Il presente, si sa, è incerto e la frase più frequente che più si sente sussurrare in questo periodo “bastardo e sospeso” è: “Si naviga a vista”. Del domani, si sa pure questo, “non v’è certezza”. Così, di fatto, se vuoi argomentare di pallacanestro non ti rimane che il passato.
Poi, siccome l’invito è “Restate a casa”, non resta altro da fare che provare a mettere un po’ d’ordine in un archivio sempre troppo incasinato. Dai cassetti e dagli scaffali saltano fuori libri, appunti, foto, ritagli di giornale e chi più ne ha, più ne metta.
Foto. Tante. Ognuna delle quali racconta una storia. Cristallizza un momento. Movimenta ricordi. Trascina emozioni. Innesca spunti di riflessione. E tanto, molto d’altro ancora.
La foto di oggi (foto a destra) fissa nello sguardo l’immagine di Dino Meneghin. “Super Dino”. “Dino Dino”. “Monumento Nazionale” della pallacanestro italiana. “Il primo italiano da NBA”. “Il giocatore di basket italiano più rispettato e conosciuto nel mondo”. E via di questo passo con mille altri soprannomi. Con mille altre similitudini immaginifiche.
Lo so, nel caso di Dino Meneghin avrei potuto scegliere centinaia di altre foto, alcune delle quali certamente più belle e/o suggestive. Tuttavia, siccome questa rubrica ha un titolo preciso – “Una foto, una storia” -, più che soffermarmi sulla prima, preferisco andare direttamente al secondo aspetto, quello che la “storia”. Che poi, quando parli del “Menego”, devi sempre mettere la “S” maiuscola.
Dunque, l’anno è il 1979, la situazione è un derby tra Varese e Cantù, giocato però al Pianella e Dino svetta a rimbalzo sotto lo sguardo quasi impaurito, certamente sorpreso di Dave Batton, americano di Cantù. Ho scelto questo foto perché Dino, sulla canottiera Emerson, sfoggia lo scudetto, l’ultimo da lui conquistato (nella primavera del 1978) nel corso della sua luminosa, strepitosa carriera varesina.
Ho scelto questa foto perchè, sotto il profilo tecnico, trasmette il senso di potenza fisica, di forza, di dominio sotto i tabelloni che Meneghin ha esercitato in tutta la sua interminabile vicenda cestistica.
Ho scelto questa foto per ricordare cos’è stato e cos’ha rappresentato Dino Meneghin per la pallacanestro “a Varese” e per la Pallacanestro Varese. Pur consapevole che una foto, una sola, non può certo bastare per rendere “visibile” la grandezza di Dino.
A questo punto, dopo aver fatto accenno a “spunti di riflessione”, vorrei, se mi è consentito, gettare idealmente sul parquet di Masnago un’idea, una proposta. Circa quattro mesi fa l’Armani Olimpia Milano, con una cerimonia solenne tenutasi al Forum di Assago, ha ritirato ufficialmente la maglia numero 11 di Meneghin. Quindi, a costo di fare la figura dei “copioni” perché non fare altrettanto a Varese, ma con ancora più amore, affetto e partecipazione celebrare e rendere omaggio ad uno dei più grandi campioni, anzi, bando alle incertezze, al più grande, immenso campione prodotto dallo sport varesino.
In fondo, la storia di Dino Meneghin la conosciamo un po’ tutti. Sappiamo che è nato ad Alano di Piave il 18 gennaio 1950, ma tutti sappiamo e sottolineiamo con forza ed orgoglio che Dino è cresciuto e diventato giocatore “vero” e inimitabile a VARESE.
Quindi, che cosa ancora ci “vieta” di tributare un grandissimo applauso e un calorosissimo abbraccio al “nostro Dino”? Quali ostacoli ancora si frappongono fra Dino e un riconoscimento che, senza se e senza ma, dovrebbe essergli già stato tributato da tanti, tanti anni?
Meneghin, in diverse occasioni, è già stato premiato dalla Città che lo ha insignito della cittadinanza onoraria e della “Martinella”, il Comune di Varese, e della “Girometta d’Oro”, la Famiglia Bosina. Poi, e non potrebbe essere altrimenti, Meneghin è già 3 volte inserito nella “Hall of Fame”: quella mondiale a Springfield, uno dei pochi italiani che ne fanno parte; in quelle europea e ovviamente, in quella varesina.
Adesso, però, serve uno scatto in avanti. Adesso non rimane che l’ultimo, doveroso, atto. Non resta che l’ultimo, sentito, pubblico riconoscimento da parte della Varese che ama il basket e non solo quella. Così, forse, speriamo, sulle volte del Palasport Lino Oldrini insieme ai tanti stendardi che celebrano vittorie di Scudetti, Coppe Campioni, Intercontinentali e via discorrendo, potremo ammirare anche le maglie dei nostri campioni. Dico maglie perchè mi piacerebbe, piacerebbe a tanti in realtà, che dopo Dino Meneghin toccasse anche ad altri il privilegio, e il prestigio, della “maglia ritirata”.
Nomi, del resto, ce sono a bizzeffe: da Ossola a Morse, da Zanatta a Flaborea, da Vittori a Yelverton, dal “Poz” a Meneghin Andrea e potrei citarne parecchi ancora. Si parta dunque dal “Menego” per iniziare una tradizione che Varese merita. Un momento che Varese aspetta da tempo.
Massimo Turconi