Si, è proprio vero che le emozioni non hanno età. Che nonostante gli anni che passano, la voglia di fare ciò che si ama è un richiamo che sfugge alle regole della normalità, che magari tutto si aspetterebbe tranne che vedere un ragazzone di 60 anni indossare tuta e guantoni ed andare a difendere la porta del Don Bosco la domenica. Ecco perché persone come Paolo Mattioni, la cui carta d’identità recita 26 settembre 1961, sono quelle a cui è giusto dare la celebrazione che si meritano, a dimostrazione di come la passione e l’amore per questo sport possano fare cose veramente straordinarie.

Nel 2015 ti avevamo fatto un’intervista per il tuo esordio in Prima Categoria a 53 anni, e otto anni dopo ti ritroviamo ancora qui con la stessa voglia di un ragazzino. Possiamo già prendere appuntamento tra un paio d’anni per la prossima intervista?
“Come avevo già detto io sono entrato nel mondo del calcio dilettantistico abbastanza tardi, perché lavoro, studio, università e tutto quanto mi impedivano di allenarmi costantemente, e poi, probabilmente non avevo nemmeno la testa per fare questo. Da quando però ho cominciato a Leggiuno, insieme a Mirko Borghese, da allora ho conosciuto la vita dello spogliatoio, e fondamentalmente è stato quello che mi ha fatto innamorare più di ogni altra cosa. In più, quando ero lì, ho avuto la fortuna di incontrare il preparatore Rinaldo Fiorini, che da allora mi ha sempre seguito ed èla persona a cui sicuramente devo più di tutto, perché mi fa allenare e mi porta allo stremo al martedì sera. Insomma, seppur partendo tardi, mi sono reso conto che facendo allenamento stavo molto bene fisicamente, il gruppo e lo spogliatoio poi, è un ambiente unico nel suo genere. Per cui si, se non avrò infortuni gravi, se avrò sempre questo piacere di vivere lo spogliatoio e se lo spogliatoio continuerà ad accettarmi come uno di loro e non come uno che potrebbe essere il nonno di qualcuno possiamo già prendere appuntamento tra un 6\7 anni”.

Qual è il segreto per avere ancora a 60 anni la voglia di mettersi in gioco?
“Mi vengono in mente due canzoni per rispondere, una di Lucio Battisti “Emozioni”, e l’altra di Lucio Dalla “4 marzo 1943”. Nel senso che io ancora adesso, quando scendo in campo lo faccio con le palpitazioni, come se fossi un ragazzino che è li alla prima partita in oratorio: a me tutto questo dà un’emozione fortissima. Per cui c’è il piacere di stare con il gruppo, l’emozione che mi da non solo il campo ma anche la panchina (perché comunque nella mia vita calcistica ho fatto per lo più panchina) per cui quando arriva il martedì mattina io non vedo l’ora di andare ad allenamento, anche se mi tocca l’intensità. E probabilmente il segreto sta tutto qui: è sempre stato un divertimento, è sempre stata un’emozione, ed è vero che è solo un gioco…però è il gioco più bello del mondo”.

E immagino che in famiglia ormai si siano rassegnati a non vederti la domenica pomeriggio…
“In realtà, soprattutto mia moglie, con cui ormai sono 30 anni che siamo sposati, i primi tempi che andavo giocare mi diceva “non ti ho mai visto così sereno”. Per cui si, si sono ormai rassegnati che quando ci sono gli allenamenti, quando ad agosto c’è la preparazione, e soprattutto la domenica pomeriggio, che sia in campo o in panchina, non ce n’è, io sono lì”.

A proposito di emozioni, c’è una partita, o un momento, che ti ha saputo emozionare più di altri?
“C’è ed è un’emozione negativa. Tre anni fa, giocavo a Brebbia, mancava il portiere titolare per cui ho giocato io, e purtroppo ho preso un gol per colpa mia. È stata proprio una papera, e abbiamo perso la partita 2-1. Me lo ricordo ancora perfettamente, l’attaccante aveva calciato un esterno a giro, io mi sono mosso con l’argo anticipo, la palla ha toccato per terra e ha avuto un rimbalzo irregolare, io già in tuffo l’ho toccata con la coscia ed è entrata. In quel momento è stata l’emozione più forte purtroppo in negativo. Mi sono sentito in colpa, nonostante la squadra avesse giocato male e ci potessero essere mille attenuanti, però ci ero rimasto male come se avessi fatto qualcosa di irreparabile, ed in effetti siamo anche retrocessi ai play out quell’anno. Questa è stata la cosa più incisiva nella mia carriera calcistica. Poi guardando il lato positivo non posso non ricordare anche quando sono entrato in campo a sostituire Borghese in coppa Lombardia 8 anni fa, però la cosa che mi ha dato l’emozione più forte è stata sicuramente quel gol subito”

È proprio tutta una questione di emozioni quindi…
“Direi proprio di sì. L’altra sera ho visto la trasmissione “Senza guanti”, in cui c’erano Zenga, Pagliuca, Peruzzi e Toldo che parlavano tra di loro delle varie situazioni, ed io ero lì che li guardavo e mi immedesimavo in quello che dicevano: sentivo parlare questi campioni e riconoscevo le stesse emozioni che provo anch’io. Ed è per questo che è veramente una cosa bellissima: quando tu entri in porta, quei 7 metri per 2 e mezzo sono casa tua: tocchi i pali, guardi l’area piccola, se c’è qualche buca o qualche sasso, insomma in quel momento diventa casa tua e non ci deve entrare nessuno. Ti dà proprio questa sensazione ed io veramente mi diverto come un bambino”.

Che consiglio daresti ai più giovani per arrivare alla tua età ancora pronti fisicamente a scendere in campo?
“Io ho sempre fatto una vita abbastanza sana, ed il consiglio che darei ai giovani è di avere cura di loro stessi, del proprio corpo, di divertirsi, ma di non rinunciare all’attività sportiva, perché quando sali con gli anni questo fa la differenza per star bene”.

Ritornando ad oggi invece, il tuo Don Bosco sta giocando una stagione superlativa. È merito anche di alcuni consigli di un veterano come te?
“C’è da fare subito una considerazione, ossia che questa squadra che è stata assemblata è una squadra molto molto forte. Il veterano tuttavia non sono io, o meglio, sono si il più vecchio, ma quello che è il riferimento in campo è il capitano Francesco Palatrasio, che oltre ad essere un leader in campo è un amico con cui sono insieme ormai da 9 anni, così come anche Jonas Lombardo. Io magari sono un po’ più leader nello spogliatoio diciamo. Quest’anno poi, dal punto di vista personale ho avuto un incentivo ancora maggiore, perché al di là che al Don Bosco si sta molto bene, specialmente grazie ad un presidente che ci mette il cuore, c’è il ragazzo con cui mi alleno, Marco Perna, un classe 2000, che oltre ad essere fortissimo è anche un ragazzo molto umile e intelligente, che è venuto in Terza categoria quando poteva stare molto più su, per amicizia. Per cui quest’anno c’è questa squadra composta da me, Fiorini e Perna, all’interno di un’altra squadra altrettanto unita”.

Mancano ancora 7 partite da qui alla fine della stagione. Se dovesse esserci l’occasione di scendere in campo, con che spirito giocheresti?
“Quest’anno ho già giocato due spezzoni di partita a risultato acquisito. Io sono qui, se c’è bisogno entro in campo con tutta la carica, la grinta e la personalità che ho a disposizione. Marco poi naturalmente da tutta un’altra garanzia, ed è un portiere per cui stravedo. Ad ogni modo se mi dovesse capitare di entrare in campo entrerei dento a mille, poi non so se lo farei bene o male, ma comunque cercherei di fare del mio meglio. Poi ripeto, il gruppo che c’è qui mi valorizza molto, e lo fa non trattandomi come il vecchio fuoriquota a cui dici bravo se prendi la palla, ma proprio come se fossi uno di loro. Ho scoperto tardi la vita dello spogliatoio, ma ora me la sto gustando in ogni attimo”.

Francesco Vasco

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