non mancò di sicuro in quella stagione così densa di avvenimenti, giusto?
“Verissimo, giusta osservazione ma lo stress derivante dalla pallacanestro, e dallo sport in generale, non è nulla se paragonato con quello dell’attività lavorativa”.

Insomma: per citare il titolo di un famoso libro: Saigon era Disneyland al confronto…
“Esatto, proprio così. Comunque, se vogliamo parlare di stress e associare a questo stato d’animo un volto, non posso non riferirmi a Wes Matthews, vero personaggio che con la sua presenza ha condizionato prima nel bene, poi nel male tutta la nostra stagione. Wes, ex giocatore plurianellato (’87 e ’88, ndr) con i Los Angeles Lakers di Magic Johnson, Jabbar, Worthy, Rambis e compagnia approda in Pallacanestro Varese accompagnato da un ottimo curriculum cestistico, ma da credenziali non esattamente confortanti sotto il profilo  caratteriale. I Lakers lo descrivono un giocatore dotato di grandissimo talento, ma anche un personaggio bizzoso e difficile da gestire. Toto e Marino, con queste premesse, mi affidano Wes e le “pinze” per l’uso. Il nostro atterra alla Malpensa a preparazione già iniziata e senza nemmeno passare dalla città esordisce al Torneo di Rovereto contro l’Armata Rossa. Di fronte a lui un avversario mai visto prima, ma con tutte le caratteristiche perfette per essere distrutto: playmaker, bianco e per giunta, ai suoi occhi, comunista. Wes, in pratica, lo ammazza cestisticamente, tecnicamente e fisicamente, segnandogli in faccia quasi 40 punti e ridicolizzandolo in tutti i modi. Coach Giancarlo Sacco vedendo tutti quei numeri non sta più nella pelle ed esclama: “Massimo, ma ‘sto qua è un vero “patacca”. E’ un fenomeno…”. Sono d’accordo, ma da lì in avanti capisco pure che nella  testa di Matthews, un po’ “particolare”, prendono corpo motivazioni sempre speciali. Comunque, con Wes che viaggia a velocità doppia la nostra Ranger parte benissimo, si insedia al primo posto in classifica e il pubblico di Masnago va giù di testa per un giocatore-personaggio del genere”.

Quando cambiano le cose, ovvero quando Matthews inizia a percorrere la strada contromano?
“Wes dopo un primo periodo di relativa tranquillità comincia a evidenziare qualche comportamento, diciamo così “estroso”, sia nella vita privata, sia in palestra. In allenamento aumentano la sua insofferenza e i suoi gesti di insubordinazione nei confronti soprattutto dello staff tecnico mentre, ad onor del vero, verso i compagni di squadra Wes si dimostra sempre corretto, amichevole e rispettoso. Le situazioni cambiano radicalmente quando Wes firma il contratto definitivo che lo lega a noi per tutta la stagione. Fino a quel momento Matthews è pagato a cottimo e sentendosi evidentemente in bilico sulla corda tesa, si “tiene” e cerca di non esagerare. Tuttavia, dopo aver “inchiostrato” l’accordo annuale rompe gli argini e pian piano tracima. Wes lancia il primo segnale forte a Roma durante l’All Star Game litigando furiosamente con Oscar e in seguito saranno solo problemi con comportamenti inadeguati in allenamento e in campo. Il tutto conduce direttamente all’episodio incriminato, quello accaduto a Caserta quando Wes, già nervoso di suo per la presenza di Oscar, lanciando uno sputazzo preciso come un tiro da 3 punti centra in piena fronte l’arbitro Zeppilli. Il “fischietto” avvicinandosi alla panchina mi racconta il fattaccio ed io, mortificato e preoccupato, non posso far altro che rispondere: “Prendo nota”. Il referto arbitrale è serio e ricco di altri particolari che costano a Matthews quattro giornate di squalifica e soprattutto rappresentano la classica goccia che fa traboccare il vaso perchè Bulgheroni e Zanatta decidono di dare il benservito all’ex Lakers”.

Da lì in avanti la stagione procede con Frankie “la Rana” Johnson: cosa pensi al riguardo?
“Buonissimo giocatore Fankie, ma Wes era oggettivamente di un altro livello in termini di personalità e mentalità vincente. Tuttavia, per quei misteriosi e insondabili percorsi che regolano i meccanismi di una squadra, i nostri giocatori con  la “Rana” riescono comunque a compattarsi. Magari la cifra di talento è inferiore, ma la solidità di squadra aumenta e, non a caso, arriviamo alla famosa finale scudetto contro la Scavolini persa per un paio di episodi, leggi non-fischi arbitrali, mooooolto discutibili. Il tutto, senza citare il gravissimo infortunio al ginocchio che toglie di mezzo Meo Sacchetti”.

Già, l’infortunio al Meo. Pur consapevole che la storia non si scrive con i “se” e con i “ma”, ti sei mai chiesto come sarebbe andata a finire se Meo fosse stato in campo?
“Non so, è difficile rispondere ad una domanda simile, ma un paio di considerazioni, anche a distanza di trent’anni, si possono tranquillamente fare. La prima: Pesaro arriva a quella finale con giocatori più freschi dei nostri, più esperti per quel tipo di battaglie e al top della forma. Quindi, sostanzialmente, più forte e favorita. La seconda: noi, privati di un leader tecnico e morale come Meo, siamo sicuramente meno competitivi. E le due cose, checchè se ne pensi, stanno insieme. Strettamente”.

In diverse occasioni Edoardo Bulgheroni ha detto che con Matthews in campo sarebbe comunque finita in modo diverso, quindi con lo scudetto a Varese. Sei d’accordo?
“Anche in questo caso manca la controprova, ma sono del tutto d’accordo con Edo. Forse, avremmo dovuto fregarcene degli atteggiamenti di Wes. Forse, sarebbe stato comunque meglio continuare con lui. Forse, il raggiungimento del fine doveva giustificare i “mezzi”. Questi, però, sono tutti “forse” e ragionamenti fatti a posteriori. Allora, a caldo, la situazione era diversa. Sopportare le “mattane” di Wes in allenamento – vogliamo parlare della tante volte in cui anzichè fare riscaldamento con la squadra entrava in sauna vestito di tutto punto?? – proteggerlo dai guai che combinava fuori dal campo  era diventato difficile e complicato per tutti. Così, giustamente, prevalse la “Ragion di Stato”. Così, giustamente, la Pallacanestro Varese tenne fede alla sua fama di club di galantuomini. Però, per rispondere alla domanda, ho l’impressione che una “testa” come quella di Wes, che non aveva paura di niente e aveva il senso della sfida nel sangue, ci avrebbe portato un passo oltre. Anche con Meo fuori dai giochi e specialmente contro la Scavolini del suo “amico” Daye, per il quale Matthews non nutriva ‘sta gran considerazione”.

Cosa resta di quella stagione e cosa ti resta di quella foto?
“Per la stagione resta, per mille ragioni, il rammarico di aver messo insieme una bella “incompiuta”. Per la foto, il privilegio di aver conosciuto e nel mio piccolo aver aiutato tanti ottimi giocatori, ma soprattutto bravi ragazzi. Nei miei anni da team manager – sono stato uno dei primi in Italia con quel ruolo -, mi sono divertito e la loro frequentazione mi ha arricchito. Che poi – conclude sereno Lucarelli -, è la cosa che conta di più”.

Massimo Turconi