La Openjobmetis si trova ad affrontare forse la squadra più in forma del campionato in questo momento, ossia la Dinamo Sassari del grande ex, se ex lo si possa mai definire, Gianmarco Pozzecco. L’obiettivo è quello di conquistare due punti che, nell’economia della lotta salvezza nella quale sono coinvolti i biancorossi, peserebbero come un macigno.
Si tratta di una sfida davvero complicata vista la forza dell’avversario, ma alla quale Varese si approccia, come di consueto, puntando sulla prestazione del suo totem, del suo campione, di quel giocatore che avrebbe dovuto rappresentare l‘icona di questa squadra in tutti i palazzetti per tutti i tifosi, soprattutto a Masnago, quel Luis Scola che è la vera roccia di questa squadra.

A quasi 41 anni, il centro di Buenos Aires ancora oggi si conferma il miglior marcatore del campionato, un risultato frutto di duro lavoro, equilibri fisici e mentali non semplici da mantenere e da trovare per un giocatore che rimane fortissimo ed immenso, nonostante stia affrontando gli ultimi anni della sua carriera. Una parabola fatta di grandissime emozioni, palcoscenici e avventure diverse, tra cui gli immancabili anni di NBA, la famiglia, l’Argentina, il viaggio per l’Europa fino a Varese, tutto condensato in 23 anni. 

Quando nasce la tua passione per la pallacanestro?
“Nasce vedendo giocare mio padre. Anche lui era un professionista, parliamo degli anni ’80 e ’90 ed era totalmente un altro basket. Lui lavorava in banca e giocava in una squadra di Buenos Aires e io volevo diventare come lui. In famiglia io sono l’unico figlio maschio, poi ci sono due sorelle, una più grande ed una più piccola, e quando mio papà veniva a vedermi giocare era sempre fiero di me. Non sono sicuro ma credo proprio che la mia passione per il basket sia nata proprio lì, vedendo mio padre felice nel vedermi giocare. Due anni fa quando ero indeciso se ritirarmi o meno ho fatto una riflessione e ho pensato che dovevo andare avanti per rendere mio padre ancora più orgoglioso”.

Quanto è stato difficile per te lasciare l’Argentina per inseguire il tuo sogno?
“Chiaramente è stato complicato, come per tutti coloro che lasciano il proprio paese d’origine. È stata dura, specialmente perché quando sono partito avevo 17/18 anni, quindi ero ancora molto giovane. Adesso guardando indietro mi rendo conto di quanto tutto sia stato magnifico, un’avventura incredibile. È stato bello tutto, non solo per la pallacanestro, ma per tutte le esperienze che ho vissuto in questi 23 anni di carriera. Di questo sono veramente grato”.

Cosa vuol dire giocare in NBA e qual è la squadra che più ti è rimasta nel cuore tra tutte quelle nelle quali hai giocato in America?
“E’ Houston, senza dubbio. Ho giocato lì 5 anni, è stata la mia prima squadra in NBA. Abbiamo giocato molto bene come squadra ma non solo quei cinque anni ma tutti e dieci gli anni passati in NBA sono stati qualcosa di eccezionale. Quando parlo con tutti i giovani che vogliono ascoltarmi dico che giocare in NBA è un “life changing”, ti cambia la vita, non solo per la pallacanestro”.

Cos’ha significato per te raggiungere l’Italia e cosa sta diventando per te questo Paese?
“Sono felicissimo di avere l’opportunità di giocare in Italia. Nell’ultimo anno e mezzo la pandemia prima ha bloccato il campionato, poi l’Eurolega, adesso giochiamo senza pubblico, il covid ci ha colpiti e ha costretto Varese ai box per un mese e, in prospettiva, forse faremo l’intera stagione giocando senza pubblico. Tutte queste cose non sono belle ma è così ovunque, purtroppo. La verità è che prima di venire a Milano non era nella mia testa di venire in Italia o tornare in Europa, tutto è successo velocissimo e sono molto felice di questo perché ho scoperto un Paese fantastico. In particolare la Lombardia è un posto veramente incredibile, non solo la qualità di vita ma anche il paesaggio, le persone, la cultura, il cibo lo sono e sono molto felice. Il bilancio generale di questa esperienza è grandioso”.

Com’è cambiato il tuo modo di allenarti e di giocare negli anni, permettendoti ancor oggi di performare ad altissimi livelli ed essere il miglior marcatore del campionato?
“Nella mia carriera ho sempre giocato molti minuti in tutte le squadre ad esclusione solo dell’ultimo anno in NBA. In Cina ho giocato moltissimo ed anche in Nazionale sono sempre in campo per 30-35 minuti. Anche oggi sono in campo per quasi 40 minuti a partita e non nego che a ormai 41 anni sia più difficile. Nel corso della mia carriera è cambiato il mio approccio alla giornata, ma non parlo di adesso, parlo ormai di 10 anni fa. E’ cambiata la maniera di allenarmi, di riposare, di dormire, di mangiare e ogni anno diventa sempre più complicato”.

Questa estate sei venuto a Varese e, a causa di tante problematiche tra covid e infortuni vari, la classifica si è un po’ complicata. A 6 mesi di distanza, rifaresti la stessa scelta di venire a Varese e se sì perché?
“Certo, non tutto sta andando come avevamo previsto o come vorremmo. Una delle principali ragioni per cui sono qui è perché tutti mi hanno parlato di questo come un ambiente speciale in termini di supporto dei tifosi, di storia, di stile, di cultura della pallacanestro e il fatto di non avere i tifosi al palazzetto è davvero brutto. Purtroppo abbiamo perso tante partite, il covid ci ha tenuto fermi un mese e non abbiamo il supporto dei tifosi. Tutto questo non ha permesso di realizzare appieno quanto avevamo progettato quest’estate, ma io sono veramente molto ma molto felice di essere a Varese, di avere l’opportunità di conoscere tante gente fantastica, di aiutare i compagni più giovani a crescere e migliorare giorno dopo giorno. A Varese si respira davvero un’aria fantastica intorno a tutto ciò che concerne la pallacanestro, c’è un ambiente unico nel quale sono veramente sereno e sarò sempre contento di essere stato qui”.

Questo sarà il tuo ultimo anno o c’è la possibilità di vederti a Varese ancora per un anno?
“Non intendo decidere adesso. Ho quasi 41 anni ed è molto probabile che io non giochi più dopo quest’anno, ma perché pensarci adesso? Ho sempre ragionato con questo motto: “Vince il giorno”. Ho cercato di capire ogni giorno come fare del mio meglio, dagli allenamenti alla famiglia a come prepariamo le partite. L’ho sempre pensata così e ha funzionato bene nella mia carriera. Quando ho vinto l’Olimpiade con l’Argentina, il giorno dopo mi stavo già allenando per il Tau Vitoria e pensavo a come vincere la Lega spagnola. Credo che questo sia il percorso corretto da seguire e non voglio pensare in maniera diversa adesso solo perché ho quasi 41 anni. Ho fatto così tutta la mia carriera e continuerò a farlo. Non è il momento di guardare al mio futuro. A fine stagione parleremo tutti insieme con Toto, mia moglie, con tutti e valuteremo cosa fare. Ora non è ancora il momento e non voglio pensarci”.

Alessandro Burin 

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