Viviamo di sogni e lavoriamo quotidianamente per realizzarli, senza preoccuparci troppo dei sacrifici e delle rinunce cui andiamo incontro: tutto pur di essere felici. Nel caso di Marco Palvarini la felicità riguarda il calcio, ma chi l’ha mai detto che vivere di calcio significa solo ed esclusivamente giocare? Il classe ’95 ha sempre saputo di non poter avere un futuro glorioso da giocatore, ma la passione per quel pallone che rotola, per quel mondo magico che ti fa sentire vivo come non mai, lo ha portato a coltivare il suo sogno e a porre le basi per una brillante carriera da preparatore atletico.

Cresciuto e cullato dal Bosto, Palvarini ha spiccato ben presto il volo passando oltre la dogana per abbracciare la realtà svizzera del Bellinzona, con cui nella passata stagione ha contribuito alla promozione dei granata dalla Promotion League alla Challenge Leauge (la Serie B elvetica). Il tutto, senza mai dimenticare quell’ardente passione che lo ha sempre animato fin dai primi passi, quelli sì sul rettangolo verde come calciatore, con la maglia gialloblù.

“Ho passato tutta la vita al Bosto – esordisce Palvarini –, dal settore giovanile alla Prima Squadra inclusa la parentesi alla Belfortese prima della partenza dalla Terza Categoria. In Seconda Categoria ho rotto il ginocchio e lì si è chiusa la mia carriera da giocatore, ma non fraintendiamoci: ho sempre giocato per passione, non di certo perché avevo le possibilità di arrivare in alto (ride, ndr). Di certo, però non volevo abbandonare il mondo del pallone e, avendo conseguito la laurea triennale in Scienze Motorie, il Bosto mi ha dato l’opportunità di fare il preparatore atletico in Prima Categoria. Purtroppo il Covid mi ha un po’ complicato i piani, dato che all’inizio della stagione 2020/21 i campionati sono stati subito interrotti”.

Nel frattempo, però, eri già sbarcato in Svizzera…
“Esatto. Già nel 2020, grazie a Mauro Brattesani e Davide Giardini, il Bosto mi ha dato l’opportunità di entrare a far parte di un settore giovanile di una realtà professionista e, grazie anche al responsabile del settore giovanile del Bellinzona Enrico Morinini, sono arrivato qui lavorando con gli Under13 e gli Under14. Dopo la pausa forzata imposta del Covid non ho più proseguito in Italia per dedicarmi totalmente al Bellinzona: a ottobre, poi, la Prima Squadra ha cambiato lo staff tecnico e mi è stato chiesto di subentrare. Non ho avuto dubbi e, a maggior ragione con il senno di poi, non me ne pento assolutamente; al momento non potrei essere più felice di così. A tal proposito colgo già l’occasione per ringraziare il presidente Paolo Righetti, Pablo Jesus Bentancur e il DS Paolo Gaggi per il loro costante supporto”.

Come ti trovi in Svizzera? Cambia il modo di vivere il calcio?
“In realtà no, perché il calcio ha una sua lingua e sia in Italia sia in Svizzera sia in ogni altra parte del mondo le leggi di questo sport sono dettate dal pallone e dal desiderio di giocare. Anzi, paradossalmente sono rimasto stupito nell’aver percepito tra i professionisti la stessa voglia di divertirsi che c’era in Prima Categoria al Bosto; mi aspettavo di trovare un ambiente, passami il termine, più rigido e invece sono rimasto piacevolmente sorpreso. Quando sono stato inserito nello staff della Prima Squadra, da vero e proprio signor nessuno, tutti mi hanno accolto come uno di loro facendomi sentire parte di qualcosa di grande”.

Vero che sei arrivato in corsa, ma vincere la Promotion Leauge era l’obiettivo stagionale?
“Assolutamente sì. Dopo il fallimento di nove anni fa, e la conseguente fase di ri-assestamento, la dirigenza aveva iniziato la stagione con l’obiettivo di tornare in Challenge League che è la categoria storicamente di appartenenza del Bellinzona. Io sono subentrato nel momento in cui mancavano quattro partite alla pausa invernale, ma alla ripartenza il presidente è stato chiaro su quelli che dovevano essere gli obiettivi: la società ci ha messo a disposizione una rosa forte e competitiva e tutti noi abbiamo tradotto in realtà l’aspettativa”.

E adesso? Quali saranno gli obiettivi in Challenge League?
“La nostra volontà è quella di fare un campionato all’altezza di una piazza che merita la categoria in cui si trova. Non ci è stato chiesto conquistare la promozione, ma di fare il nostro meglio; questo impegno dovrà essere il motore che ci alimenterà partita dopo partita. Salutato mister Marco Schallibaum, è arrivato in qualità di allenatore David Sesa (esperienza da vice allenatore dell’Anderlecht nel 2016/17, ndr) e la nostra preparazione è cominciata martedì scorso in vista dell’inizio del campionato previsto per il weekend tra il 16 e il 17 luglio. Siamo carichi e determinati, non vediamo l’ora di iniziare”.

Venendo a ciò che ti riguarda più da vicino, un preparatore atletico come affronta la stagione?
“Che sia Prima Categoria, Promotion o Challenge League la metodologia non cambia. Il primo passo è creare un rapporto di fiducia con i ragazzi per far capire loro che quanto viene proposto serve esclusivamente a portarli al massimo delle proprie potenzialità; poi l’organizzazione in quanto tale viene data dal mister e dal suo modo di intendere il calcio. Di mio sono molto meticoloso, in particolar modo per quel che riguarda la prevenzione: nella stagione passata abbiamo avuto pochissimi infortuni e ritengo che ciò sia dovuto anche all’importante lavoro svolto con lo staff medico. Programmazione? A lungo termine non si può fare. Nel senso: di sicuro ci si può fare un’idea, ma le condizioni di lavoro cambiano di settimana in settimana e il mio unico obiettivo è quello di fornire al mister quanti più giocatori possibili nelle migliori condizioni possibili”.

In questa specifica fase, invece, come ti stai muovendo?
“Chiaramente adesso, contrariamente a quanto detto poco fa, è più facile pianificare gli step da raggiungere perché non abbiamo partite da affrontare. Il mio obiettivo è portare i ragazzi ad entrare nella settimana tipo che affronteremo a campionato in corso: tanto lavoro aerobico e test di forza per costruire programmi su misura. Purtroppo si è un po’ persa la cultura del lavoro a secco per prediligere un lavoro costante con il pallone al fine di curare maggiormente la tecnica, ma l’aerobica è comunque fondamentale per dare ai calciatori il ritmo partita”.

Fare il preparatore atletico è sempre stata la tua vocazione?
“Ho sempre voluto vivere nel mondo del calcio perché è un ambiente che ti dà tante soddisfazioni e ti aiuta a creare legami umani. Come ti ho raccontato all’inizio io ho cominciato a giocare a calcio con i miei amici solo per divertirmi, senza ambizioni, e da quando avevamo quattro anni siamo cresciuti insieme al punto che, pur non giocando più nella stessa squadra, ci vediamo quotidianamente. Il calcio è tutto per me, ma al contempo ho iniziato a lavorare all’LMP Medical di Castronno: aiutare le persone nel loro processo di riabilitazione mi gratifica non poco”.

Il tuo sogno?
“Ritrovarmi sempre in un ambiente che mi permetta di fare il mio lavoro serenamente, di aiutare i ragazzi a crescere e di crescere insieme a loro divertendosi nel guardare e nel vivere una partita di calcio, cosa che purtroppo si sta un po’ perdendo. Io, invece, non tifo nessuna squadra in particolare ma sono pronto a guardare qualsiasi partita, dalla Champions League alla Terza Categoria sperando di divertirmi come quando ero bambino. Un obiettivo specifico? Nel breve termine voglio conseguire tutti i patentini in Italia e in Svizzera per lavorare in qualsiasi categoria. Se invece dovessi guardare al futuro il grande sogno è solo uno ed è quello che ogni bambino appassionato di sport ha da sempre: vivere un’esperienza nella propria Nazionale. È ambizioso, lo so, ma voglio lavorare per arrivarci”.

Matteo Carraro

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