Mi piace l’idea di associare il lungo viaggio della Chicca a “Itaca”, la bellissima poesia scritta dal greco Kostantinos Kavafis.
Mi piace pensare che la Chicca, la cui carta d’identità segnala Laura Macchi, ovvero la giocatrice varesina di pallacanestro più importante, famosa, celebrata e prestigiosa di sempre, durante il suo favoloso viaggio fatto di canestri, passione, emozioni incredibili, qualche piccola e inevitabile delusione e infinito amore per il gioco  abbia trovato la sua “Itaca”, il suo felicissimo approdo fatto di dolci “mattini d’estate” e degli innumerevoli tesori trovati per strada.

Tutte esperienze con le quali gratificarsi e volersi bene perché, gli appassionati di basket lo sanno, l’esaltante viaggio della Chicca si è concluso la primavera scorsa e Laura, ormai da diversi mesi, ha cominciato la sua nuova vita.
Alla prima parte del viaggio di Macchi qualche anno fa abbiamo dedicato addirittura dieci puntate. Una sorta di “First Dance”, ovvero una “serie” in salsa varesina tutta da leggere.

Adesso, però, per completare nel miglior modo possibile il cammino di Chicca mancano gli ultimi episodi. Manca, restando in tema, il “Last Dance”.

“Il mio ultimo ballo è stato comunque meraviglioso – dice con voce emozionata Laura -. Non ha importanza se le mie ultime tre stagioni sono state condizionate pesantemente da incidenti di percorso – vedi il fallimento-ritiro-scomparsa di Napoli a campionato in corso; vedi gli effetti della pandemia, per i quali non ho oggettivamente responsabilità. Non ha importanza se i titolo di coda non sono stati quelli che desideravo, sognavo e probabilmente avrei meritato. Queste cose hanno poca importanza perché conta infinitamente di più tutto quello che, di bellissimo e fantastico, mi è capitato prima. Una cosa enorme e, ogni volta che ci penso, mi vengono i brividi”.

Ripercorriamoli brevemente, i tuoi ultimi passi di danza sul parquet. Io e te ci siamo lasciati, giornalisticamente intendo, nell’agosto 2019, con l’enciclopedia a puntate sulla tua vita. Allora, se non ricordo male, tra il tripudio generale eri “atterrata” a Napoli, giusto?
“Giustissimo – risponde Laura -. Scendo a Napoli gasata come non mai e sicura, anzi, super convinta di aver scelto il meglio possibile, il non plus ultra per chiudere in maniera fantastica la mia carriera: due anni di contratto; trattamento economico più che soddisfacente; squadra di altissimo livello con giocatrici italiane di primissima fascia e americane/straniere da All Star Game con un coach, Antonio Molino, esperto e vincente; e giusto per gradire organizzazione societaria che, in quell’estate lì, sembra essere degna della WNBA. Il sogno però dura poco e già alla fine settembre intorno a noi sentiamo puzza di bruciato”.

Definisci il significato di “puzza di bruciato”
“Semplice: capiamo che le cose non stanno andando avanti in maniera fluida quando le americane – Harrison e Courtney – iniziano a disertare gli allenamenti e, giustamente, ci spiegano che: “No money, no play!!”. Nel breve volgere di un paio di mesi sempre più problematici la valanga della crisi si ingrossa e ci trascina tutti a valle. Noi giocatrici cerchiamo di tenere botta, ma nonostante gli sforzi tremendi a circa metà gennaio del 2019 non possiamo fare nulla contro la decisione di ritirarsi dal campionato presa dai dirigenti. Così, da un giorno all’altro, a quasi 40 anni (Chicca è nata il 24 maggio 1979 ndr) mi ritrovo per la prima volta in carriera catapultata in una situazione nuova e senza squadra. Fortuna vuole che, come fosse manna dal cielo, mi arriva la proposta della Reyer Venezia, uno dei club più importanti a livello europeo. Il club del presidente Brugnaro, che non finirò mai di ringraziare, mi propone un biennale con scadenza giugno 2021. Ovviamente accetto al volo e con Venezia di fatto gioco il mio ultimo campionato di serie A che esita con l’eliminazione in gara-5 della semifinale dei playoff ad opera di Ragusa”.

La scadenza, però, era datata 2021: cosa succede da maggio 2019 a giugno 2021?
“Prima succede che il campionato alla fine di febbraio 2020, nel pieno della prima ondata del coronavirus, viene prima sospeso, poi definitivamente cancellato. Quindi, una stagione sportiva che, per tutti, va a farsi friggere. Poi, al momento di ricominciare nel settembre 2020 sento che ormai, come si usa dire, “mi è scesa la catena””.

Per favore, definisci meglio “scendere la catena”
“Nel periodo, interminabile, del primo lockdown vivo confinata e da sola nella mia casetta di Chirignago, paesino ad dozzina di chilometri da Venezia. Ritrovarsi in quella solitudine un po’ ovattata dopo 25 anni frenetici tra partite, allenamenti, trasferte, su e giù da aerei e pullman e amenità del genere mi spinge a guardare fuori dalla finestra e a domandarmi per la prima volta in vita mia: “Voglio ancora davvero vivere una “rumba” del genere?”. Insomma,  comincio a riflettere seriamente sul mio futuro e a resettare la bussola del mio viaggio. Oppure, fuor di metafora, capisco di non avere più né energie fisiche né, in particolare, lo “speed” mentale adeguato, necessario e indispensabile per riprendere la solita “routine”: allenamenti, sudore, fatica, sudore, trasferte, sudore, partita, sudore, riunioni tecniche, fisioterapia e tutto quello fino a pochi giorni prima aveva rappresentato il mio mondo. La mia ragione di vita. In quel periodo, è vero, ricevo comunque diverse proposte, ma alla fine per diverse ragioni ed esigenze di  carattere famigliare le lascio passare e, di fatto, dopo il periodo non sono più tornata in palestra. Così, in punta di piedi, mi sono ritirata dal basket senza darne immediata comunicazione ufficiale. Cosa che, come ben sai, ho poi fatto con una lettera d’addio, scritta di getto e davvero a cuore aperto, a fine agosto dello scorso anno”.

Rimanendo al post-pandemia: quali sono state le riflessioni più importanti di quel periodo?
“La più significativa è certamente legata alla decisione di tornare a casa, nella mia Varese, dopo 20 anni “zingareschi”. Ne ho parlato a lungo col mio compagno (Sandro Orlando, allenatore di alto livello in campo femminile, vincitore di diversi scudetti e, nel 2019, oro agli Europei con la Nazionale under 20 ndr) che ha appoggiato al 100% la mia scelta. Dopo tanto cercare ho finalmente trovato, e comprato, la casa dei miei sogni e nella primavera scorsa, facendo la spola tra Parma e Varese, me la sono sistemata e arredata con calma”.

Dopo averti dedicato una monografia, ti chiedo di ripensare solo per un attimo alla tua carriera e ti chiedo di riassumerla in pochissime parole, in modo lapidario. Cominciamo da Varese…
“Varese in sintesi? Senza dubbio un trampolino di lancio oppure se vuoi, nel corso di tre stagioni bellissime e da ricordare la palestra di roccia ideale per affrontare, in seguito, le “grandi montagne””.

Comense?
“Dopo la dimensione giocosa e goliardica di Varese, in Comense imparo, spesso sbattendoci il naso, la dimensione del grande basket professionistico. Però, a furia di “craniate”, esco dall’esperienza Comense come giocatrice vera e donna ormai “in via formazione””.

Ribera?
“Un classico anno sabbatico. Divertente in campo, stupendo fuori. Pallacanestro e sole. Pallacanestro e spiagge. Pallacanestro e grandi amicizie. Pallacanestro e bagni in mare. Rigenerante, direi”.

Schio?
“La squadra della maturità e della consapevolezza a 360°. La squadra della gioia legata al professionismo più elevato e della determinazione fortissima nel voler raggiungere i risultati. Pur avendo vinto tanto in Comense, è stata comunque Schio – ho giocato ben 11 anni con la maglia arancione -, la tappa vera e fondante della mia storia da giocatrice”.

Napoli?
“Il sogno negato. Quello che, nonostante le mille aspettative, è finito male, trasformandosi strada facendo in un mezzo incubo. Peccato, perché per Napoli, città bellissima, ero davvero andata fuori di testa”.

Venezia?
“Come Schio: organizzazione, ambizioni, modo superlativo di lavorare e pensare il basket. Insomma: professionismo al top. Ma, anche qui: peccato che la pandemia mi abbia negato, ci abbia negato, le soddisfazioni che io e il club avremmo meritato”.

WNBA?
“Quello invece è il sogno realizzato. Se da ragazzina qualcuno mi avesse detto: ”Chicca, un giorno giocherai con le professioniste in America”, avrei chiamata la Croce Rossa e l’avrei fatto internare. Invece, un giorno, un “bel” giorno è accaduto davvero. Io, a Los Angeles, in WBNA, allenata da un mito come Michael Cooper. A volte, ancora non ci credo”.

Infine: la maglia azzurra, la Nazionale?
“L’orgoglio, il prestigio e il privilegio vero, sentito, di aver rappresentato il mio paese. Ma anche il rammarico, grande e sempre presente, per non aver mai vinto nulla di importante. Però, io alla maglia azzurra ho dato tutto. Sempre. E senza mai risparmiarmi”.

Siamo agli sgoccioli della nostra lunga e con piacere aggiungo bellissima chiacchierata. Siamo al presente
“Il presente per me è la vita che in qualche modo, quando meno te lo aspetti riesce sempre a regalarti delle sorprese. Spiego. Nel mio caso, mentre sfogliavo la margherita su cosa fare o restando nella ”metafora del viaggio”, su quale stradea imboccare, ecco che nei mesi scorsi mi è arrivata, praticamente all’improvviso, la proposta di cominciare l’attività di “spalla tecnica” per le telecronache di pallacanestro su Eurosport. Un’offerta che inizialmente mi ha lasciato basita. Però, visto che per carattere sono abituata ad accettare tutte le sfide che la vita mi offre, mi sono buttata a capofitto in questo “nuovo mestiere” che, devo dire, mi piace sempre, sempre di più. In questi mesi, grazie all’aiuto di tre persone meravigliose come Andrea Meneghin, Marco Mordente e Hugo Sconochini che mi hanno dato una grandissima mano, penso di essere cresciuta e, spero, migliorata. Da parte mia ci metto l’anima e, come sempre, faccio tutto al mille per cento. Studio, per essere sempre aggiornata e sul pezzo leggo tutto quello che c’è in circolazione, preparo le schede dei giocatori e delle partite e per tenermi in allenamento commento “a secco” gare e situazioni. Il tutto con grande entusiasmo perché, a quasi 41 anni, reinventarsi una nuova vita penso sia bello e stimolante. Nel poco tempo che mi resta, sto con Sandro e con i miei famigliari: mia sorella Elena, suo marito e miei adorati nipotini Marco, 13 anni, e Maya, 7. E, aspetto impagabile, mi godo Varese. Per me, la città più bella del mondo”.

In chiusura: nella stanza dei trofei, ne avrai certamente una, cosa manca?
“Più di tutto mi manca aver vinto qualcosa proprio qui, a Varese. Il Menego ci è riuscito e quando me ne parla, anzi, quando ne parliamo perché io l’anno della STELLA c’ero eccome, gli brillano ancora gli occhi. Un po’, un po’ tanto in verità, lo invidio e penso: “Beato lui. Che fortuna aver vissuto un momento così speciale””.        

LAURA MACCHI: LA SUA CARRIERA

Laura “Chicca” Macchi, nata a Varese il 24 maggio 1979 ha chiuso la sua brillantissima carriera da giocatrice con un palmares ricco di successi.
A livello di club: 9 scudetti vinti; 8 Coppe Italia; 11 Supercoppe vinte tra Comense e Schio; 1 Eurocup (con Schio)
Con la Nazionale: 113 presenze e 1387 punti segnati
Inoltre per due stagioni ha giocato nella WNBA, la lega professionistica statunitense, vestendo la maglia delle Los Angeles Sparks.

Massimo Turconi

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