L’anno del covid-19 non ha solo tolto quella quotidianità sociale che aveva sempre contraddistinto le nostre giornate, ma anche la vita sportiva e quella possibilità di fare attività fisica che spesso fungeva non solo da modalità per tenere in forma il corpo, ma anche da vero e proprio anti stress psicologico dopo le pressioni della giornata di lavoro.
Una situazione che per molti versi ha portato, pur non facendo sport, a ritrovarsi in una difficile realtà di torpore muscolare e psicologico che, alla progressiva ripresa delle attività, si manifesta con sempre più frequenti problemi. E’ per tale motivo che la figura di chi cura il nostro corpo e gli acciacchi ad esso collegato si prefigura come più importante che mai, anche se l’accostamento ad un anno senza sport potrebbe quasi creare un parallelo ossimorico.
Il massoterapista Davide Malfatti, partendo dal suo percorso di studi, racconta la sua figura professionale e gli aspetti che va a curare nella sua attività quotidiana.
Cosa significa essere un massoterapista?
“La Massoterapia è un tipo di pratica riabilitativa che si occupa delle problematiche di tipo muscolo – scheletrico, lavorando sulle articolazioni ad esempio. Quello che cerco di fare è, tramite una terapia manuale come immobilizzazioni o massaggi, di ripristinare la parte danneggiata da una lesione o da altri problemi muscolari. Il massoterapista opera su problemi comuni come il dolore alla schiena, quello alla spalla, problematiche sia acute che croniche”.
Come mai ha deciso di intraprendere questa professione?
“Ho sempre avuto una passione nel cercare di capire il funzionamento del corpo umano in sé, a cui ho voluto abbinare anche la capacità di far stare bene le persone attraverso una terapia che non fosse farmacologica. Come massoterapista cerco di riportare la persona a quel benessere che ha perso magari a causa del lavoro, dello sport o di altre problematiche. Sicuramente il fatto di poter aiutare il prossimo in maniera concreta è ciò che mi dà più soddisfazioni. E’ chiaro che poi il corpo umano davvero è un sistema complesso e per questo sto andando avanti con gli studi in Osteopatia, per avere una visione a più ampio spettro di tutto quanto”.
Che percorso di studi ha fatto per raggiungere questo obiettivo?
“Mi sono avvicinato a questo mondo tramite la frequentazione del Liceo Scientifico ad indirizzo sportivo. Sono stato sempre appassionato delle materie scientifiche come biologia e chimica. La scoperta del corpo umano è stata qualcosa che mi ha affascinato. Non è un percorso semplice o breve, è lungo ci vuole impegno, passione e dedizione. Ho deciso di partire da Massoterapia prima di arrivare ad Osteopatia per avere già una base solida di conoscenza e poter iniziare a mettere in pratica sul campo già quanto di appreso nei tre anni di studio, in attesa poi di poter lavorare anche come osteopata”.
Qual è l’insegnamento più grande appreso finora?
“Penso che sia importante arrivare a far capire ai propri pazienti che è giusto ritrovare il proprio benessere. Non bisogna sottovalutare mai anche le problematiche più comuni perché possono sfociare magari in qualcosa di più grave come una periartrite oppure l’artrosi. E’ bene cercare, anche nel momento in cui si guarisce, di sottoporsi ad un controllo che vada ad anticipare il possibile riacutizzarsi del problema. La prevenzione anche nel nostro campo sicuramente si prefigura come qualcosa di importante”.
Davide oggi lavora sia come libero professionista che tramite un poliambulatorio che si chiama Malpensa Med presente a Varese ma ha dovuto superare l’anno forse più complicato in cui sviluppare una professione di contatto come la sua.
“Non è stato sicuramente un anno facile. Anche se ricevo in un Poliambulatorio, le persone erano restie a uscire di casa e quindi ho fatto molto servizio a domicilio. Francamente devo dire che, nonostante le difficoltà, me la sono cavata abbastanza bene. Secondo me anche la mancanza di contatto umano e sociale ha poi giocato un ruolo importante per quanto concerne il mio lavoro perché per il paziente avere la possibilità di un contatto con una persona esterna in una situazione del genere ha aiutato molto anche a livello psicologico”.
Quanto è importante il lato relazionale e di conoscenza del paziente nel suo lavoro?
“E’ fondamentale. Saper ascoltare una persona spesso è molto più terapeutico che la manipolazione in sé. Mi accorgo che molte volte il problema si risolve già in parte nella possibilità del paziente di aprirsi completamente parlando del problema e non tenersi dentro tutti i dubbi o le preoccupazioni. Nel mio lavoro, entrando in intimità con il paziente, toccando punti delicati o magari dolorosi della persona, si va ad abbattere il muro tra professionista e paziente, creando un rapporto empatico importante al fine di raggiungere quello stato benessere mente-corpo che poi è l’obiettivo del mio lavoro”.
Quanto ha inciso il fatto di non poter fare sport quest’anno nelle problematiche che si trova ad affrontare oggi?
“Ha inciso molto. Io sprono sempre a non rimanere nella sedentarietà ed a cercare di ritagliarsi uno spazio anche in casa per fare degli esercizi fisici. E’ chiaro che l’ultimo anno passato per moltissimi in smart working, senza la possibilità di recarsi in palestra o poter fare sport, ha portato diverse problematiche si vedono ora in maniera evidente. Sono stati colpiti il profilo psicologico e muscolare. Lombalgie, dolori cervicali, dolori alle spalle, formicolii alle dita, dolori al polso, sono tra le problematiche maggiori che si stanno riscontrando perché sono la diretta conseguenza del poco movimento”.
Alessandro Burin