Chi avrebbe immaginato, lo scorso settembre, che il campionato di Promozione sarebbe durato solo tre giornate? Tra le squadre della nostra provincia, una delle più attrezzate era la Besnatese, che dopo il terzo posto dell’annata precedente e un ottimo calciomercato estivo, aveva iniziato la nuova stagione a spron battuto, con due vittorie e un pareggio in campionato e la qualificazione a punteggio pieno ai sedicesimi di Coppa Italia.
Poi un altro stop, la speranza che qualche mese sarebbe bastato per arginare la seconda ondata e infine, qualche settimana fa, l’amara consapevolezza che un’eventuale ripresa in primavera è impossibile. La buona notizia è che l’8 febbraio la società ha riaperto il Besnabeu per gli allenamenti individuali delle squadre giovanili. Tra queste, i 2012 di Nicolò Dall’Omo, centrocampista biancoblù classe ‘94 che, sebbene al momento non possa servire assist ai compagni, è tornato finalmente in campo in qualità di mister, un ruolo che ricopre dal suo arrivo a Besnate nel 2019. Ecco la sua analisi a 360 gradi della situazione attuale, dal punto di vista delle giovanili e della Prima squadra.
C’è stata una buona adesione da parte dei bambini e delle loro famiglie? Come avete trascorso il periodo di lontananza dal campo?
“I miei bambini stanno venendo tutti. Prima allenavo solo i 2012, ora invece mi hanno affidato anche i 2013 e, siccome tra le due annate sono una ventina di bambini, sto lavorando insieme a Randon. Prima di riprendere abbiamo sentito i genitori per capire chi volesse ripartire o meno e hanno accettato tutti, anche chi a settembre non se l’era sentita. I bambini a casa stavano impazzendo e in questi mesi ci siamo visti su Zoom per 40 minuti due volte a settimana per fare allenamento online. Facevamo dei palleggi, un po’ di tecnica e poi i bambini proponevano un esercizio. È stato divertente e mi piacerebbe riproporre questa cosa anche adesso, magari al sabato quando prima avevamo la partita”.
Ora come sono strutturate le sessioni di allenamento?
“Prima gli allenamenti duravano quasi due ore, dalle 17:45 alle 19:30, mentre adesso facciamo solo un’ora perché abbiamo gli ingressi alternati. I bambini arrivano 15 minuti prima, consegnano l’autocertificazione, si igienizzano le mani e viene misurata loro la temperatura. Non usiamo gli spogliatoi, non facciamo partitelle o esercizi con contatto fisico, disinfettiamo i palloni e finiamo sempre all’ora prefissata in modo che i gruppi non incrocino le altre squadre e non si creino assembramenti. Spesso l’ultima attività dell’allenamento sono i rigori, così dopo aver calciato il bambino esce e va dai genitori, che non possono entrare al campo ma aspettano i figli fuori. Sono tutte piccole cose che messe assieme funzionano. Considerato tutto quello che sta succedendo, anch’io come allenatore mi sento più tutelato e sicuro con queste normative. Sperando che poi con i vaccini vada tutto bene, in questo momento bisogna essere rigorosi con le regole per non fare la stessa fine di ottobre. Da questo punto di vista la Besnatese è molto attenta e ha una buona gestione degli allenamenti, che sono ben bilanciati e distribuiti nell’arco della settimana, compreso il weekend”.
Nella tua squadra c’è anche una piccola calciatrice. Come si trova nel gruppo? Pensi che il calcio femminile abbia margini di crescita?
“Esatto, quest’anno in squadra ho una bambina, Aurora, e secondo me quando bambini e bambine giocano a pallone assieme non c’è alcuna differenza. Ognuno, maschio o femmina, ha le sue caratteristiche e il suo modo di essere, ad esempio c’è chi è più timido, attento o agitato. Quando Aurora è arrivata era molto carica e piena di energia e con questa sua voglia incredibile è migliorata a vista d’occhio. Nelle poche partite che abbiamo fatto l’anno scorso, dopo un ragazzino è stata quella che ha segnato più gol e se adesso ci fosse il campionato giocherebbe tanto, perché indipendentemente dal fatto che siano femmine e maschi, secondo me è giusto lasciare più spazio a chi si impegna. A questa età la cosa più importante è la motivazione, che notavo anche quando ci collegavamo su Zoom. È un fattore che fa capire se al bambino o alla bambina piace davvero il calcio e che in prospettiva può fare la differenza, a prescindere che poi diventino calciatori di Serie A o di terza categoria. Aurora adesso fa cose che mi lasciano a bocca aperta e corre finché le reggono le gambe. Si allena con i bambini della sua età, anche se le bambine potrebbero allenarsi con quelli di un anno in meno, e per questo è ancora più determinata. È ben integrata nel gruppo e i bambini sono tutti bravissimi dal punto di vista del comportamento: la trattano come una di loro e non hanno mai scherzato sul fatto che giocasse a calcio. Sono molto orgoglioso di questa cosa, che in realtà dovrebbe essere normale, e spero che sotto questo aspetto tutti i bambini siano come i miei. Gli esercizi che facciamo sono uguali identici per tutti. I concetti di base che si iniziano a fare da piccoli e su cui insisto agli allenamenti, come lo stop e il posizionamento del corpo, non sono complicati e a furia di ripeterli si imparano; poi ovviamente ci sono i più talentuosi, che possono essere bambini o bambine, ma a livello coordinativo non c’è differenza. Io penso che nel calcio non ci sia tutta questa discriminazione tra maschi e femmine che magari qualcuno immagina e secondo me sarebbe bello convincere più bambine a scegliere questo sport. È un discorso anche in prospettiva, visto che tra qualche anno il calcio femminile diventerà professionistico e molte aziende stanno investendo per sponsorizzare le donne. A livello di business ci si sta muovendo in quella direzione, che per me è una cosa giusta e ne sono felicissimo. Se già adesso il mondo del calcio femminile si sta attivando, tra 5/10 anni o spero anche prima avrà un boom incredibile. Per ora, però, ai tornei vedo pochissime bambine e mi spiace perché il calcio è uno sport bellissimo, per tutti. Qualche anno fa ho iniziato ad appassionarmi anche al calcio femminile e quando l’Italia si è qualificata ai mondiali del 2019 ho seguito le partite ed è stato bello. È stata anche la svolta che ha portato più persone a interessarsi al calcio femminile, in cui ci sono molte ragazze talentuose. Spero che più bambine possano avvicinarsi al calcio e che non sia visto come uno sport maschile”.
Parliamo un po’ di Prima squadra. A quattro mesi dalla tua ultima partita, come ti senti?
“Mi manca giocare a pallone, ma capisco che in questo momento sia impensabile tornare in campo. La Promozione, da sola, non può attrezzarsi per garantire la sicurezza al 100% e a queste condizioni riprendere sarebbe rischiosissimo, per noi e per le nostre famiglie. Mi spiace e penso che se lo Stato o la FIGC ci aiutassero, sostenendo economicamente le società per fare i tamponi, sarebbe anche un modo valido per tracciare meglio il virus e di conseguenza aiutare tante altre persone. Con un supporto di questo tipo e prendendo le dovute precauzioni, come pulire i palloni e non fare la doccia nelle strutture sportive, si potrebbe anche provare a ripartire, ma bisognerebbe farlo con un’altra ottica. Per il momento va bene così. Considerata la situazione, il calcio adesso passa in secondo piano”.
Secondo te, quanto potrà pesare questo stop per la tua squadra e la categoria? Cosa ti aspetti dal resto dell’anno?
“A questi livelli penso che stare fermi qualche mese non sarà un problema. Tutti i ragazzi che giocano in Promozione, Eccellenza o Prima categoria a livello fisico stanno bene, sono allenati e continuano a farlo anche adesso. È vero che non si sta giocando, ma andando a correre si mantiene la condizione dal punto di vista cardiocircolatorio. Seguendo una programmazione graduale, nel giro di qualche settimana si può rientrare in forma ed essere pronti per giocare una partita; magari non tutti i 90 minuti, perché smaltire una partita intera quando si è fermi da tanto è difficile e ricominciare a giocare ogni settimana può essere più faticoso, ma se si fa per gradi potremo riprendere, come abbiamo già fatto quest’estate. La mia speranza è che a settembre si riparta, ma con tutto quello che stiamo passando non ho la minima idea di cosa potrebbe succedere. In questo momento è difficile capire cosa sia giusto e sbagliato fare e dobbiamo vedere come andrà la situazione dei vaccini. Quello che vorrei è tornare a giocare a pallone il prima possibile in totale sicurezza”.
Silvia Alabardi