L’Italia è ormai nel suo cuore da tempo ed è una seconda casa professionistica e di vita quotidiana che lo ha accolto da giovane. Proprio in Italia, infatti, si è formato come giocatore e in estate è arrivato a Varese in maglia Openjobmetis in cerca della definitiva consacrazione dopo tanti anni in A2 e un’ottima seppur breve avventura alla Dinamo Sassari. Questa è la storia di Paulius Sorokas, ala grande nato il 25 agosto 1992 a Kaunas, in Lituania, una terra che vive di pallacanestro. A conferma di una famiglia che ha lo sport nel sangue, ha una sorella, Indre, che è giocatrice professionista di pallavolo (questa stagione è in forza a Il Bisonte Firenze) nonché nazionale italiana. 

Quando hai iniziato a giocare a pallacanestro e perché?
“Ho cominciato a giocare a basket ancor prima di aver imparato a camminare, praticamente. Mio papà era un giocatore ed io amavo andare a vederlo e così mi sono avvicinato a questo sport, che poi è diventata la mia vita. In tutto questo, ha influito anche il fatto di essere nato e cresciuto in una città, Kaunas, ed un paese, la Lituania, in cui si respira basket in tutto e per tutto. È stato facile appassionarsi alla pallacanestro”.

Chi è stata la persona più importante nella tua crescita professionistica?
“Mia sorella Indre. Essendo una giocatrice professionista di pallavolo da anni, mi ha aiutato tantissimo nel mio percorso di crescita, non tanto per quanto riguarda la parte tecnica del gioco, ovviamente, quanto per tutti quegli aspetti di vita nello spogliatoio e al di fuori dal campo che sono fondamentali per un professionista. La gestione del momento, saper superare le difficoltà, il lavoro costante, la concentrazione, insomma è stato il mio punto di riferimento per maturare da un punto di vista umano e professionale. È stata sempre presente per me”.

Visto che hai citato tua sorella, ti chiedo se è più forte lei a giocare a pallavolo o tu a basket?
“Sono onesto, lei è più forte e sono molto contento di questo. Posso dire però che se in estate andiamo a giocare a beach volley non sono tanto più debole”.

Per te, per tua sorella, l’Italia è stato ed è tuttora un Paese molto importante. Cosa rappresenta?
“Senza dubbio posso dire con tranquillità che l’Italia per me è come una seconda casa. Sono qui da tanti anni e, conoscendo anche la lingua, mi trovo bene. Cultura, cibo ed architettura italiana sono fantastiche, mi trovo bene anche con la gente e con il modo di vivere in Italia”.

Qual è il tuo piatto italiano preferito?
“Questa è una domanda difficile, ce ne sono davvero tantissimi buoni. Diciamo che se sono in una giornata in cui non mi devo allenare, un bel piatto di carbonara è davvero qualcosa di eccezionale”.

Andando più sul campo, chi era il tuo idolo a cui ti ispiravi da bambino o chi è adesso il tuo esempio?
“Quando ero piccolo Allen Iverson, anche perché in fase di crescita non ero così alto come invece capita spesso ai ragazzi. Sono cresciuto tra i 15 ed i 20 anni molto, mentre prima giocavo guardia, play e quindi mi ispiravo a lui. Poi crescendo e cambiando ruolo, ho seguito ed amato molto Kuzmiskas. Adesso non ho un giocatore di riferimento preciso, cerco di prendere il meglio da ogni compagno o avversario che incontro”.

Qual è stata ad oggi la tua tappa più importante in Italia?
“Ogni anno è stato diverso e significativo e mi ha aiutato a crescere. Non nego che fare un anno a Sassari mi ha aiutato tantissimo, il Poz è stato fondamentale. È diverso dagli altri allenatori, ti dà tanta fiducia e quell’anno mi ha aiutato molto come uomo e persona”.

È arrivata la chiamata di Varese dove hai ritrovato anche coach Vertemati con cui hai lavorato due anni a Treviglio. Com’è il tuo rapporto con lui? Pensi che Varese possa essere la squadra giusta per fare il tuo step forse finale?
“Sì, ho conosciuto il coach a Treviglio dove abbiamo passato due anni insieme e mi sono trovato davvero bene. Ama lavorare molto, proprio come me. È malato di basket ma nel senso buono del termine, vuole fare le cose bene ed è attento ad ogni dettaglio. Ora ci siamo ritrovati a Varese ed è stato uno dei motivi che mi ha portato ad accettare l’offerta della società in estate, oltre al fatto che questa è una piazza storica a cui non potevo dire di no. Penso che possa essere una grande opportunità per me, mi trovo molto bene con la squadra ed anche se siamo partiti male c’è tutto il tempo per rimediare e abbiamo soprattutto molta voglia di rialzarci. Dopo la sconfitta in casa contro Reggio Emilia dove non siamo stati noi, ci siamo parlati, eravamo tutti molto arrabbiati. Sappiamo che dobbiamo reagire, ci stiamo provando, come abbiamo fatto vedere in parte anche a Treviso. Siamo molto vogliosi di dimostrare che squadra siamo davvero e contro Brindisi cercheremo di mettere in campo tutta questa rabbia che abbiamo dentro per cambiare la situazione”.

Alessandro Burin

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