Da Benassi a Veneziano, dal Varese al Bosto in una catena di episodi recenti molto significativi per due società che – storicamente – hanno un legame profondo. Il 6 febbraio 2022 il Novara sconfigge il Varese al Franco Ossola con un gol di mano di Benassi, ma gli ospiti anche al termine della gara negano l’episodio e parlano di un autogol di testa di Mamah; due settimane più tardi succede a Luca Veneziano – capitano degli U15 del Bosto – di segnare con un tocco fortuito di mano in uno scontro diretto, ma il giovane gialloblù segnala subito l’accaduto all’arbitro e si fa annullare la rete.

Uno dei tanti passaggi, evocato in questo caso dal Presidente del Varese Stefano Amirante, di una serata dedicata a un grande protagonista del calcio varesino: Luca Pellegrini. Non è un caso che l’ex capitano della Sampdoria abbia scelto proprio il Centro Sportivo del Bosto per presentare, assieme al co-autore Luca Talotta e al moderatore Vito Romaniello, il suo libro “Sampdoria 1991 – L’anno dello scudetto e le cose mai dette” (Caosfera Edizioni), il cui ricavato sarà devoluto all’Associazione Samuele Cavallaro Onlus.

Come tanti protagonisti del nostro calcio, Pellegrini ha nel suo passato proprio Bosto e Varese. Al Bosto ha fatto la trafila fino agli Allievi, prima di passare al Varese grazie all’insistenza Fausto Pozzi, fondatore e anima della società gialloblù: Pellegrini era stato infatti inizialmente l’unico scartato dal Varese tra gli otto ’63 presenti nella squadra Giovanissimi, ma Pozzi riuscì a convincere i biancorossi. Furono poi anche le intuizioni di Eugenio Fascetti a consentire a Pellegrini di scalare rapidamente le gerarchie, fino al lancio in prima squadra.

L’esordio in biancorosso arrivò nelle ultime gare di un campionato di Serie B concluso con una retrocessione («Hai scelto proprio un bell’anno per esordire», gli diceva scherzosamente il compagno di squadra Ernestino Ramella). Poi il pronto riscatto sotto forma di una stagione da protagonista, a soli 16 anni, per riportare subito il Varese dalla C alla B. Ultimi scampoli di carriera in città perché nel destino di Pellegrini c’era la Sampdoria, piombata sul giovane talento varesino già nel 1980. I blucerchiati proprio in quegli anni cominciavano a preparare il terreno per un decennio da leggenda.
Mancini, Vialli, Vierchowod, Pagliuca, Lombardo, Cerezo… sono solo alcuni dei giocatori che arrivarono negli anni ’80 per fare grande la Sampdoria. Pellegrini era il loro capitano e il ciclo vincente comprende tre Coppe Italia, una Coppa delle Coppe e lo storico Scudetto del 1991. Non finì tutto lì perché, nel 1992, la Sampdoria arrivò a giocarsi anche la finale di Coppa dei Campioni, persa ai supplementari contro il Barcellona a causa di un gran gol di Koeman.

Pellegrini, però, quella finale non la poté giocare: era stato ceduto appena dopo lo Scudetto e nel libro racconta i retroscena di un evento che ha segnato la sua carriera.
«Un’emozione per me trovarmi qui dove, metaforicamente, tutto è cominciato. In realtà non c’era ancora questo centro di Capolago: ci allenavamo – ha raccontato Pellegrini – tutti i giorni dal lunedì al giovedì a Vedano Olona o a Giubiano, poi il venerdì ci trovavamo a Bosto per la riunione tattica sulla lavagna con Pozzi e Tonelli. Dico sempre ai giovani che scuola e sport sono due componenti fondamentali nella formazione: la prima ti prepara alla vita, lo sport di squadra ti insegna invece la disciplina. Garantisco che al Bosto i valori si trasmettono e di educazione, quando giocavo qui, ce n’era tanta».
«Un ricordo particolare della mia carriera? Ne cito uno che per me vale più delle coppe e degli scudetti. Stagione ’94/’95, con la maglia del Torino torno a Marassi per sfidare la Sampdoria. Mancini sta per battere il calcio d’inizio, ma si ferma: tutto lo stadio sta intonando il mio nome. Mi alzo dalla panchina per salutare il pubblico. Un momento che mi ha fatto capire che, anche se me ne sono andato nel silenzio più completo, qualcosa evidentemente ero riuscito a lasciare».

Filippo Antonelli

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