Sono oltre 5000 i chilometri che separano Varese da Rwentobo, villaggio a sud dell’Uganda quasi al confine con il Ruanda. Ed è proprio lì che Giorgio Scarpioni e la moglie Marta si sono stabiliti nove anni fa aderendo ad una missione dei Frati Minori Francescani. La fede, l’impegno e l’aiuto ai più bisognosi si è radicato e consolidato giorno dopo giorno e, nel frattempo, anche la famiglia si è allargata con l’arrivo di Anita e di George.
Nelle ultime settimane il Coronavirus, purtroppo, ha fatto capolino pure in Uganda e il rischio di un pericoloso contagio di massa sta condizionando i progetti sostenuti dall’associazione Ewe Mama e portati avanti da Giorgio, Marta e da tutta la comunità. Questo isolamento forzato, però, sta dando ulteriori spunti e stimoli a questi due ragazzi varesini di 37 anni dal cuore grande.

Che cosa vi ha portati in Uganda?
“Ho lavorato per sette anni nell’azienda di famiglia e Marta ha fatto lo stesso all’Anaconda di Varese, una cooperativa sociale che si prende cura di persone disabili. A poco a poco è cresciuto in noi il desiderio di dare una svolta autentica alla nostra vita, di darci una bella opportunità e di ascoltare ciò che ci dicevano il cuore e la fede. Nel 2012 Padre Carmelo, un missionario francescano, ci ha invitati in Uganda e ci ha esposto vari progetti da sviluppare. Abbiamo accolto la sua proposta e accettato questa sfida. Eccoci qui da 9 anni, dunque, in questo Paese straordinario. Rwentobo, in particolare, è molto verde, è in quota, ad oltre 1600 metri d’altitudine, e l’escursione termica giorno-notte, come ovunque in Africa, si sente parecchio. C’è pochissima malaria e le persone del posto sono di origine Bantu e sono molto tranquille”.

Di che cosa vi occupate?
“Abbiamo costruito un centro educativo per bimbi disabili dai 5 ai 18 anni, l’unico presente in Uganda, dal 2017 abbiamo aperto un orfanotrofio per bambini fino ai 12 anni e dallo scorso mese di gennaio abbiamo anche una scuola materna, totalmente realizzata grazie al contributo di un generoso varesino. Inoltre, diamo sostegno a distanza ad oltre 100 bambini di mamme vedove e in difficoltà. Lavorano con noi 55 dipendenti ugandesi e anche due volontarie che vengono da Verona e che rimarranno a Rwentobo almeno fino a fine anno”.

Hai portato la passione per il basket e per la Pallacanestro Varese anche lì.
“Non potevo non farlo. Ho giocato a pallacanestro per tanti anni fino a quando mi sono infortunato ad una spalla. Grazie all’aiuto di due famiglie varesine, abbiamo realizzato a Rwentobo un campo da basket dove quotidianamente ci sfidiamo. Lo sport aiuta i ragazzi fragili e li distoglie da una piaga molto profonda tra i più giovani come è quella dell’alcool. In Uganda, infatti, c’è la percentuale più alta al mondo di alcolisti tra gli Under 18 e la mia amata pallacanestro può essere una valida alternativa a non cadere in quella trappola”.

Il Coronavirus è arrivato purtroppo anche in Uganda.
“Ci sono 54 casi ufficiali, ma i numeri reali non si conoscono. In tutta l’Uganda, che conta oltre 40 milioni di abitanti, ci sono soltanto 12 posti in terapia intensiva e i respiratori si contano sulle dita di una mano. Ecco perchè, per evitare una diffusione più capillare, il Governo ha chiuso tutte le attività lo scorso 20 marzo ed è obbligatorio rimanere nelle proprie case. L’esercito presidia le strade e chiunque trasgredisce le regole è accusato di omicidio colposo e va incontro a pene non trascurabili”.

Com’è cambiato il vostro lavoro da qualche settimana a questa parte?
“Per rispettare le leggi abbiamo dovuto mandare nelle proprie case d’origine gli orfani e i bambini disabili. Ci è dispiaciuto tantissimo dover agire in questo modo, ma non avevamo altra scelta per non essere accusati a nostra volta di omicidio. Nella comunità siamo rimasti soltanto sette adulti e quattro dipendenti. Speriamo di ripartire dopo il 4 maggio quando, come in Italia, potrebbero riaprire alcune attività indispensabili come lo è la nostra”.

Come vi sentite?
“Sono molto dispiaciuto per quello che sta capitando qui e in tutto il mondo, Italia compresa. In Uganda ci sono tanti immunodepressi e sieropositivi e se il Covid-1 9 si dovesse diffondere capillarmente sarebbe una strage. Personalmente penso molto a come possiamo essere missionari anche in questa situazione, a come possiamo renderci utili ugualmente senza incontrare da vicino le persone come siamo soliti fare. Dobbiamo ricordarci che non conta solo il fare, ma dobbiamo condividere i valori di fede e di vita in tutte le relazioni e fermarci realmente e profondamente con chi stiamo bene”.

Avevate in programma di tornare in Italia a breve?
“Avremmo dovuto rientrare a Varese ad inizio giugno in occasione del matrimonio di mia sorella, ma al momento non sappiamo né se si riapriranno gli aeroporti né se la cerimonia potrà essere celebrata. Era nostra intenzione rimanere in Italia fino ad agosto, mese in cui sarebbero dovuti partire per l’Uganda alcuni ragazzi del decanato di Varese. Il condizionale a questo punto, però, è d’obbligo”.

Il vostro futuro è in Uganda?
“Pensiamo di rimanere a Rwentobo ancora un anno e poi tornare in Italia. Anita ha tre anni e a breve dovrebbe iniziare il suo percorso scolastico e vorremmo che lo facesse in Italia. Vorremmo recuperare le nostre radici, ma sicuramente per Rwentobo ci saremo sempre, saremo ancora il motore di questo progetto. Prima di congedarci, però, vogliamo lasciarlo in ottime mani e le due ragazze veronesi che sono con noi adesso potrebbero raccogliere la nostra eredità. Il Coronavirus ha un po’ condizionato i nostri piani, ma spero riusciremo a portare a termine quello che avevamo in mente”.

Per informazioni: www.ewemama.org

Laura Paganini