Poco dopo la laurea al Politecnico di Milano, il brunellese Claudio Marsegan ha accettato di attraversare l’Oceano Atlantico per lavorare in un’azienda di Bethesda, una cittadina appena fuori Washington, “una sorta di Cologno Monzese, ma più ricca”. Quella che doveva essere un’esperienza di qualche mese, è tramutata presto in una scelta di vita radicale legata prima solo al lavoro e poi anche e soprattutto all’amore per Joy, giovane avvocato americano con la quale si è sposato nel 2018. E ora, dopo 7 anni di USA, Claudio si appresta a diventare anche papà di una bimba che è attesa per i primi giorni di maggio.
Per lui e per Joy, dunque, queste sono settimane di gioia, emozioni e anche un po’ di apprensione per quello che sta succedendo sul tema Coronavirus. Pure in America, infatti, il virus si sta diffondendo e sono stati adottati dei provvedimenti. 

Da lunedì 30 marzo è iniziato il lockdown. Che cosa comporta concretamente?
“Nella nostra zona, chiamata DMV perché è un triangolo formato da DC, Maryland e Virginia, il lockdown è simile a quello italiano, ma per adesso con un po’ meno restrizioni: si può ancora uscire per fare attività fisica o per passeggiare per il quartiere, ma sempre tenendo due metri di distanza con le altre persone; non si ci può riunire al parco né andare al cinema, a teatro o a fare shopping. Bar e ristoranti sono ancora aperti, ma solo per asporto o consegna a domicilio. Ci si può recare in ufficio per lavorare, anche se è consigliabile farlo da casa, e non ci sono certificazioni da stampare né le forze dell’ordine per strada a controllare e far rispettare i divieti. Ovviamente, supermercati e farmacie sono aperti e non c’è la restrizione di quante persone possono esserci all’interno o di quante persone dello stesso nucleo familiare possono recarsi a fare la spesa. Prevedo, però, che nelle prossime settimane anche questa libertà verrà negata”.

Com’è la situazione contagi? Che clima si respira negli USA?
“La gente non ha ancora capito che deve stare a casa per evitare di essere contagiata e di contagiare gli altri. I più conservatori vedono il lockdown come un attacco alla loro “libertà”. Fortunatamente sono una minoranza, ma ci sono e mettono in pericolo le categorie più a rischio. Il numero di contagi confermati e di morti aumenta ogni giorno e secondo le statistiche ed i dati attuali sembra che i numeri siano allineati con quelli italiani di due-tre settimane fa. Secondo me, però, la situazione qui sarà anche peggiore e durerà più a lungo perché in tutti gli USA ci sono 320 milioni di abitanti, cinque volte più che in Italia. Inoltre, gli americani tendono a non andare dal dottore perché costa tempo e denaro (sia con che senza assicurazione sanitaria) e quindi ci sono sicuramente più casi di quelli ufficiali”.

Lo stop è stato dato ai campionati professionistici e lo stesso vale per quelli amatoriali?
“Tutti gli sport sono fermi. La NBA è stata la prima a chiudere dopo il caso Rudy Gobert, seguita a ruota da NHL, MLB, MLS e tutti gli altri. L’unico sport che non è fermo è il wrestling della WWE, anche se fanno show senza pubblico e a ranghi ridotti. Anche le leghe amatoriali e locali sono ferme. Io gioco a calcio a 7 in quello che si può considerare l’equivalente americano del CSI e anche questa lega è ferma da inizio marzo”.

Vai al lavoro o lavori da casa?
“Sono un ingegnere per la sicurezza e faccio studi di sicurezza per piattaforme petrolifere, impianti chimici ed impianti di liquefazione e rigassificazione di gas naturale per Ellicott City, Maryland. Sia io che Joy già da prima del Coronavirus lavoravamo uno o due giorni la settimana da casa, ma dal 15 marzo ci siamo auto-isolati e lavoriamo full time da casa. Per noi essere in ufficio o a casa non cambia molto, è solo un po’ più lenta la connessione e ogni tanto il gatto ci salta sulla tastiera”.

Che cosa è cambiato nella tua vita quotidiana da qualche settimana a questa parte?
“Il più grosso impatto è che ora non devo più guidare 30 minuti per recarmi in ufficio ma dalla camera da letto scendo in salotto in circa 10-15 secondi! L’altro grosso cambiamento è ovviamente il non poter più andare al bar o al ristorante con gli amici o le sorelle ed i genitori di Joy. Ma viviamo questo periodo come un test in attesa della nascita della bimba che avremo ad inizio maggio”.

Sei preoccupato per Joy e per la nascitura? Avete già organizzato il tutto?
“La cameretta è pronta, abbiamo quasi tutto. È difficile trovare salviettine umidificate, visto che la gente le compra immediatamente. L’unica preoccupazione sta nel fatto di cercare di non prendere il virus perché l’ospedale potrebbe non permettermi di entrare in sala parto se io sono positivo e, peggio ancora, la bambina verrà tenuta lontana da noi per 14 giorni se uno di noi è positivo. Quindi stiamo a casa, non vediamo nessuno, ed io vado a fare la spesa una volta alla settimana ed alle 11 di sera, quando ci sono solo poche persone in giro”.

Che cosa ti raccontano i tuoi che vivono a Brunello e i tuoi amici italiani? Come ti sembra dagli USA la situazione che stiamo vivendo qui?
“Sono sempre in contatto con i miei genitori e con amici e parenti. È per questo motivo che io e Joy siamo in quarantena da prima che fosse annunciata ufficialmente, già sapevamo come sarebbe andata a finire. L’America è in ritardo di due o tre settimane rispetto all’Italia, ma si è mossa tardi. Sia a livello personale che a livello di Governo, non hanno imparato nulla dalle notizie che arrivavano dall’altra parte dell’oceano e secondo me hanno sottovalutato il problema”.

 Laura Paganini