Il presente è brevissimo, il futuro dubbioso, il passato invece è certo. Chiaramente, una citazione. Ma quanto dello stoicismo di Seneca ci debba essere nell’asse temporale di un allenatore è un nodo che Ivan Javorcic ha sciolto riportando la Pro Patria sulla mappa del calcio italiano. E (non secondariamente), mettendosi al centro della sua storia ultrasecolare. Così, anche uno 0-0 non proprio memorabile come quello registrato martedì con la Pro Sesto può comunque avvicinare ai posteri della contabilità tigrotta.
Al “Breda” lo spalatino ha infatti fatturato la sua panchina biancoblu numero 145. Allungando sul terzo posto all time rappresentato da Carletto Regalia (all’anagrafe, 87 anni lunedì). Domenica con il Piacenza verrà quindi ulteriormente scavallato uno dei benchmark del football bustocco (e di quello tricolore). In ossequio alla miglior difesa del girone, Ivan Drago non buca le preventive: “Sapevo che sarebbe arrivato questo momento. Ecco, magari non me lo aspettavo così presto. E’ motivo di orgoglio. Per una società storica, con un grande vissuto e sempre attenta a questi particolari. Nel calcio moderno i legami duraturi sono sempre più difficili. Questo rende il traguardo di ancora maggior valore”.
Sempre in tema di numeri, questa Pro Patria ha 10 punti (alla 26^) più dell’anno scorso, 3 più di due stagioni fa, solo 3 meno della formazione che sfiorò la B nel 2008/09. Di fatto, limitandoci a C e C1, la seconda migliore squadra degli ultimi 55 anni. Uno standing da rivendicare?
“I numeri dicono che questa squadra può reggere certi paragoni. Per quanto mi riguarda, già nella prima parte di questo campionato avevo la percezione del valore del gruppo. Un po’ di sfortuna e alcuni errori arbitrali hanno solo ritardato le conferme sul campo. Ma ci hanno anche permesso di lavorare sui nostri errori raggiungendo la continuità che cercavamo. Nelle ultime 13 gare abbiamo perso una sola volta. Abbiamo la miglior difesa, il miglior rendimento esterno del Girone. Dati oggettivi, non opinioni. Quanto al 2008/09 so quale tipo di considerazione ha quella squadra per Busto. E so anche che era nata molto diversamente da questa…”.
Qualche settimana fa un procuratore mi ha rivelato che se dovesse consigliare ad un suo assistito una destinazione ideale in Serie C per crescere sul piano tecnico ed umano, suggerirebbe Renate, SudTirol e Pro Patria. Stima meritata?
“L’immagine che si è guadagnata questo club è la cosa più importante. Soprattutto nella sua dimensione di società. Un progetto di qualità, pulito. Non è facile farlo capire da fuori. Ci si rende conto solo vivendolo da dentro. Penso ad un ragazzo come Lombardoni che è stato campione d’Italia a livello giovanile e che in 2/3 anni di lavoro qui è cresciuto come conoscenza e capacità. Oggi più che il nome conta la sostanza di quello che si può offrire ad un calciatore. Credo che la Pro Patria si sia meritato questo credito nell’ambiente“.
Aspettative/crescita. Sillogismo lampante con Latte Lath. Due anni di C con 4 squadre diverse e percorso tecnico smarrito. Ora a Busto è tornato quello che aveva incantato nel Settore Giovanile dell’Atalanta. Frutto del lavoro di uno staff che comprende anche un ex attaccante come Massimo Sala?
“Esempio perfetto. Prima che arrivasse qui lo conoscevo, ma non abbastanza. Aveva caratteristiche precise, ma una dimensione poco definita. Nel ruolo e nell’equilibrio emotivo. Stiamo lavorando molto sulla sua autostima. Svelo un particolare. Prima di venire qui non conosceva la profondità. Non sapeva come aggredirla. Sembra assurdo vista la sua velocità. E poi il colpo di testa. Altro fondamentale su cui è migliorato tantissimo. Ma voglio essere chiaro. I margini sono ancora grandissimi. E il lavoro è solo all’inizio”.
Al suo terzo anno in biancoblu, Bertoni sembra aver sposato la centralità nel progetto tecnico al ruolo di punto di riferimento nel gruppo. Viene prima l’una o l’altro?
“Ad inizio stagione avevo detto che volevo una squadra più veloce, più verticale, più aggressiva. Luca interpreta sul campo questa evoluzione. Ha una mente superiore rispetto alla media e piedi che parlano una lingua diversa. Nell’interpretare i tempi di gioco e nell’influenzare i movimenti difensivi. Questo si sapeva. Ma la sua responsabilizzazione, la sua acquisita maturità hanno trasferito la leadership in campo anche nello spogliatoio”.
Dopo la vittoria con il Como, il capitano Colombo ha detto che giocherà fino a quando si divertirà ancora. C’è un po’ di invidia visto che da calciatore non ha potuto fare la stessa scelta?
“La verità? Smettere per me è stato un sollievo. Con tutti i problemi e gli infortuni che ho dovuto superare. Il ruolo di allenatore ti completa. Ti fa vedere il calcio da una visuale più complessiva. Ma capisco Ricky. Lavoriamo sempre in quest’ottica. Il calcio è un gioco. Divertirsi non può che essere un obiettivo”.
Ieri è stato ufficializzato il ritorno di Masetti. Da sommare all’innesto di Vaghi fatto a gennaio. Due operazioni in chiave futura?
“Quella di Vaghi sì. Un po’ come l’acquisizione di Sean Parker fatta due stagioni fa. Un’opportunità in prospettiva. Su questo il Direttore Turotti è un manager di categoria superiore. Per quanto riguarda Masetti, è un ragazzo che ci potrà aiutare nell’immediato. Conosce l’ambiente e completa la fascia mancina dove Pizzul sta facendo un grandissimo percorso e dove abbiamo utilizzato anche Cottarelli e Galli. Da qui alla fine, tutti nel gruppo si giocheranno qualcosa”.
Tornando alle panchine. Si contano ma sono diventate inutili. Ormai non ci si siede più nessuno…
“Considerazione interessante. Per quanto mi riguarda, mi sento il ruolo addosso. Sento la necessità di stare vicino alla squadra, dare una mano. Senza pubblico ci sono meno distrazioni. Anche se il quarto uomo spesso applica una marcatura ferrea. Se vogliamo metterla sul piano filosofico, il punto di arrivo sarebbe quello di potersi sedere per davvero. Non avendo nulla da dire alla squadra perché interpreta perfettamente sul campo quanto preparato in allenamento. Sarebbe un passo importante. Ma bisogna arrivarci”.
Il 21 novembre il Manchester City perde 2-0 con il Tottenham. A fine match i giornalisti chiedono a Guardiola in quali aspetti debba migliorare la squadra. La risposta? “Dobbiamo cominciare a vincere le partite”. Da lì 28 gare con 3 pareggi e 25 vittorie (21 consecutive). Quindi esiste un modo di giocare per vincere?
“Il gioco è fatto di competizione. Ne è parte integrante. E’ un argomento che ho affrontato anche nella mia tesi a Coverciano. Chapman (l’inventore del sistema) ne parlava già negli anni ’20. Penso che o si gioca bene o si gioca male. Nella totalità dell’espressione. Non esiste attacco o difesa. Non capisco cosa significhi essere propositivi. Lo sento dire spesso oggi. E’ un termine che gli allenatori utilizzano per potersi vendere meglio. Come quando si dice: “Il mio calcio..”. E’ una forzatura. Quanto allo stile di gioco, è sempre in evoluzione. Non è vero che non c’è più niente da inventare. Anzi, tornano molte cose del passato. Come la difesa a uomo. Interpretata con i superatleti di oggi. In più, dobbiamo ricordarci una cosa: il calcio è ormai tanto industria quanto intrattenimento. Il prodotto deve essere interessante. Con più occasioni e più gol da offrire. Bisogna leggere tutto in questa chiave”.
Stagione memorabile. Da vivere senza tifosi. Quanto pesa questa assenza?
“Tanto. E’ davvero un peccato non poter condividere con loro certe gioie. Una cosa che forse impedisce anche di comprendere appieno la portata di quello che sta facendo questa squadra. La complicità che si crea è impagabile. Ricordo ancora il boato dello “Speroni” quando nel 2018 il Rezzato pareggiò con il Lecco. Aspettavo nel parcheggio e ho ancora impressa quell’emozione. Devo però aggiungere una considerazione. In epoca di Covid il calcio ha mostrato di sapersi adattare all’emergenza. Non so se sia stato di esempio. Ma so che noi che ne facciamo parte abbiamo una responsabilità sociale. Dare qualcosa a chi ci segue, nel quotidiano. Magari anche facendo arrabbiare. Ma consentendo di poter parlare di Pro Patria ogni giorno. In mezzo a tanti problemi, può essere d’aiuto. Regala la percezione di normalità”.
Patrizia Testa è stata chiara. Nello staff, nessun contratto pluriennale. Unica eccezione Turotti. Conta di farle cambiare idea?
“Capisco il senso della domanda. E comprendo quanto sarebbe ideale poter programmare a lungo termine. Magari fosse possibile. Ma lo straordinario sforzo economico della presidentessa va rispettato. Ne abbiamo anche parlato. Il target è concentrarsi sul presente”.
Lungo termine fa rima con infrastrutture. Quanto ancora nota dolente?
“Quello resta sempre un must. Un obiettivo primario. Che non può essere però affrontato solo dalla società. Dovrebbe essere un patrimonio di crescita comune alla città. Anche se le cose sono migliorate in questi ultimi anni, non ci alleniamo ancora in condizioni ottimali. C’è ancora molto da fare in quella direzione”.
Chiudiamo il cerchio. Per raggiungere già in questa stagione Pietro Magni sul secondo gradino del podio delle panchine biancoblu, toccherà arrivare alla Fase Nazionale dei playoff. Pronto?
“Beh, farebbe piacere. Abbiamo spirito competitivo. E’ la nostra forza. Ed è stimolante lavorare per obiettivi. Ma non mettiamo troppa pressione su questa squadra. Diciamo che ne terremo conto…“.
Giovanni Castiglioni