La seconda esperienza di Francesco Viscomi in biancorosso non si è certo conclusa con il più classico dei lieti fine: sia il roccioso difensore classe ’91 sia il Città di Varese speravano in un epilogo ben diverso, ma dopo quattro mesi e mezzo difficili passati a lottare sul campo (e fuori, contro tutte le problematiche legate al Covid) è arrivata la dolorosa separazione.

Dolorosa perché non è stata una decisione facile. La società, per scelta tecnica, ha deciso di rinunciare al suo capitano scatenando la perplessità dei tifosi in un momento già di per sé delicato, mentre Viscomi ha dovuto salutare di nuovo la “sua” Varese. La Città Giardino, infatti, lo aveva accolto nel 2015 trasformandolo nel calciatore che è oggi e lanciandolo nel calcio “dei grandi”; con Varese e la sua piazza si è subito creato un legame profondo tant’è che ancora adesso Viscomi vive qui con la famiglia.

La vita del calciatore, comunque, impone delle scelte (spesso non facili) che lo portano lontano dai suoi affetti: Viscomi è oggi un giocatore della Cavese e, non a caso, lo abbiamo chiamato mentre era impegnato nel viaggio di dieci ore che lo avrebbe portato a Cava de’ Tirreni. “Abbiamo iniziato la preparazione il 3 agosto con il ritiro a San Gregorio Magno – esordisce Viscomi –; poi il mister ci ha lasciato tre giorni liberi e ne ho approfittato per tornare dalla mia famiglia. Adesso torno al Sud con un solo obiettivo: vincere e segnare un gol per Luca. Chi è Luca? Un mio carissimo amico, un fratello direi; purtroppo, prima che io partissi, ha avuto un brutto incidente. La battaglia più importante, quella per la vita, l’ha vinta ma so che lui e la sua famiglia stanno vivendo un brutto momento; ci tengo a dirgli che io e tutte le persone a lui vicine crediamo nella sua forza e siamo sicuri che si rimetterà in fretta”.

Non possiamo non cominciare dal Varese: cosa è successo l’anno scorso?
“Ci sono tante cose che purtroppo non hanno funzionato. La società ha scelto un allenatore con un cervello calcistico superiore alla norma che non ha avuto modo di esprimersi: Sassarini ha un modo molto suo di vedere il calcio e tante idee difficili da mettere in pratica, motivo per cui bisognava dargli il tempo di instaurarle nella mente di tutti i calciatori. Tra l’altro non tutta la squadra era costruita secondo i suoi diktat, a differenza di quanto fatto quest’anno con l’ossatura scelta in buona parte da mister Rossi, e un allenatore come lui ha bisogno di avere la rosa completa a inizio ritiro; invece, per un motivo o per l’altro, tra Covid e infortuni, non l’ha quasi mai avuta totalmente a disposizione. Poi è ovvio che sono i giocatori a scendere in campo e io sono il primo ad assumermi le mie responsabilità: se il Varese non ha ingranato la colpa è di tutti, in primis di noi calciatori perché avremmo dovuto dare di più. Indietro non si può tornare, mi dispiace di non aver contribuito come avrei voluto, ma sono contento di aver spinto Gazo, un vero amico fraterno, a tornare e sono felicissimo per il fatto che il Varese si sia salvato”.

Voci di corridoio parlano di un rapporto mai nato tra te e mister Rossi, è così?
“Puoi piacere a cento allenatori e a uno no. Quando è arrivato mister Rossi io non ero al 100% e in quel momento lui aveva bisogno di altri giocatori. C’è sempre stata massima trasparenza: io sarei rimasto, ma le scelte della società e del mister vanno rispettate per cui, a malincuore, c’è stata l’operazione in uscita”.

Dopo il tuo addio tanti tifosi sono rimasti scottati e secondo alcuni, in quanto capitano, avresti dovuto reagire in maniera differente e provare a rimanere a prescindere; cosa rispondi?
“Rispondo che è proprio quello che ho fatto. So che dall’esterno non è facile capire cosa succeda all’interno di una società, ma Califano e Scandola possono confermare le mie parole perché erano presenti quando la società mi ha comunicato di non rientrare più nei loro piani: io sarei rimasto anche in panchina pur di dare una mano, trasmettere l’amore per la maglia, e mi sarei messo in discussione sotto tutti i punti di vista. Al Varese non bastava, è stata fatta una scelta economica, e mi sono dovuto adattare: posso dire che a livello societario non si sono comportati benissimo e non hanno rispettato alcune parole dette a inizio stagione, ma non ne faccio una polemica perché non sono uno che piange sul latte versato”.

Dopo le tue due esperienze a Varese possiamo dire che questo è stato il capitolo finale?
“Non lo posso sapere. Varese è casa mia da ormai sei anni, la mia famiglia vive ancora lì nonostante io stia scendendo a Cava de’ Tirreni, ed è ovvio che un domani mi piacerebbe tornare per dare tanto a questa maglia egoisticamente sento mia. Vivo per Varese, continuerò a tifare questa squadra e gli auguro il meglio, a maggior ragione quest’anno perché hanno allestito un’ottima rosa. Ma so che non devo illudermi e, soprattutto, io oggi sono un giocatore della Cavese e devo solo dare il massimo per la mia nuova squadra”.

Inevitabilmente hai dei rimpianti?
“Certo, perché fin dal giorno della firma sognavo di tornare a giocare da capitano in un “Franco Ossola” pieno di gente. Purtroppo non è stato possibile causa Covid ma, al di là delle cose belle e brutte, siamo riusciti lo stesso a percepire il calore dei tifosi dall’esterno. A livello calcistico, poi, c’è il grande rammarico di non aver fatto ciò che la società si aspettava da me. Dispiace ma, come ho detto prima, non si torna indietro: il capitolo è chiuso e ora guardo avanti”.

Dopo l’addio al Varese sei subito volato ad Acireale; come ti sei trovato in Sicilia?
“Benissimo, perché al Sud si vive il calcio in maniera totalmente differente. Non ho avuto problemi né ad ambientarmi né ovviamente a trovare subito la squadra: ho la fortuna di essere conosciuto in questa categoria e la trattativa è stata davvero lampo anche perché l’Acireale m’inseguiva da tempo. Purtroppo anche lì ci sono stati degli intoppi. All’inizio l’obiettivo era provare a vincere il campionato; poi una serie di piccoli problemi a livello societario, il cambio di allenatore e qualche operazione in uscita hanno rimodulato le aspettative e siamo riusciti a raggiungere i playoff. Contro l’FC Messina ho anche segnato, ma abbiamo perso ai supplementari; l’esperienza siciliana resta comunque positiva per quanto mi riguarda”.

La scorsa stagione è stata davvero infinita: che bilancio puoi trarre?
“Hai usato la parola giusta: infinita. Io ho iniziato il ritiro con il Città di Varese il 18 agosto e ho giocato l’ultima partita con l’Acireale il 7 luglio. So che non era facile, ma la situazione è stata gestita in maniera vergognosa perché non esiste giocare in quel periodo. Di conseguenza anche il verdetto del campo non può essere credibile al 100%, per quel che riguarda il Girone I, l’ACR Messina fosse effettivamente la squadra più attrezzata. Il mio bilancio personale resta positivo: sono partito così così con il Varese ma mi sono risollevato con le prestazioni di Acireale; anche se avrei voluto vincere ovunque sono contento della mia stagione”.

Adesso il tuo futuro si chiama Cavese, come mai questa scelta?
“Una piazza come Cava de’ Tirreni non si può rifiutare. Il direttore sportivo Pietro Fusco mi ha chiamato subito dopo la semifinale playoff e mi ha fatto capire quanto fosse importante il progetto della società per tornare subito tra i professionisti. Ho percepito la sua passione e l’interesse che c’era nei miei confronti, per cui ci ho messo poco ad accettare: parliamo di una piazza importantissima che ha trascorsi di un certo livello e tifosi davvero attaccati alla maglia. Non vedo l’ora di dare il mio contributo per vincere il campionato”.

Che differenza c’è nel modo di percepire il calcio tra Nord e Sud?
“Al Sud c’è più pressione perché ovunque vai trovi ambienti ostili, tifoserie che hanno rivalità storiche importanti; anche senza pubblico si percepisce il clima teso delle trasferte e quando vai in giro trovi gente che ti carica e ti sprona a far meglio. Piccoli gesti che dimostrano quanto sia importante il calcio da queste parti. Poi, va detto, al Sud la media di squadre che puntano a vincere è più alta e quindi c’è maggior competizione. Sarà entusiasmante tornare a giocare con il pubblico”.

La società sta investendo tanto per fare un campionato di vertice e tornare subito in Serie C; a livello personale cosa ti aspetti?
“Vincere il campionato. La società sta mettendo a disposizione di mister Ferrazzoli, una persona straordinaria con cui mi sono trovato in sintonia fin dal primo giorno, una rosa ampia, forte e attrezzata che può solo far bene. Dal canto mio voglio crescere e migliorare: penso che nella vita non si debba mai smettere di imparare e attraverso il lavoro quotidiano ho intenzione di dare tutto me stesso per contribuire alla causa, magari con qualche gol. Ovvio che, essendo difensore, il mio compito primario sarà quello di far subire alla squadra meno reti possibili e voglio mettere la mia esperienza al servizio dei più giovani”.

Quindi a breve ti rivedremo in Serie C?
“Lo spero con tutto il cuore! Lavorerò duramente affinché ciò accada perché voglio tornare nei professionisti e confrontarmi con quella realtà”.

Matteo Carraro

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