E’ stato un’icona per tutto il basket varesino e non solo, un grandissimo di questo sport che anche terminata la carriera ha deciso di rimanere all’interno del mondo della palla a spicchi, dedicando tempo ed energie soprattutto ai più giovani, il motore trainante di questa disciplina. Compie 83 anni, oggi, Paolo Vittori e lo fa con il sorriso per quello che lui stesso definisce una bellissima giornata.

Descrivere il giocatore Paolo Vittori sarebbe superfluo. Basta leggere il palmares, che recita 6 scudetti, 2 Coppe dei campioni in maglia Ignis, 3 Intercontinentali con la maglia gialloblu, una coppa delle coppe e una Coppa Italia; è stato due volte il miglior marcatore del campionato e ha partecipato a due Olimpiadi con la Nazionale; insomma, un vero e proprio totem in campo.
La cosa che però più stupisce, è l’immagine fuori dal campo dell’uomo Paolo Vittori, la genuinità, la sincerità e la spontaneità con cui parla di quello sport, la pallacanestro, che gli ha regalato tantissime emozioni. Con grandissimo onore abbiamo avuto il piacere di contattarlo, per fargli i migliori auguri di compleanno e per parlare di Varese, di Milano, della Nazionale, in una chiacchierata che sarebbe potuta durare ore, per la bellezza con la quale Vittori sa raccontare questo sport.

Buon compleanno Paolo, che festa è quella di oggi?
“Una festa bellissima, sono 83 anni. E’ un compleanno normale, nonostante tutto quello che è successo nell’ultimo periodo con il covid che ci ha messo un po’ tutti in difficoltà. Non mi sembra giusto stare a discutere su chi ha sbagliato, chi doveva fare una cosa o un’altra. L’importante è poter uscire presto da questa situazione soprattutto per i giovani, che possano trovare un po’ di lavoro e serenità. Sono degli auguri normali che mi sento di fare in questa giornata e che spero si possano realizzare. Personalmente mi auguro che da queste criticità si possa ripartire al meglio perché l’Italia è un paese che ha davvero tantissime eccellenze in molti campi e che spesso, purtroppo, vengono risucchiate da una massa che non è allo stesso livello. Dovremmo cercare di elevare e valorizzare invece questo patrimonio che abbiamo per ridare lustro e smalto al nostro Paese”.

Lei è uno dei padri fondatori del Torneo Garbosi che purtroppo da due anni non si è potuto svolgere a causa del covid-19. Quanto le è mancata questa manifestazione?
“Tantissimo. E’ un torneo che ti stanca, ti tiene molto concentrato e preso in tutto, speri che nessun ragazzo si faccia male e che tutti si possano divertire. Il premio più grande di tutta la fatica dell’organizzazione te la regalano i ragazzi con i loro sorrisi e la loro voglia di sport. Manca la soddisfazione mia, di Gianni, di Walter, di mio figlio, di quegli altri 7 che ci aiutano nell’organizzare, di vedere tutti questi ragazzi il lunedì di Pasqua tutti sorridenti, colorati, che non pensano a chi ha vinto o perso, ma solo allo stare insieme e al divertirsi. Poi, chiaramente, al divertimento si abbina anche il gioco e si vedono belle partite in un clima particolare. Vorrei invitare qualche gruppo ultras a venire al palazzetto i lunedì di Pasqua per capire davvero come si gioca a pallacanestro, senza spintoni o cose varie. Il Garbosi è un evento unico che nobilita la nostra bellissima città di Varese, che mi auguro possa essere sempre più bella e curata in tutto, non solo per quanto riguarda lo sport, ma anche a livello di strade, delle varie zone cittadine, perché se si chiama Città Giardino, tale deve essere anche poi la vera immagine che lascia”.

Ha parlato della città ed il collegamento alla squadra è d’obbligo. Come vede la Pallacanestro Varese e questo nuovo ciclo che si vuole aprire per cercare di riportare la squadra ai livelli, ad esempio, in cui giocava lei un tempo?
“Sicuramente quest’anno è stato complicato, abbiamo sofferto tutti, però alla fine sarebbe bastato un pizzico di fortuna in più ed avremmo anche potuto raggiungere i playoff. Non è stato facile nemmeno per Bulleri gestire tutta la situazione, con una squadra non costruita da lui, eppure che ha portato ha portato in porto. Ora si sente parlare di questo nuovo allenatore (Vertemati, ndr) che non sembra male, per continuare quel progetto di crescita ed italianità intrapreso dalla società e che a me piace. E’ chiaro che per competere servono i soldi, però avere delle buone idee a livello di programmazione è sempre qualcosa di importante. Al di là di quella che è la sola realtà varesina, si dovrebbe cercare di dare vita ad un basket che punti molto di più vivai, sui giovani, cercando di creare una fidelizzazione tra la società principale, come può essere Varese, e quelle più piccole della provincia. Un bacino nel quale tanti ragazzi, sotto i migliori allenatori, hanno la possibilità di crescere e, così facendo, quelli poi più portati, più bravi, dovrebbero essere segnalati dai rispettivi coach ed aspirare magari anche ad un posto in prima squadra. E’ un progetto semplice ma che evidentemente per tanti è complesso poiché nessuno lo mette in pratica, ma secondo me sarebbe sicuramente un’impostazione tra le migliori per ridare smalto al movimento ed anche risorse importanti per far crescere le squadre e le società”.

Non solo Varese nella sua storia ma anche Milano, con cui ha vinto 4 scudetti e che, dopo 29 anni, è tornata alle Final Four di Eurolega, classificandosi terza dopo aver battuto il CSKA Mosca nella finalina terzo quarto posto. Un risultato raggiunto grazie al grandissimo lavoro di Ettore Messina?
“Fa molto piacere che Milano sia riuscita a raggiungere le Final Four dopo tanti anni. E’ un risultato importante e che io penso sia anche arrivato per grande merito di Messina che è riuscito a gestire al meglio un ambiente non certo facile. Quando si arriva in squadre come l’Armani oggi si entra in una nuova dimensione, si parla di giocatori plurimilionari, che vengono da culture differenti, tutti che vogliono giocare, già pronti, che hanno una figura a livello di status sportivo importante. Penso che il lavoro più grande e il più decisivo che abbia fatto Messina sia stato proprio quello di riuscire a gestire tutta questa situazione, resistendo alle pressioni e facendo coesistere al meglio tutti i suoi giocatori. Così facendo ha dato anche una grande gioia al padrone, Armani, che spende un sacco di soldi da anni nella squadra. Lui è davvero innamorato della pallacanestro e penso sia stata una giusta soddisfazione”.

Tra poco ci saranno le Olimpiadi. Cosa si aspetta dalla Nazionale? Le è piaciuto il lavoro di Sacchetti in questi anni alla guida degli azzurri?
“Sì, il lavoro di Sacchetti mi è piaciuto molto. E’ un serio professionista, non lo conosco di persona, ma credo che sia uno che non accetta molti compromessi. Se lui vuole fare una cosa la fa. Se ha un’idea cerca di portarla a termine fino in fondo. E’ un allenatore che sa farsi rispettare dalla squadra, perché se monti su una Ferrari devi essere capace poi di guidarla. La squadra se va completa e i giocatori giocano uno per l’altro, allora possiamo avere le nostre soddisfazioni. Poi ci vuole sempre un po’ di fortuna perché basta un tiro sbagliato o un rimbalzo che al posto che andare a destra va a sinistra e cambia tutto. Però mi auguro davvero che la squadra possa fare bene”.

Alessandro Burin

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