Mavillo Gheller, quarantasei anni da compiere il prossimo 3 agosto, 196 presenze e 8 reti in maglia Varese Calcio e un’annata appena conclusa come vice allenatore di Banchieri al Novara in Serie C.
“E’ stata una stagione particolare, è come se avessimo vissuto tre anni in uno solo. Il Covid era sempre un pensiero costante: ogni settimana un tampone, a volte anche di più, con un minimo di preoccupazione per eventuali positività. Nessuno di noi ha avuto problemi seri dovuti al Covid, ma tutto veniva bloccato se si riscontrava anche solo un positivo e questo generava tensione ad ogni controllo. Dal punto di vista sportivo, è stata un’annata molto travagliata, siamo partiti bene vincendo parecchio, ma alla società non bastava e così ci hanno esonerato. Le cose però sono andate molto male, noi siamo tornati alla guida della squadra ma abbiamo fatto fatica a riprendere la marcia prima di ritrovare risultati positivi. Alla fine abbiamo raggiunto la salvezza e per qualche giornata abbiamo anche sperato di rientrare nella corsa playoff. Questo però non può essere considerato un risultato soddisfacente, alla luce dei programmi iniziale e del vero valore della rosa”.
Dal punto di vista personale, cosa conservi di questa stagione?
“Sono cresciuto parecchio, ho fatto tanta esperienza nel mondo dei grandi dopo aver seguito e allenato il mondo giovanile. E’ stata la mia prima intera stagione in Prima Squadra e ho avuto modo di apprendere tanti meccanismi. Situazioni da vedere, da valutare e da capire. Ho imparato tutto quello che si deve fare e anche tanto di quello che non si deve fare in campo e fuori nel momento dell’allenamento e nel rapporto con i giocatori”.

Programmi futuri? Il tuo contratto a Novara scade il 30 giugno, e poi?
“In questo momento non ho nessun programma, obiettivi sì, ma programmi no. Vorrei continuare ad allenare, ho avuto modo di fare esperienza con ragazzi e con gli adulti e ti confesso che mi sento più portato con i grandi. Mi piacerebbe poter avere un’occasione come primo allenatore con una formazione Primavera o con una Prima Squadra del mondo dilettanti. Mi sento pronto, non mi interessa la categoria ma il progetto della società, un percorso di più anni da costruire e portare avanti insieme”.

Sei un ex Varese. Cosa significa per te il mondo biancorosso?
“E’ una frase fatta, ma per quelli come me… il Varese è il Varese, punto, non bisognerebbe aggiungere altro. Oggi sono tifoso del Varese, sono di Varese, sono cresciuto nel settore giovanile del Varese e grazie al Varese sono diventato calciatore. Può bastare? Ho seguito diverse partite di questo campionato che è stato molto duro. La squadra è stata tartassata dal Covid e dagli infortuni. Non bisogna mai dimenticare che la società è partita da zero: quando le altre squadre pensavano a fare un po’ di ritocchi della rosa rispetto all’ultima stagione, a Varese dovevano iniziare a scegliere un mister e 25 giocatori. In poco tempo non è assolutamente facile. Al Varese bisogna concedere tante attenuanti, sono certo che l’obiettivo salvezza sarà raggiunto e poi si potrà pensare alla prossima annata con una buona solida base da cui partire”.

Due ex Varese, Alessio Dionisi e Fabrizio Castori, hanno appena conquistato la Serie A con Empoli e Salernitana con due storie personali molto diverse. La proiezione verso il calcio di massimo livello per un esordiente come Dionisi, la ciliegina sulla torta per una grande carriera come quella di Castori.
“Conosco molto bene Castori, non ho mai avuto la fortuna di essere allenato da lui, ma tante volte ho giocato contro le sue squadre. Come hai detto tu, per lui è il giusto premio alla carriera con una promozione conquistata in una piazza difficile come Salerno. Dionisi ha dimostrato con i fatti di poter raggiungere un traguardo così importante. Il suo percorso parte dal basso dalla D e dalla C, è un esempio da seguire per tutti noi mister: una iniezione di fiducia e speranza. Col lavoro si possono raggiungere traguardi importanti. Bravo Alessio, sono felice per te!”.

Cosa ne pensi della Nazionale italiana che tra poco inizierà l’avventura agli Europei?
“Siamo una seria candidata alla vittoria finale. Erano anni che non vedevo un’Italia così bella e con un bel gioco. E’ una squadra di qualità che diverte, merito di Mancini e del materiale che ha a disposizione. Attenzione però il materiale bisogna saperlo scegliere, amalgamare e sfruttare e non tutti in passato sono riusciti a farlo”.

La vicenda SuperLeague?
“Se devo sintetizzarti l’accaduto in una parola, ti dico pagliacciata. Le squadre devono spendere per quello che hanno e che possono permettersi. Non possono pretendere di spendere soldi che non hanno per per vincere i campionati sapendo già che non avranno entrate sufficienti per coprire i costi. La SuperLeague mi sembrava una scorciatoia che garantisse ai top club entrate che oggi non hanno e budget che non si possono più permettere. Vogliamo dare un’occhiata ai bilanci di Real Madrid, Barcellona, Juventus e della stessa Inter per citarne solo alcune? E poi, sportivamente, sarebbe la fine della favola calcio dove anche piccole realtà possono raggiungere grandi traguardi”.

Chiudiamo con un viaggio a Torino: il tuo cuore è per metà biancorosso e per metà granata. Poi c’è anche la Juve che vi sta dando diverse soddisfazioni in questa stagione.
“Iniziamo col guardare in casa nostra che di problemi ne abbiamo parecchi per pensare agli altri. Il Torino quest’anno mi fa soffrire, proprio come il Varese. Inutile negare che alla vigilia gli obiettivi erano altri, pensavamo di strizzare l’occhio all’Europa e invece siamo lì, nei bassifondi e dopo un pesante 0-7 col Milan. Penso che la squadra non sia comunque da rifondare e Nicola mi piace come mister. Non prendo nemmeno in considerazione l’ipotesi Serie B. Per quanto riguarda la Juve, è ovvio che dopo anni di dominio ci sia una flessione come è ovvio che noi del Toro un po’ godiamo. Pirlo era una scommessa che lasciava aperte tante porte e tante ipotesi… la mia si è realizzata (ride ndr)”.

Michele Marocco

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