Dici Skorpions Varese e pensi a Giorgio Nardi, un’autentica istituzione all’interno del mondo grigiorosso e, più in generale, del football. La sua carriera parla per lui, a cominciare dai tre superbowl vinti (nel ’90 con i Rhinos Milano e nel biennio ’94-’95 con i Frogs Legnano, ndr) senza dimenticare la parentesi con la maglia della nazionale e il titolo di MVP in semifinale e in finale agli Europei del ’95 in Austria.

Una brillante carriera ricca di successi che però comincia proprio nel 1983 a Varese, quando nascono gli Skorpions, e lo stesso Nardi ci racconta: “All’epoca studiavo Geometra e, un giorno, all’uscita ho visto una locandina degli Skorpions: sono andato a fare un allenamento e da lì non ho più smesso. Il primo anno non c’era nulla, ci allenavamo a San Fermo in un campo, ma siamo riusciti a debuttare in Serie B nel 1984 e a conquistarci la promozione cinque stagioni dopo. Da lì sono passato prima ai Rhinos e poi ai Frogs”.

Come sei tornato agli Skorpions?
“Già sul finire degli anni ’90 Varese partecipava alla Winter League per cui io ho continuato a giocare nei Frogs mentre d’inverno giocavo e allenavo negli Skorpions; nel ’99, anno in cui ho vinto la WL con gli scorpioni, mi sono trasferito in Trentino per lavoro e ho dovuto abbandonare il football. Una volta tornato, quasi per caso, nel 2011 sono andato a vedere una partita degli Skorpions e mi è stato chiesto di rientrare a far parte della squadra; da una decina d’anni li seguo come responsabile tecnico takle e do una mano ai coach della difesa”.

Com’è stato il passaggio da giocatore ad allenatore?
“In realtà io alleno da sempre perché già negli anni ’80-’90 ero il coach delle giovanili in cui c’erano, tra gli altri, Cristian Bianchi, Daniele Donati ed Enzo Petrillo. Tra l’altro sono tuttora coach dei LB della nazionale U19 e sono anche allenatore di pallavolo, uno sport che mi piace parecchio e che mia figlia praticava. Mi è sempre piaciuto allenare perché mi gratifica davvero tanto trasmettere ciò che so e aiutare le persone a crescere; da giocatore ho avuto la fortuna di poter essere allenato da coach davvero bravi e sono riuscito a carpire i loro segreti per farli miei”.

A tal proposito, sei stato una figura di riferimento per tanti: che emozione è per te?
“Fa solo tanto, ma davvero tanto, piacere perché mi rendo conto di esser riuscito a trasmettere la mia passione a molti ragazzi. Far conoscere e apprezzare questo sport in Italia non è semplice perché chi lo pratica non lo fa con un secondo fine, ma solo per il piacere di farlo. Esser conosciuto come colui che ha fatto innamorare tanti ragazzi di questo sport vuol dire tanto”.

Com’è cambiato il football italiano da quando giocavi tu ad oggi?
“Sono due sport diversi. I nostalgici lo rimpiangono, ma io sono convinto che una squadra degli anni ’80 contro una squadra di oggi perderebbe, e pure di tanto. Una volta c’era meno velocità, il contatto era più forte e ci insegnavano che il casco non serviva a proteggersi ma a colpire; oggi, invece, c’è più tecnica, più tattica e si studiano a menadito i filmati in modo da approcciare una partita in maniera pressoché perfetta. Inoltre, oggi si sfrutta molto di più il gioco aereo e si presta particolare attenzione alla condizione atletica dei giocatori”.

Cosa significa per te esser stato un grande giocatore di football e fare ancora parte di questo mondo?
“Il football è la mia vita. Non è una frase fatta ma la verità, perché grazie al football ho conosciuto mia moglie che ha sempre tenuto le statistiche per gli Skorpions fin dagli anni ’80 e con lei ho fatto tutte le mie trasferte. Addirittura, quando sono stato nominato MVP della semifinale all’Europeo, mia moglie era incinta ma è venuta in Austria perché voleva vedere a tutti i costi la finale. Inoltre, grazie al football ho conosciuto i miei veri amici, quelli con cui ho continuato a giocare e che fanno tutt’ora parte di questa squadra”.

Passando all’attualità direi che il campionato sta andando alla grande; ti aspettavi tre vittorie del genere?
“Sulla carta vedevo i Daemons davanti e noi a giocarci il secondo posto con i Lions, e invece queste prime tre giornate mi hanno davvero sorpreso in positivo. Il botto è stato all’esordio, senz’altro per la vittoria così larga, ma soprattutto per come ho visto la squadra: si è vista fin da subito la cura Nick”.                                                       

Apriamo quindi subito la parentesi Holt. Da qualche anno gli Skorpions hanno intrapreso un percorso “americano”; questo cosa comporta?
“Quattro anni fa abbiamo voluto muoverci per fare un salto di qualità e siamo arrivati a George Contreras, una persona incredibile che ha fatto della sua vita il football. Lui conosceva già la realtà sia italiana sia europea, ma non aveva mai allenato per più di un anno nella stessa squadra; con noi, invece, ha sposato un progetto triennale ed è riuscito a far crescere allenatori e giocatori in una maniera impressionante. Poi c’è stato il Covid e, per motivi personali, non è riuscito a tornare in Italia ma ci ha suggerito Holt; ci siamo fidati di lui anche in questa scelta e non siamo rimasti delusi. Nick ci ha portato davvero al salto di qualità attraverso un ritmo e una metodologia di allenamenti assurda: il coinvolgimento e la carica che riesce a trasmettere sono incredibili ma, soprattutto, ha sempre una buona parola per chiunque al punto che riesce a “cazziarti” facendoti i complimenti. Seguire il percorso “americano” rappresenta una scelta economica importante, ma che è necessaria per crescere; e noi vogliamo farlo nel migliore dei modi”.

Un commento sul Coaching Staff?
“È un gruppo coeso, di amici, e questa è la cosa più importante. Daniele (Donati, ndr) riesce a coinvolgere tutti i coach della difesa in ugual misura e sta cercando di rubare a Nick il più possibile. Anche in attacco c’è un grande feeling ed essere sotto l’ala protettrice di Holt porta tutti quanti a sbagliare davvero poco; basta che Nick faccia notare qualcosa e un errore non viene più ripetuto. C’è un grandissimo coinvolgimento da parte di tutti e ognuno dà il suo contributo alla causa”.

Quest’anno, inoltre, si raccolgono i frutti del duro lavoro fatto sul settore giovanile; avere un vivaio così forte rappresenta un ulteriore motivo d’orgoglio?
“Ovviamente sì, ma al di là dei risultati ci gratifica l’aver visto un cambio di mentalità anche da parte loro. Nick è molto contento dell’atmosfera che si respira in casa Skorpions a tutti i livelli e questo, ovviamente, facilita l’inserimento dei più giovani in Prima Squadra. Ci sono cinque o sei giocatori che stanno disputando un campionato per la prima volta e stanno facendo davvero bene”.

Qual è l’obiettivo degli Skorpions?
“Per me l’obiettivo resta lo stesso di inizio campionato ovvero far meglio dell’ultima volta quando siamo stati eliminati ai quarti. Vorremmo comunque fare il meglio possibile anche perché l’appetito vien mangiando… Salto di categoria? Se ne parla perché l’ambizione c’è ed è giusto che sia così, ma non vogliamo fare il passo più lungo della gamba: dobbiamo prima consolidare il nostro organico e far crescere ulteriormente i ragazzi. Credo che passare ora in Prima Divisione sia prematuro”.

Giocare all’Ossola cosa vuol dire per questa squadra?
“Io ci giocavo negli anni ’80, ma entrarci adesso è tutta un’altra cosa. Io abito a 500metri dallo stadio e chi è nato e cresciuto a Varese come me vede l’Ossola come un tempio dello sport di Varese, dal calcio al ciclismo passando ovviamente per il football. Mi rattrista vedere lo stato d’abbandono delle curve e dei distinti, ma il tappeto verde è una moquette perfetta e quando si entra negli spogliatoi si respira un’aria diversa; lo vedo soprattutto negli occhi dei ragazzi. Lo stadio in quanto tale dovrebbe essere sfruttato il più possibile perché è il cuore sportivo varesino e noi cercheremo di farlo coinvolgendo, quando sarà possibile, sempre più persone creando un evento che faccia da contorno alla partita”.

Questo sarebbe possibile già ai playoff?
“Per noi sarebbe fondamentale. Leggendo sui siti online che parlano di football vedo solo persone molto contente per gli Skorpions e per lo stadio; immagino che siano in molti a voler vederci dal vivo. Se dovessimo vincere il girone giocheremmo in casa di sicuro i quarti di finale; speriamo di poterlo fare perché avere anche solo un centinaio di persone farebbe la differenza”.

Archiviata l’andata comincia ora il girone di ritorno; cosa ti aspetti dalle prossime sfide?
“Io non do nulla per scontato: non dico che perderemo, ma non credo che le prossime due partite seguiranno il copione dell’andata. In particolar modo temo quella contro i Lions perché, al debutto, a loro è andato tutto storto mentre noi non abbiamo sbagliato nulla. Dall’altra parte, lungi da me pensare che abbiamo già vinto: dovremo giocarci queste tre partite come se ne andasse della nostra vita e poi vedremo dove siamo arrivati”.

Matteo Carraro

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