La stagione era iniziata alla grande per la Varesina, con quattro vittorie in altrettante partite e un gruppo più unito che mai. Il rammarico in casa delle Fenici è tanto, non solo per quanto riguarda la prima squadra ma anche per il prezioso settore giovanile della società, che conta oltre 600 tesserati. Il direttore sportivo Massimiliano Di Caro ha tracciato un quadro molto preciso della situazione soffermandosi sulle molteplici conseguenze dello stop, economiche da un lato, sociali e psicologiche dall’altro, ora che tantissimi bambini e ragazzi si vedono nuovamente costretti a stare lontano dai campi, dove inseguivano la loro passione in tutta sicurezza.

Che cosa pensi di questa decisione? Sembra paradossale che venga sacrificato proprio lo sport, dove veniva prestata la massima attenzione alle norme.
Questa ordinanza è una contraddizione se pensiamo a quello che succede in altri ambiti come il trasporto pubblico, con le fermate di pullman e metro senza controllo, o a tutti quegli ambienti che non sono regolamentati bene e che ci hanno portato a vivere ancora una situazione difficile. A febbraio/marzo, quando ci si è dovuti allineare alle richieste del governo, ci siamo impegnati per fare le cose al meglio, attrezzandoci sin da subito perché i ragazzi potessero vivere in un ambiente sicuro. I numeri ne sono la conferma: ad oggi, a parte due positivi in estate al rientro dalle vacanze, non c’è stato alcun problema di contagio all’interno del gruppo, proprio perché c’erano protocolli molto stringenti a cui abbiamo dato grande peso. Durante queste settimane sono state rinviate partite, ma tutte per casi di contagi esterni al calcio. Personalmente, tutti i giorni avevo davanti agli occhi una situazione abbastanza chiara, ovvero che a differenza di quanto dicevano in molti, i positivi non arrivavano dal settore sportivo. Rimango perplesso per il fatto che ci abbiano permesso di ripartire per poi richiudere tutto dopo neanche un mese. Dietro la ripresa dell’attività c’è un grande discorso economico, visto che come società abbiamo investito in buona fede nella stagione che stava per cominciare, con l’iscrizione di tutte le squadre e l’adeguamento dei centri per garantire il rispetto delle norme. Per tanti motivi credo che chi di competenza dovesse analizzare meglio la situazione”. 

In effetti, sembra che la decisione sia stata presa senza pensare all’impatto economico.
“In una categoria importante come l’Eccellenza, per alcuni giocatori il calcio è un vero e proprio lavoro, così come per preparatori, fisioterapisti o per gli stessi allenatori. Sono tante persone che da un giorno all’altro si ritrovano in questa situazione, mentre le società si vedono costrette a fare le loro valutazioni economiche. Noi abbiamo scelto anni fa di fare calcio in modo professionale e vogliono andare avanti in questo modo. Intorno alla Varesina c’è un movimento importante di circa 650 tesserati, come succede in tante altre società di Eccellenza, quindi c’era bisogno di più sensibilità prima di fare una scelta del genere”. 

Una scelta arrivata in modo brusco, probabilmente conseguenza di una scarsa organizzazione.
“Sono veramente triste perché vedo in chi ci comanda troppa approssimazione nel gestire le situazioni. Penso anche che il mondo dei dilettanti sia poco riconosciuto e poco conosciuto e che venga sottovalutata la sua importanza sociale. Anche i comitati regionali avrebbero potuto fare qualcosa di più, perché si ha avuto molto tempo per pensare a come comportarsi. Già ad agosto, infatti, avevo detto a Baretti che secondo me sarebbero potute sorgere problematiche e che il protocollo del Crl doveva essere più preciso. Se una società come la mia si è organizzata in una settimana, non vedo come queste entità non siano riuscite a capire come rendere l’attività gestibile per tutti. Rimango allibito e amareggiato perché chi ci rimette sono i ragazzi”.

Dopo tutto quello che abbiamo passato, quanto sarà pesante per loro questo nuovo stop?
Privare i ragazzi della possibilità di praticare uno sport è allucinante, visto che potevano giocare in società sportive che garantivano un ambiente sicuro. Nelle ultime ore ho avuto una dimostrazione importante da parte di molti genitori, che mi hanno detto che si sentivano tranquilli sapendo che stando da noi i loro figli non correvano rischi. Ora, con questa decisione presa un po’ alla leggera, si è creato un problema sociale importante. Mi fa arrabbiare che venga tolta ai ragazzi un’attività sana che fa crescere, che insegna a comportarsi secondo le regole e ad avere rispetto per compagni e avversari. Lo sport ha un valore intrinseco incredibile, quindi pensare di risolvere questa situazione sacrificandolo mi lascia allibito. È un’impressione che abbiamo tutti perché anche i miei colleghi stanno dicendo le stesse cose. Se poi tornerà in vigore la didattica a distanza, questi ragazzi passeranno sei ore davanti al computer per fare lezione, dopodiché, non avendo altro da fare, sceglieranno la PlayStation o il telefonino. Quando abbiamo ripreso ad agosto, alcuni erano completamente da recuperare dal punto di vista mentale perché vivere situazioni legate soltanto al mondo digitale non fa bene. Sono incredulo davanti a questa scelta e spero che le scuole vengano chiuse per ultime, solo nel caso in cui dovessero esserci ancora problemi. Sono un ambiente organizzato alla perfezione con una percentuale di contagiati ridicola: è assurdo pensare che lo sport e la scuola siano responsabili dell’aumento dei casi”.

La speranza è sempre l’ultima a morire, ma vista la situazione sembra improbabile che dopo il 6 novembre lo sport abbia di nuovo il via libera. Secondo te questo stop potrebbe trasformarsi in un addio alla stagione?
“L’impressione che ho io è che fino a fine dicembre fermeranno tutto. Abbiamo già vissuto mesi in cui ogni settimana prorogavano le restrizioni in modo da potersi prendere tempo per decidere. La data del 6 novembre serve da palliativo perché ci vorranno settimane per capire se la situazione rientrerà o no. Sono molto negativo sotto questo punto di vista e sulla stagione in generale. La cosa più positiva a cui posso pensare è che si riparta in primavera per tornare in qualche modo alla normalità, ma bisogna vedere se saranno in grado di studiare un format per poter giocare. Nel frattempo non allenarsi è limitativo: capisco che non vogliano far disputare le partite per evitare gli spostamenti, ma almeno nel settore giovanile si poteva trovare un modo per continuare gli allenamenti e tenere impegnati i ragazzi facendo le cose per bene”.

Quanto alla prima squadra, imposterete un programma di allenamenti individualizzato?
“Sì, daremo sicuramente ai ragazzi un programma da seguire a casa e cercheremo di tenerli in una condizione decente, appellandoci alla loro professionalità. Sinceramente non ho dubbi al riguardo perché abbiamo un gruppo incredibile, serio e intelligente. Al di là dei punti in classifica, avevo l’impressione che la squadra avesse piena coscienza delle proprie capacità e il dispiacere è ancora più grande perché stava nascendo qualcosa di importante all’interno del gruppo. Anche negli anni passati abbiamo lavorato tanto per raggiungere grandi obiettivi, sia in prima squadra che nel settore giovanile, e ad agosto siamo partiti alla grande in tutte le categorie, con i nostri bambini e ragazzi attaccatissimi alla maglia. Nei nostri centri si respirava un’aria speciale e vedere tutto fermarsi così da un giorno all’altro ci lascia delusi”. 

Come affronterete questo periodo?
Bisognerà stringere i denti ancora e cercare di dare ai ragazzi le giuste motivazioni, sperando che questo secondo stop non li demoralizzi. In questo momento abbiamo la responsabilità sociale di mantenerli attaccati al mondo Varesina. Già quest’estate era stato fatto uno sforzo incredibile, visto che dopo un giorno di preparazione ci eravamo dovuti fermati per riprendere poi il primo settembre, facendo un lavoro importante per rientrare in condizione. Tra il lockdown e la seconda quarantena, alcuni erano allo stremo, anche a livello psicologico, perché fermarsi senza sapere quando si potrà ripartire è veramente difficile. Come società abbiamo toccato con mano le problematiche scatenate da questa situazione. L’augurio è di poter riprendere il prima possibile, ma realisticamente sarà complicato”.

Silvia Alabardi

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