La palla a spicchi guardata, toccata e vissuta come si fa solitamente con il mappamondo quando si è bambini, per scoprire tutti paesi al suo interno, per immaginare di arrivare ad esplorare posti lontani e sperare un giorno di raggiungerli, coronando il proprio sogno.
Questo è stato ed è tuttora il pallone da basket per Luca Tomasini, ragazzo classe 1997, cresciuto a pane e pallacanestro. Step by step ha trovato sempre più la sua dimensione nel mondo cestistico tra Gorla, Castellanza e Gallarate dove ha trovato una seconda famiglia.

Ti ricordi la prima volta che hai tenuto un pallone da basket in mano?
“Avevo 4 o 5 anni. I miei genitori mi portarono all’allora cestistica Gorlese e fu subito amore a prima vista. Mi ricordo che non arrivavo nemmeno al canestro ma per me è stata subito un emozione fortissima, che non ho potuto più abbandonare”.

Partito da Gorla e volato in una delle squadre più forti del momento che era Castellanza. Come veniva interpretata la pallacanestro in quella realtà?
“Castellanza era sicuramente un mondo molto particolare. Parliamo dell’annata 2007-2008. C’era un livello davvero alto, di intensità, di lavoro, di visione della pallacanestro. Tutto partiva secondo me dall’allenatore, almeno quello che allenava me, ovvero Antonio Colombo, capace di mettere sul campo una voglia di fare e di lavorare unica. Era capace di inculcarci il desiderio di crescere, di allenarci e di prendere ispirazione da squadre come la Sangiorgiorgese di un tempo o Legnano. Il tutto all’interno del contesto del PalaBorsani e con un gruppo di compagni davvero bravi. Avevamo una gran voglia di vincere e ci siamo tolti delle belle soddisfazioni”.

Dopo Castellanza sei tornato a Gorla per poi approdare a Gallarate dove hai messo le radici.
“Gallarate per me è come una seconda famiglia. Sono arrivato appena quindicenne e con l’anno che arriva sono dieci anni ormai che sono in questa società. Sono passato dall’essere giocatore prima, istruttore di minibasket poi e preparatore atletico adesso”.

Cos’hai trovato a Gallarate che ti ha fatto restare anche dopo la vita sul parquet, iniziando un percorso importante?
“Gallarate fin dai primi anni mi ha mostrato disponibilità e grande attenzione ai dettagli, sia dalla parte tecnica che da quella societaria vera e propria. Abbiamo disputato un campionato Eccellenza in under 15 di buon livello, iniziavamo a girare con le prime squadre già dai 15-16-17 anni dando importanza al settore giovanile, cosa che ancora adesso stiamo riproponendo in maniera ancora più forte e molto bene. Finiti gli studi, mi è stato chiesto di collaborare con il minibasket e ho deciso di accettare, anche perché mi affacciavo al mondo del corso di laurea in Scienze Motorie. Mi son trovato bene, poco dopo è arrivata la chiamata da parte di Stefano Gentile, preparatore capo in società, ho iniziato a lavorare con lui e ho deciso di intraprendere questa strada. Oggi sono preparatore atletico dell’under 15 Eccellenza e under 16 Elite, oltre che della prima squadra in C Gold da quest’anno”.

Hai vissuto due ere diverse a Gallarate, la prima targata Leoni e la seconda Valentino. Quali sono le differenze principali?
“Con la vecchia proprietà c’era più una visione individualistica. Se andavamo a giocare a Casorate, essendo un derby, bisognava vincere e cercare di portare il più in alto possibile il nome di Gallarate. Oggi la visione è molto più ampia, aperta, con il progetto HUB Sempione volto a far sviluppare le tante società associate e far crescere al meglio tutti i ragazzi al suo interno”.

Tornando un attimo a quando eri giocatore, che tipo di playmaker eri?
“Se mi definissi play tutti gli allenatori che ho avuto mi vengono a cercare. A parte gli scherzi, mi piaceva muovermi da 1 o da 2. Amavo avere la palla in mano ma allo stesso tempo godevo nel far giocare i compagni. Giocavo una pallacanestro vecchia scuola, ovvero rivolta al servire tanto i miei compagni ed allo stesso tempo essere pericoloso a livello offensivo, riuscendo a trovare spesso il vantaggio con cui saltare l’uomo. Sapevo ben dosare le due cose”.

Qual è il compagno più forte con cui hai giocato?
“Senza voler togliere niente a nessun mio ex compagno, penso che a livello giovanile il più forte con il quale abbia giocato sia stato Christian Gatto. Aveva già a 15-16 anni un livello atletico e fisico straripante che gli permetteva di sovrastare quelli della sua età e di giocarsela anche con i più grandi. Non a caso qualche soddisfazione importante poi se l’è tolta, arrivando in prima squadra a Varese. Un sogno per tutti, come il mio, di arrivare a togliermi grandi soddisfazioni, magari proprio in quella realtà che ho sempre visto da tifoso”.

Alessandro Burin
(Foto di BBG Gallarate)

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