Tra le categorie più colpite dalle restrizioni che la pandemia da Covid comporta ci sono, senza dubbio, bar e ristoranti. Dpcm dopo dpcm i loro tavoli continuano ad essere vuoti e le difficoltà aumentano. Sono tanti i dubbi e le incertezze che attanagliano i proprietari di queste attività e abbiamo provato a fare il punto della situazione con Patrick Cellina del Patrick’s Kafè, un cocktail bar a Laveno con vista sul Lago Maggiore, dallo stile vintage e curato, sempre alla ricerca di nuove proposte particolari da offrire ai suoi clienti.

Lavorativamente parlando, che anno è stato tra chiusure, riaperture e divieti?
“Sono stato uno dei primi a chiudere e uno degli ultimi ad aprire, verso il 25 maggio. Ho aperto quando c’era la sicurezza sia per i clienti, sia a livello di orario. Da allora fino ad ottobre ho lavorato tantissimo, anche rispetto ad altri nel paese o in città come Milano e Como. Ho cercato di far rispettare le regole, con fatica e nel limite del possibile perché la gente era tanta. Forse è stata la miglior stagione che abbiamo fatto sin dall’apertura del 2015. Una stagione concentrata sì, ma positiva”.

Ti aspettavi questa ulteriore chiusura?
“No, il 22 ottobre avevo mandato in ferie i ragazzi e quando sono finite è iniziato il lockdown. Non me lo aspettavo, avendo fatto l’estate in quel modo pensavo che il virus andasse scemando o che, almeno, le limitazioni fossero più leggere. Però dobbiamo prendere atto di questo, speriamo di riprendere a Pasqua a pieno regime”.

Non fate l’asporto o il delivery, è una scelta che dipende da qualche motivo particolare?
“È difficile, essendo principalmente un cocktail bar e non avendo un appoggio come Glovo o altri siti e vivendo in un paesino questa cosa è ingestibile. Abbiamo provato ad aprire alle 6, fare l’asporto di qualche caffè o cappuccino e a sbloccare i ragazzi dalla cassa integrazione, ma non aveva senso in termini economici. Preferisco aprire bene quando tutto sarà finito e quando potrò dare garanzie e professionalità”.

Pensi che abbiano esagerato con le restrizioni nei vostri confronti? Alla fine i contagi sono aumentati anche durante il vostro periodo di chiusura…
“Non sono nessuno per giudicare ma per quello che vedo penso che lo Stato doveva prevedere una seconda ondata e delle misure per contenerla. Avevano i mezzi e il tempo per farlo, dovevano pensarci. Siamo una categoria a cui è facile far chiudere ma i contagi non nascono nei bar e non solo i ristoratori lo pensano. È ovvio che nei bar c’è assembramento ma qui da noi facevamo rispettare le regole. Il problema maggiore nasceva quando c’era tanta gente e, avendo 100 posti a sedere più la gente in piedi, che in estate è normale che stia in piedi, a volte era difficile gestire tutti. Le persone si volevano divertire, ogni tanto bisognava “alzare la voce” ma alla fine capivano e ce l’abbiamo fatta a far rispettare le norme”.

Sotto il profilo economico, gli aiuti, a tuo avviso, come sono stati?
“I ristori sono arrivati, all’inizio era un prestito a tasso molto basso e con i primi soldi ci ho fatto ben poco. Gli ultimi a fondo perso, invece, forse sono stati più utili. Diciamo che è stata l’unica cosa giusta che hanno fatto, secondo me, e non mi posso lamentare per questo”.

Cosa ti auguri per il futuro? Come lo vedi? State approfittando della chiusura per proporre qualche novità?
“Spero si possa riprendere entro marzo, prima non penso avverrà. Mi auguro che l’orario di chiusura sia almeno alle 20, perché chiudere alle 18 non ha senso. La gente in settimana lavora e non puoi pretendere che vengano da te. La novità più grande sarebbe una riapertura come l’anno scorso senza maggiori divieti e senza richiudere e poi aprire perché ci sono anche ordini, forniture e su questo bisogna pretendere misure più concrete. La cosa principale è far rispettare le regole e non solo in questo campo”.

Roberta Sgarriglia

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