Stand up if you love the darts. Il brano di Rick Arena è diventato la colonna sonora dei Mondiali di Freccette e, a scalare, di qualsiasi competizione degna di nota che viene costantemente accompagnata dal coro dei tifosi. Pratica perlopiù britannica, che spopola tra Inghilterra, Galles, Irlanda e Scozia, ma lo sport delle freccette sta prendendo sempre più piede anche nel resto d’Europa e persino in Italia non mancano i professionisti del settore

Un bersaglio, tre freccette, una passione ardente. La stessa che anima Mario Carafa, 42enne di Castronno, che ha trovato proprio nei dardi un rifugio sicuro dai duri colpi delle vita: un grave incidente in moto a 24 anni, una salute costantemente attaccata dai tumori, l’invalidità civile al 100%, ma niente e nulla al mondo può spegnere il desiderio e l’amore per quello sport che ShowTime (questo uno dei suoi soprannomi, insieme a Occhi di Vetro) ha ormai fatto diventare la sua ragione di vita

Ore ed ore di allenamento quotidiano per far percorrere a quei piccoli corpicini con le ali i 2.37 metri di distanza fino al bersaglio: che sia un singolo, un doppio, un triplo, un bull verde o un bull rosso, l’importante è che le freccette finiscano proprio là dove si vuole farle arrivare per scendere di punteggio da 501 a 0. E Mario Carafa, in questo, è un autentico maestro. “Ho cominciato a giocare da quando avevo 6 anni – ci racconta il darts player di Castronno – anche se poi ho smesso per dar spazio al calcio. Un primo tumore e l’incidente stradale mi hanno portato a riaccendere la passione: attualmente sto giocando con l’elettronico e non sono certo ai livelli di quando mi allenavo sette ore al giorno, ma il mio obiettivo è di ritornare in fretta a quello standard qualitativo. A luglio inizia il campionato a squadre: io e Mileto Marcozzi vogliamo fare bene con la nostra No Stress Pro”.

Quando sei in pedana qual è la cosa più difficile?
“Sicuramente mantenere la concentrazione, soprattutto quando sbagli un tiro. Nel momento in cui commetti un errore subentra un po’ di comprensibile agitazione, per cui la cosa più importante è mantenere la tranquillità e svuotare la testa da tutti i pensieri: devi essere un vetro, riflettere sui tuoi sbagli e, al tempo stesso, non pensarci. Un bel respiro, reset mentale e si riparte”.

Qual è il tuo obiettivo?
“Rientrare nel giro nazionale. Il mio sogno è tornare ad essere forte come lo ero un tempo, come i veri professionisti. Purtroppo a causa di tutti i problemi di salute avuti sono sceso di livello, ma confido di poter riprendere a pieno ritmo e chiudere un Leg in undici frecce (il Perfect Leg si chiude in nove frecce ed è una chiusura abbastanza rara anche tra i professionisti vista la sua difficoltà, ndr). I miei soprannomi? ShowTime perché davo spettacolo: chiudere in undici frecce non è affatto male, mentre ora chiudo un Leg al quarto o quinto giro (ogni giro equivale a tre frecce, ndr); Occhi di Vetro perché quando salgo in pedana sono freddo come un cubetto di ghiaccio e i miei occhi sembrano fatti di vetro”.

Hai detto che in passato eri più forte rispetto ad oggi; qual è stato il tuo momento di gloria?
“Alla Coppa del Mediterraneo del ’94 sono arrivato diciassettesimo su quasi un migliaio di partecipanti; quella competizione è stata davvero fantastica. Ho vinto altri tornei, ma quella competizione la ricordo sempre con orgoglio”.

A livello professionistico, qual è il tuo giocatore preferito?
“Senza ombra di dubbio Phil “The Power” Taylor: l’inglese classe ’60 è stato il giocatore di freccette più forte di sempre e continua a dare spettacolo con l’elettronico”.

Tra quelli in attività nel circuito mondiale?
“In questo momento ne ho tre, a cominciare dall’Alieno olandese Michael Van Gerwen, lo scozzese “Snakebite” Peter Wright (campione del mondo in carica, ndr) e il gallese Gerwyn “The Iceman” Price. Michael “BullyBoy” Smith? Non rientra al momento tra i miei preferiti, ma riconosco che il giovane inglese è migliorato tantissimo negli ultimi anni: pur avendo perso la finale contro Wright, il suo momento arriverà”.

Ovviamente Oltremanica c’è da sempre un livello di gioco altissimo; al netto di questo, credi che il mondo delle freccette italiano possa crescere ancora nei prossimo anni?
“Sicuramente è difficile, ma alcuni giocatori potrebbero entrare nel panorama internazionale. La differenza, come sempre, la fa la concentrazione: inglesi, irlandesi, scozzesi e gallesi sono abituati da sempre ad avere un pubblico decisamente caldo alle loro spalle, ma non ci fanno caso. Per chi, come noi italiani, arriva da un livello più basso può essere difficile concentrarsi solo sul bersaglio senza pensare al pubblico o a chi stai affrontando. A me e a mia moglie Tamara è capitato di fare tornei con alle spalle una sessantina di tifosi, ma il segreto è proprio quello di non pensare. Preferisco giocare in singolo o in coppia? In realtà non mi cambia nulla; anzi, mi diverto in entrambi i casi”.

Come si impara a giocare? Tanta, tantissima pratica o c’è una tecnica in particolare?
“Io ho fatto da me: mi sono messo davanti ad un bersaglio e ho iniziato a tirare, tirare, e tirare ancora. Non esiste una vera e propria tecnica perché ognuno ha il suo stile, ma di sicuro esistono degli esercizi pratici per migliorare la mira. Quello base è l’orologio: dall’uno al venti bisogna colpire in ordine tutti i settori. In poche parole, serve solo l’allenamento: io con me stesso sono molto severo e m’impongo di continuare a migliorare costantemente giorno dopo giorno. Chiusura preferita? Direi il doppio 18, ma se capita anche il doppio 20”.

Saresti disposto ad insegnare a qualcuno i tuoi segreti?
“Certamente. Io so che tanti ragazzi hanno voglia di imparare e di cimentarsi in questo fantastico sport. Io sono qui per insegnare: mi piace tantissimo provare a trasmettere ciò che so fare meglio e, a mia volta, mi auguro di migliorare sempre più”.

Per concludere, c’è un tuo pensiero che vorresti esprimere?
“Vorrei solo far capire tutta l’enorme passione che ho per questo sport. Io ora sono invalido civile al 100% e non posso più lavorare; in più, tra chemio e radioterapia, non è facile trovare le risorse per andare avanti. Mi piacerebbe trovare uno sponsor che aiuti me e mia moglie a portare avanti la nostra passione perché da soli è davvero difficile continuare. Per il momento, comunque, mi godrò il Campionato italiano a squadre sperando di far bene e, come ho detto, di tornare ai miei livelli; giocare a freccette è la miglior medicina che esista”.

Matteo Carraro

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