Tra gli azzurri che andranno a Tokyo con speranze concrete di conquistare una medaglia c’è Riccardo Mazzetti, che proverà a far saltare il banco nella pistola automatica 25 metri. Il trentasettenne di Busto Arsizio, tesserato per il Centro Sportivo Olimpico dell’Esercito, ha già partecipato all’edizione di Rio 2016 conquistando la finale, poi conclusa al sesto posto. Nella sua bacheca ci sono medaglie importanti: un oro agli Europei di Bologna nel 2019, un bronzo continentale a Osijek nel 2009, quattro podi in Coppa del Mondo e svariati titoli italiani. Proprio la finale raggiunta in Emilia gli ha permesso di staccare il pass per la capitale giapponese.
Come sta andando l’avvicinamento alle olimpiadi? L’obiettivo è migliorare il sesto posto di Rio?
“Sto entrando in forma come programmato. Fisicamente sto molto bene, gli esami che ho svolto la scorsa settimana l’hanno confermato. Adesso vado alcuni giorni in Estonia a fare allenamenti e gare. Sicuramente non vado a Tokyo per partecipare, ovviamente vorrei migliorare il risultato di cinque anni fa e le possibilità ci sono tutte. È sempre una gara secca, quindi si deciderà tutto quel giorno lì. I favoriti sono il tedesco Reitz e il francese Quiquampoix, ma non sono da sottovalutare anche cinesi e coreani”.
Reitz però l’hai battuto due anni fa agli Europei. Quindi possiamo inserire anche te tra i favoriti?
“Certo, perché no. Io lavoro per quello”.
Hai già avuto modo di partecipare alle Olimpiadi di Rio 2016. Che ambiente ti aspetti di trovare a Tokyo? Pensi che il Covid possa creare un’atmosfera diversa?
“Difficile dire che ambiente troveremo. Sicuramente sarà un’Olimpiade a metà: non ci sarà il pubblico, non potranno venire ad esempio i miei genitori e mio fratello che erano presenti a Rio. Nonostante tutto, voglio vivermi l’atmosfera e l’emozione Olimpica a pieno pensando solo a dare il meglio”.
Paragonando la preparazione che stavi facendo lo scorso anno con gli ultimi mesi, col senno di poi ritieni che lo spostamento delle olimpiadi possa averti avvantaggiato?
“Per quanto mi riguarda è stato un bene. Nonostante io abbia 37 anni, e un anno in più è sempre un peso ulteriore quando si raggiunge una certa età nello sport, mi sento molto più pronto oggi rispetto al 2020. L’ho vissuta come una possibilità di vedere a che punto ero con la preparazione e migliorare ancora qualcosina”.
Hai cambiato qualcosa rispetto all’allenamento che stavi facendo l’anno scorso?
“Sì, ho lavorato molto di più e diversamente a livello fisico. Un anno fa mi sono trasferito a Verona apposta per preparare le Olimpiadi, allenandomi al poligono dov’è cresciuto Roberto Di Donna, il più grande tiratore di pistola italiano, che attualmente allena la nazionale di aria compressa. Lui mi ha aiutato a trovare una buona sistemazione, qui c’è anche un team di fisioterapisti e preparatori atletici con cui sto lavorando e questo è stato un grosso cambiamento. Sono sicuro che allenare il fisico mi aiuti anche ad essere sempre competitivo alla mia età, che non è scontato”.
Come si gestisce la tensione e l’adrenalina durante una finale? Guardi sempre le serie dei tuoi avversari oppure cerchi di concentrarti soltanto sul tuo esercizio?
“Personalmente li guardo, anche perché abbiamo un monitor davanti agli occhi in cui vediamo il punteggio sempre aggiornato e la classifica. Volente o nolente l’occhio ti cade lì, quindi lo vedi. Però ci sono parecchi tempi morti, e osservare come tirano gli altri mi fa da visualizzazione, da allenamento senza movimento. E poi mi distrae allentando un po’ la tensione della gara”.
Fino a 14 anni hai giocato a basket. Com’è nato poi l’amore per il poligono?
“Sono andato la prima volta perché volevo provare. Mio nonno era cacciatore, quindi le armi in casa le avevo sempre viste. Al poligono di Legnano ho avuto la grande fortuna di trovare un grosso gruppo di ragazzi più o meno della mia età, con cui abbiamo fatto molta amicizia e abbiamo passato tanti anni insieme nelle categorie Juniores. Questo mi ha aiutato a far crescere la passione per il tiro. Poi ho avuto la possibilità di entrare nel gruppo sportivo dell’Esercito, nel 2005, e da lì sono diventato professionista”.
Invece com’è nata la scelta di specializzarti proprio nella pistola?
“Ho sparato per la prima volta di carabina al poligono di Gallarate ma non mi è piaciuto un granché. Allora ho provato la pistola e mi sono accorto che era più adatta a me perché ci sono meno limitazioni, è un po’ meno tecnica e più personale. Ovviamente ho cominciato con l’aria compressa perché era troppo presto per sparare a fuoco. Dopo un paio d’anni ho provato la pistola automatica, che è la mia disciplina, e me ne sono innamorato subito”.
Alex Scotti