Originario di Varese ed ex giocatore di hockey, Marco Vischi vive da sei anni a Praga. Verso marzo il Coronavirus è arrivato anche in Repubblica Ceca, dove il governo ha risposto con apposite misure di contenimento. A livello di contagi, la situazione è piuttosto controllata e ben lontana dalle tristi statistiche registrate nel nostro Paese. Marco spiega le tempistiche della quarantena e come sta affrontando questa emergenza sanitaria e parallelamente economica.

Come procede la quarantena in Repubblica Ceca?
“Non si avverte il clima di paura e non c’è un vero e proprio obbligo di restare a casa, più che altro si fa appello al buon senso della gente. Il problema qui è iniziato dopo le vacanze invernali perché 30000 cechi erano andati a sciare in Italia e al loro rientro si sono verificati i primi casi, anche se la causa non sarà stata solo quella. Comunque la situazione non è eccessivamente grave e per ora ci sono stati circa 7400 casi e un po’ più di 200 decessi. Da subito sono state rese obbligatorie le mascherine per uscire, a differenza di quanto successo in Italia, dove sentivo che fino a poco tempo fa erano facoltative. Sinceramente non so quanto possano proteggere, però è comunque una sicurezza in più. Scuole, centri commerciali e negozi sono chiusi dal 10 marzo e questo stato di emergenza è stato fissato fino al 3 maggio, poi dipenderà da come si evolverà la situazione. Per il momento non c’è più l’obbligo di andare in giro in due persone al massimo; si può uscire, anche per fare attività fisica, e formare gruppi fino a dieci persone mantenendo la distanza di sicurezza. Qualche giorno fa hanno anche detto che forse saranno ammessi i viaggi all’estero, sempre che il paese di arrivo lo permetta, però quando si rientra bisognerà mettersi in auto-quarantena per 14 giorni. In generale è un po’ strano vedere le attività chiuse e come è cambiato il modo di vivere: si va avanti lo stesso ma anche qui la vita è molto diversa”.

A livello personale, stai risentendo di questa crisi?
“Purtroppo sì perché è da un mese che sono a casa. Sono un libero professionista e ho vari clienti italiani che normalmente vengono di persona a Praga per poter organizzare le attività. Ora il fatto di non poter viaggiare è un problema perché per determinati aspetti è fondamentale la presenza fisica degli amministratori delle società, quindi al momento sono fermo”.

Come è intervenuto il governo ceco?
“Per il mese di aprile i lavoratori autonomi hanno potuto richiedere un sussidio di 25000 corone, quasi 1000 euro, che è arrivato abbastanza in fretta nel giro di una settimana. Per tutti è stato anche posticipato il pagamento dell’assicurazione sanitaria e sociale fino a settembre. Per ora il premier ceco ha detto che la riapertura delle frontiere ai cittadini di altri Paesi non è una priorità, però la città di Praga vive tantissimo di turismo e secondo me non può continuare così, senza visitatori, altrimenti alberghi, ristoranti e bar, che sono il centro dell’economia, subiranno un grave danno economico. Un altro cambiamento è il calo del prezzo del petrolio: adesso il diesel costa 85 centesimi di euro e la benzina 80”.

Quali le ripercussioni per il mondo dello sport?
“A inizio marzo hanno fermato tutti i campionati, sospeso le attività sportive, chiuso le palestre e al momento non hanno ancora indicato una data per un’eventuale ripresa. Mio figlio ad esempio gioca a hockey e con l’inizio dell’emergenza hanno fatto sgomberare subito gli spogliatoi e chiuso il palaghiaccio. Anche io giocavo qui a hockey su ghiaccio, non più professionalmente ma tra amici, quindi è da più di un mese che sono fermo. In Repubblica Ceca gli sport più popolari sono l’hockey e il calcio e secondo me per i professionisti potrebbe esserci qualche possibilità di riprendere gli allenamenti, però per le partite è più complicato e non so cosa potrebbe succedere”.

Che impressione ti sei fatto della situazione di emergenza in Italia?
“Penso che il governo si sia mosso in modo confusionario e che molti stiano pensando solo ai propri interessi. Sono sollevato che nella zona di Varese, dove vivono i miei genitori, la situazione non sia troppo grave come in altre città italiane che purtroppo sono state duramente colpite dal virus. Quanto allo stato di emergenza, leggendo le notizie su Internet non si sa mai a cosa credere: qualcuno dice che la situazione durerà mesi e mesi, qualcun altro che a breve il virus se ne andrà da solo. Io penso che indipendentemente dalle varie supposizioni, sta alla gente responsabilizzarsi e cambiare un po’ il proprio di stile di vita. A ogni modo secondo me bisogna riprendere a lavorare, altrimenti l’economia, che ha già avuto un grosso deficit, rischierà di crollare del tutto”.

Silvia Alabardi