Oggi non solo in casa Pallacanestro Varese, ma in quella di tutto il basket italiano è una giornata speciale, il giorno del compleanno di un ex giocatore che ha cambiato le regole di questo gioco, impostandone di nuove, tutte sue, che hanno reso il basket qualcosa di unico: Gianmarco Pozzecco.

La Mosca Atomica compie oggi 49 anni e, alla soglia del mezzo secolo, si può anche provare a tracciare un bilancio di quella che è stata una vita spesa per il basket, vissuta all’estremo, senza mezze misure, nel bene e nel male. Un percorso iniziato nel 1991 a Udine, prima di dare i veri assaggi della sua pallacanestro a Livorno due anni più tardi, con cui gioca e si mette in mostra fino al 1994, estate in cui fa il grande passo della carriera e quello che si rivelerà uno dei più importante, probabilmente il più forte della sua vita professionale e non solo: il matrimonio con Varese.

Nella Città Giardino il Poz si mette in mostra per le grandissime qualità tecniche, di visione e gestione di gioco che gli permettono di essere decisivo nonostante la sua statura non così elevata, 180cm. Una caratteristica che sarebbe potuta essere un problema per tutti gli altri ma non per lui, che per 7 anni di fila si consacra come miglior assist man della massima categoria italiana, culminando la sua esperienza in biancorosso con lo storico scudetto della Stella dal 1998-1999. Un trionfo che porta Gianmarco nell’olimpo del basket italiano e varesino, elevandolo a leggenda di una società e di una città che in lui vedeva il capo popolo di un gruppo che mai nessuno ad inizio stagione si sarebbe aspettato vedere campione d’Italia a maggio.

Il matrimonio tra il Poz e Varese non si è mai davvero interrotto, nonostante tra il 2001, hanno in cui lasciò Varese ed il 2014, quando tornò a casa come allenatore, passarono ben 13 anni in cui Pozzecco portò la sua pallacanestro e tutto ciò che ne consegue in giro per l’Italia e per il mondo. La pazzia è la qualità che gli permise di farsi amare da una delle principali acerrime “nemiche” proprio della sua Varese, la Fortitudo Bologna, con cui sfiorò il trionfo in Eurolega e campionato. Le frizioni con Repesa lo spinsero però lontano dal capoluogo emiliano e da lì iniziò un pellegrinaggio che terminò nel 2008, anno dell’addio al basket giocato.

In mezzo a tutto questo il Poz ci ha messo un argento alle Olimpiadi con la Nazionale ad Atene 2004, in un’esperienza molto turbolenta con la maglia azzurra del suo grande mentore Charlie Recalcati, unico forse davvero in grado di comprendere, gestire e saper elevare al massimo le qualità del play triestino in campo e fuori.

La sua carriera è fatta di eccessi e colpi di testa che lo hanno reso personaggio istrionico e lo hanno accompagnato nelle sue esperienze in panchina. Celebri le conferenza stampa a Capo D’Orlando, dove prende una squadra in piena crisi e la porta a giocarsi le finali di categoria in A2. Questa esperienza lo lancia nel panorama del basket di Serie A e lo porta nel 2013 alla sua amata Varese, in un ritorno che sembra la chiusura di un cerchio apertosi quasi 20 anni prima.

La sua vita sulla panchina biancorossa però si conclude a metà stagione con le dimissioni del Poz allenatore, forse troppo giovane ancora, forse troppo coinvolto, in un ruolo, su un panchina, dentro una Città a cui Pozzecco ha sempre voluto troppo bene. Si rifarà con Sassari più avanti ma resta con quel cruccio suo e di tutta Varese per un matrimonio che non doveva finire così ma che anche per solo un breve periodo regalò emozioni uniche, come il derby vinto con Cantù in casa all’esordio o lo strappo della camicia nel derby contro Milano.

Nel giorno del compleanno del Poz, oggi assistente di Messina a Milano, l’elogio alla follia del suo basket, del suo modo di essere personaggio divisorio per i modi di fare ma indiscutibilmente vincente e amato è d’obbligo. Rappresenta Varese ancor oggi nel mondo, perché chiunque senta il nome di Gianmarco Pozzecco pensa subito alla Pallacanestro Varese e viceversa e forse la magia di questo lungo viaggio sta proprio tutta qui.

Tanti auguri Poz.

Alessandro Burin

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