Se chiedete agli addetti ai lavori, quelli del NOSTRO calcio, quello che viene maldestramente definito di “periferia”, di Maurizio Pozzi, vi sentirete rispondere: “Maurizio Pozzi chi???” Ma sì, il Gildo Pozzi! Ecco allora come per incanto aprirsi il sipario su un giocatore che per molto tempo è stato senza ombra di dubbio uno tra un più forti marcatori degli anni ’90 (in verità proseguiti poi per lungo tempo…).

Soddisfiamo subito la curiosità: perché questo soprannome?
“Ero appena arrivato a Travedona in Eccellenza (bisogna sapere che negli anni 90 attorno alla sponda “magra” del lago Maggiore – quella “grassa” è quella piemontese – vi era una significativa presenza di Società che frequentavano i tornei nobili dei dilettanti, intesi come Promozione ed Eccellenza, tra queste appunto Travedona, Cadrezzate, Sesto, Verbano, Ternate, Brebbia, Laveno, Porto Valtravaglia, Luino, per citarne alcune – ndr). Chi ha giocato o frequentato a vario titolo il mondo del calcio, sa che in campo tutti hanno dei soprannomi che si presentano in forma di una o al massimo due sillabe, questo dovuto alla velocità di comunicazione che deve necessariamente essere almeno pari alla velocità della palla. Così Mau-ri-zio era troppo lungo, mentre Gil-do era immediato e in fondo anche un po’ onomatopeico. A quei tempi vi era un conosciuto dirigente sportivo che si chiamava appunto Gildo Pozzi e da lì il mio compagno Mauro Cattaneo cominciò a chiamarmi con questo nome che mi ha accompagnato per tutta la carriera e anche oltre”.

Allora Gildo, parliamo un po’ della tua storia calcistica.
“Fino a 14 anni ho giocato all’Oratorio, poi il primo tesseramento FIGC a Gallarate. Da lì alla Solbiatese,  dove ho proseguito la trafila del settore giovanile, fino ad arrivare ai 18 anni con il primo contratto da professionista che la Società mi ha rinnovato per le tre successive stagioni, contraddistinte da una serie di prestiti. Tra questi ricordo Lodi con il Fanfulla e Lentate sul Seveso, dove ho avuto la fortuna e posso dire l’onore, di giocare con Nazzareno Canuti, qualche centinaio di partite in serie A con Inter e Milan, tra le altre. Un grandissimo personaggio dotato di un carisma unico, per me è stato davvero un esempio, in campo e fuori! Terminato il contratto con la Solbiatese ho cominciato la mia avventura nei dilettanti che mi ha portato fino alla soglia dei 42 anni, quando ho deciso di piantare quel famoso chiodo per appenderci le scarpe… spinto anche dalla nascita di mia figlia Martina. Ultima stagione alla Cassiopea, presidente un vero Signore: Felice Marelli che ricordo con grande piacere, così come il suo insostituibile braccio destro Antonio Rocci”.

Quali sono le Società alle quali ti senti più legato?
“In tanti anni di carriera ho girato molte squadre, certamente la Solbiatese è stata quella che mi ha permesso comunque di imparare molto e di fare quelle esperienze che poi mi hanno accompagnato nel resto della mia vita calcistica. Sono stato per nove anni a Venegono, dove mi sono trovato molto bene. Erano i tempi di Zangrandi presidente. Lì ho incontrato l’allenatore che più mi ha insegnato a livello tattico e tecnico: Giorgio Dossena. Dopo Venegono a Malnate, alla “corte” del mitico Paolo Maccecchini. Con i colori bianco nero una promozione dalla prima alla promozione, con l’indimenticabile mister Baron e poi con Cucchi in panchina che lasciata Malnate mi voluto con sé ad Arcisate. Di quella esperienza in Valceresio mi piace ricordare la competenza del Direttore di allora Antonio Zanzi e il mio compagno di difesa, Gabriele Franzetti, ancora oggi in campo (nella Cuassese ndr). La sua intelligenza calcistica e il suo senso di posizione mi hanno allungato la carriera di qualche anno”.

Sfogliamo l’album dei ricordi.
“Tra i più belli il campionato di Prima vinto con la Malnatese in un indimenticabile spareggio disputato a Ternate, proprio contro l’Audax. Avevamo una squadra veramente forte nella quale spiccavano tra gli altri Valletti davanti, Civita in mezzo al campo e Marmonti tra i pali, forse il portiere più forte con cui ho giocato. La delusione più cocente la retrocessione dall’Eccellenza alla Promozione con il Travedona, l’unica della mia carriera”.

Il centravanti più forte marcato?
“Tanti, davvero tanti, su tutti però Angelo ‘Angelone’ Seveso, una montagna di muscoli, praticamente immarcabile. A Varese lo ricordano tutti per quella straordinaria stagione 93/94; con i suoi 18 gol ha letteralmente riportato tra i professionisti i biancorossi allenati da Mario Belluzzo. Ripenso a lui con grande piacere e con molta tristezza per averci lasciato così presto”.

Quanto ti manca il calcio?
“So che potrebbe sembrare strano ma francamente più che la partita mi mancano gli allenamenti, il clima dello spogliatoio, le cene con i compagni… in una parola il gruppo! Ora (Covid permettendo) gioco a calcetto con gli amici ma non è la stessa cosa. Anche oggi a 51 anni mantengo comunque le abitudini virtuose che da giovane il calcio mi ha insegnato a seguire e che oggi mi mantengono in perfetta forma: corretta alimentazione, no fumo, no alcool e giuste ore di riposo. Posso dire che anche nei dilettanti vivevo (e vivo) da professionista. E poi sono tifoso dell’Inter, oggi in modo particolare!”.

Lasciamo così Maurizio “Gildo” Pozzi, un vero dottor Jekyll e mister Hyde del calcio, padre affettuoso, uomo mite e pacato fuori dal campo ma che nei 90 minuti era capace di trasformarsi in un vero mastino, tutto grinta, agonismo e “cattiveria” calcistica.

Roberto Destro

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