Tra gli annunci della conferenza stampa fiume di Stefano Amirante per presentare la stagione 2022/23 del Città di Varese, a sorpresa, c’è stato un non-annuncio che ha fatto (e farà) discutere parecchio: Luca Trombini non sarà il portiere biancorosso.

Il torinese classe ’01 era stato presentato la scorsa stagione con alte aspettative e il ragazzo, dal canto suo, con il duro lavoro quotidiano agli ordini del preparatore Paolo Bertoletti, ha risposto alla grande conquistando in fretta la tifoseria. La piazza di Varese, si sa, dà davvero tanto in cambio e, al netto delle critiche nel momento in cui si commettono degli errori, valorizza sempre prima la persona piuttosto che il giocatore.

Ecco spiegato il portiere silenzioso, ma che sa farsi sentire dalla sua difesa, sia riuscito a far breccia nei cuori biancorossi, gli stessi cuori che confidavano in una sua riconferma. Nulla da togliere ad Elia Priori, sia chiaro (anzi, il giovane e rampante ’03 ha davanti a sé una bellissima e meritatissima occasione), eppure il rinnovo di Trombini sembrava una pratica scontata a tal punto che lui stesso è stato il primo a rimanere sorpreso. “Sarò sincero – esordisce l’estremo difensore –: mi aspettavo una conferma. Al momento ho già ricevuto alcune offerte, ma la mia priorità è sempre stato il Varese; ho lasciato tutto in mano al mio procuratore, mi fido ciecamente di lui, e spero ancora che in qualche modo si possano incastrare le condizioni affinché io rimanga”.

Percepisco parecchio rammarico…
“Credo sia inevitabile. Contavo davvero tanto in una riconferma, anche perché i primi contatti mi erano sembrati positivi e, essendo un 2001, rientro ancora tra gli Under; la speranza è l’ultima a morire e la mia volontà è quella di restare a Varese, ma i matrimoni si fanno in due”.

Come ti sei trovato a Varese?
“La stagione è stata più che positiva perché dal punto di vista professionale sono cresciuto davvero tanto. Quando giochi in piazze del genere hai maggiori responsabilità e, se fai il portiere, hai addosso ancor più pressione dato che puoi decidere le partite in ogni momento nel bene o nel male. Ci sono stati i momenti bui, ci sono stati i momenti belli e vivendoli qui a Varese ho capito quanto equilibrio ci voglia per essere un top player tra i pali: se ti esalti quando le cose vanno bene sei finito, se ti affossi quando tutto gira male lo sei altrettanto. L’equilibrio ti fa crescere e andare avanti, e per ottenerlo bisogna sposare appieno la cultura del lavoro quotidiano. Questa lezione l’ho appresa da Paolo Bertoletti, un grande tecnico e un grandissimo uomo a cui devo molto perché mi ha fatto migliorare tantissimo soprattutto a livello mentale”.

Visto che lo hai citato, e lui a sua volta ha parlato di te qualche giorno fa, che rapporto hai instaurato con Bertoletti?
“Lo sento regolarmente perché mi ha insegnato tutto ciò che poteva dal punto di vista tecnico in campo e a livello umano fuori dal rettangolo verde. Un giocatore è al 70% testa e il mister è stato fenomenale nel lavorare proprio sulla mia mentalità. Al triplice fischio a Sanremo la prima cosa che ha fatto è stata correre da me per abbracciarmi e il rapporto speciale che si è instaurato rimarrà sempre; gli auguro il meglio e spero che un giorno le nostre strade possano incontrarsi ancora”.

Cosa ti ha lasciato Varese?
“Tantissimo perché la piazza è davvero importante e, giustamente, pretende il massimo. Al tempo stesso sa coccolare i giovani aiutandoli a crescere e migliorare, cosa che è successa a me. Io arrivavo dopo solo due anni di Serie D, eppure ho sempre percepito enorme fiducia da parte di Ezio Rossi prima e Gianluca Porro poi, senza dimenticare Neto Pereira che mi ha costantemente dato consigli preziosi; li ringrazierò per sempre. Ma, non me ne vogliano i mister, il grazie più grande va proprio ai tifosi che ci hanno seguito in casa e soprattutto in ogni trasferta: la vittoria playoff di Sanremo me la porterò sempre nel cuore”.

Eppure, se ben ricordo, qualche tifoso all’inizio era perplesso “al buio” sulle tue potenzialità. Questi dubbi ti hanno spinto a lavorare per migliorare ulteriormente?
“Sì e no, perché di mio tendo a non farmi condizionare da ciò che mi circonda. Mi focalizzo sulla settimana di lavoro in quanto tale: allenamenti dal lunedì al venerdì, rifinitura al sabato e partita la domenica per poi ricominciare la settimana dopo con lo stesso iter. Durante la stagione ho cercato di non farmi influenzare nel bene e nel male; spero solo di aver lasciato un buon ricordo a Varese e se non dovessi essere confermato voglio augurare il meglio ai miei compagni, alla piazza, e ringraziare la società per l’opportunità che mi ha dato”.

Momenti belli e momenti brutti. Cominciamo dal periodo più difficile: come l’hai gestito?
“So di aver giocato male contro il Bra in casa nell’ultima partita di mister Rossi e l’apice l’ho toccato contro l’RG Ticino quando, a causa mia, abbiamo subìto il gol del 2-2 allo scadere. I miei compagni, cito Monticone e Mapelli ma il discorso si estende a tutti, mi sono sempre stati vicino e non hanno mai fatto mancare il loro supporto. Prima della Caronnese ho parlato con Porro e quel confronto è stato davvero propedeutico: non tutti gli allenatori ti spiegano le loro scelte, motivo per cui ho apprezzato molto il gesto di Porro e lo ringrazio per avermi ridato fiducia. Penso di averlo ripagato sul campo”.

Passiamo ora ai momenti belli: qual è il ricordo indelebile di questa stagione?
“Ce ne sono tanti, a cominciare dalla finale playoff, ma ti dico la partita casalinga contro il Sestri Levante: arrivavamo da un periodo complicato in cui non riuscivamo a trovare la continuità dei risultati, avevamo bisogno di una vittoria e quel rigore che ho parato è stato in qualche modo funzionale a sbloccarci per poi inanellare una lunga serie di risultati utili consecutivi. Se fossi più alto avrei parato più rigori? Lo so, l’altezza è un mio tallone d’Achille e con i compagni ci ho sempre scherzato su (ride, ndr) ma l’importante è la reattività e tutto sommato penso di cavarmela bene tra i pali”.

A proposito di rigori, cosa hai pensato quando è stato fischiato il penalty alla Sanremese nella finale playoff? E, soprattutto, cosa hai detto a Mapelli?
“Non te lo dirò mai (ride di gusto, ndr). Scherzi a parte, a Francesco voglio un bene incredibile ed è un difensore fortissimo; errare è umano e fa parte del gioco, ma si è riscattato immediatamente venendo da me per darmi il cinque e caricarmi. Quei momenti, però, sono impossibili da spiegare: sei lì, immobile sulla linea di porta, con tutti gli occhi addosso… continuavo a guardare Anastasia perché l’avevo studiato e sapevo che tendeva spesso ad aprire col destro. Quando ha preso il palo e il pallone, dopo aver sbattuto sul mio braccio, è stato scaraventato via proprio da Francesco è stata un’autentica liberazione”.

Hai detto che la speranza è l’ultima a morire, ma se dovesse tramontare definitivamente l’ipotesi della tua permanenza a Varese, cosa cercheresti?
“Ascolterò tutte le offerte che ho avuto anche per rispetto nei confronti di chi me le ha fatte e poi farò le mie valutazioni. Il mio obiettivo è quello di giocare quante più partite possibili perché solo se giochi puoi crescere e migliorare costantemente, esattamente ciò che ho fatto nella scorsa stagione. Mi piacerebbe, non lo nego, tentare il salto di categoria ma il Varese avrebbe comunque la precedenza; se non dovessi riuscirci vorrei andare in una piazza importante ed ambiziosa”.

Matteo Carraro

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