Oggi il suo nome è sulla bocca di tutti coloro che seguono e sono appassionati del basket giovanile. Nominato MVP del girone A della Next Gen IBSA a Pesaro, è finito sui taccuini degli scout italiani e stranieri. Levi Valdo Guimdo Tsafack, è uno dei talenti più puri e forti che Varese Academy sta coltivando e da cui sta traendo i primi frutti di un lavoro costante e ben fatto.

Un ragazzo che però non è solo un ottimo prospetto sportivo in campo quanto nella vita: serio, maturo, con la testa sulle spalle e molto più grande di quanto i suoi 17 anni possano dire. Guimdo nella sua vita, nonostante la tenera età, ha già vissuto esperienze che lo hanno temprato, che ne hanno fatto già adesso a tutti gli effetti un uomo, concentrato e consapevole di dove vuole arrivare, in campo, come nella vita.

Mi racconta quando è stata la prima volta che ha giocato a pallacanestro?
“Ho iniziato a giocare all’età di 10/11 anni grazie a mio padre, è lui che mi ha donato il primo pallone. Lui era allenatore di pallamano, pallacanestro e pallavolo. E’ lui che mi ha convinto a giocare a basket in Camerun, prima giocavo a calcio come tutti i bambini africani”.

Com’è stato iniziare a giocare a basket nel suo contesto di vita in Camerun?
“Mio padre mi ha dato il là per iniziare a giocare. Per un anno insieme a lui mi sono allenato, cercando di imparare il più possibile. Poi purtroppo lui è morto e da quel momento mi sono detto che avrei dovuto impegnarmi moltissimo per onorare la sua memoria ed il dono che mi aveva fatto. Ogni momento libero della mia giornata lo passavo allenandomi, anche da solo. Non è stato facile perché in Camerun la vita non è come qui. Non puoi andare a scuola di giorno ed allenarti la sera, lì alle 18 è buio e non ci sono strutture e campi come qui”.

Come faceva allora a trovare il tempo per allenarsi?
“A volte facevo il furbo, saltavo l’ultima ora di scuola per andare a a giocare. Mi ricordo che quando mia madre mi ha scoperto si è arrabbiata tantissimo perché non voleva che per nulla al mondo perdessi neanche un’ora di scuola”.

Com’è stato arrivare qui a Varese?
“Il nostro allenatore, Stefano Bizzozi, ha un progetto in Africa ed in Camerun, con il quale permette a tanti ragazzi di poter scoprire ed imparare a giocare a basket grazie alla costruzione di campetti e camp specializzati. Io ed un mio amico ci siamo presentati ad uno di essi e dopo un mese che ci allenavamo, sono stato chiamato per dirmi che ero stato scelto per venire qui in Italia per giocare a basket. E’ stata la realizzazione di un sogno per me”.

Come avete reagito lei e la sua famiglia a questa notizia?
“Sono stato felicissimo, era tutta la vita che aspettavo un’opportunità simile, poter partire per giocare a pallacanestro. Non volevo altro che poter viaggiare e giocare. Anche la mia famiglia è stata molto contenta, nonostante questo volesse dire doverci separare”.

Non l’è dispiaciuto lasciare tutto per venire qui in Italia?
“Certo, però è la vita, ognuno ha i suoi obiettivi ed il mio è quello di giocare a basket. In Europa ci sono più opportunità, il movimento è più sviluppato e non potevo farmi scappare questa occasione”.

Lei è arrivato in un momento molto particolare però, perché poco dopo il suo arrivo qui a Varese è scattato il primo lockdown contro il covid-19. Come ha vissuto i primi mesi lontano da casa e senza la possibilità di uscire?
“E’ stato veramente molto brutto. Io sono arrivato a Varese il 7 febbraio 2020 e pochi giorno dopo siamo stati tutti chiusi in casa a causa della pandemia. Non avevo amici, non sapevo la lingua, non potevo uscire e mi sentivo davvero solo. Quando facevo le videotelefonate con la mia famiglia in Africa, vedevo i miei amici giocare, divertirsi e questo mi ha creato molta malinconia. E’ stato il periodo più brutto della mia vita”.

Poi piano piano ha iniziato a scoprire la città ed il mondo Varese Academy..
“Sì, ho iniziato a studiare la lingua e verso l’estate ho scoperto la città, ho iniziato a fare qualche torneo, conoscere altri ragazzi e farmi degli amici, qui in Academy come a scuola”.

Un percorso duro che l’ha portata ad essere uno dei giocatori più forti della sua squadra. Si aspettava di raggiungere questo livello in un anno e mezzo?
“Sinceramente no. Quando sono arrivato mi aspettavo di trovare giocatori più forti e fisici di me. Diciamo però che tutto quello che sto ottenendo è frutto del lavoro duro e costante ogni giorno. Essere nominato MVP della Next Gen a Pesaro è stato qualcosa di unico”.

Next Gen LBA che poi è stata la seconda quest’anno dopo quella Adidas, giocata proprio qui a Varese. Quale delle due l’ha aiutata di più a crescere?
“Secondo me la prima. Ci siamo confrontati con squadre e giocatori di tutt’Europa, bravi e forti sia tecnicamente che fisicamente. E’ stata un’esperienza che ci ha fatto crescere molto, ci ha permesso di capire quali siano i nostri difetti e questo ci è servito molto poi per la Next Gen LBA di questi giorni, dove abbiamo dimostrato tutta la nostra crescita”.

Non solo campionati giovanili ma anche Senior, visto che disputa il campionato di C Gold con la squadra under 19. Le piace come esperienza?
“Assolutamente sì. Si incontrano avversari molto più grossi fisicamente e molto più esperti di noi giovani. E’ un’esperienza importantissima per noi ragazzi soprattutto da un punto di vista di lettura del gioco”.

Ad oggi in cosa pensa di dover migliorare ?
“In primis nel tiro, perché senza di quello, soprattutto per un esterno come me, non si va da nessuna parte. Poi penso che devo migliorare ancora molto in difesa, che per me è la fase di gioco più importante. Infine senza dubbio devo crescere ancora molto nel saper giocare di squadra”.

Tra qualche anno dove si vede?
“Mi piacerebbe molto poter giocare in Serie A qui in Italia oppure chissà, magari anche in NBA”.

Le piacerebbe giocare a Varese e ha mai pensato come sarebbe trovarsi a giocare in un palazzetto pieno come spesso capita qui a Masnago?
“Ovviamente mi piacerebbe giocare qui a Varese. Con i miei compagni spesso veniamo a vedere le partite della Prima Squadra ed è bellissimo vedere il pubblico e l’atmosfera che si crea nel palazzetto. Devo essere sincero però, non mi sono ancora immaginato come potrebbe essere vivere da protagonista un’emozione simile, con più di 5000 persone che sono lì a guardarti giocare, che ti incitano, che ti mettono anche pressione. Deve essere molto complicato e bello allo stesso tempo. Credo questo sia un ulteriore step che come giocatore dovrò fare, saper gestire la tensione di momenti così importanti, sperando di viverne tanti”.

Alessandro Burin

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