Nuova puntata del viaggio di VareseSport nelle aziende locali. Questa volta, ad ospitarci, è l’azienda Masterpack di Veruno, leader nel settore degli imballaggi, realtà nata da un’intuizione del signor Claudio Binda e poi sviluppatasi nel corso degli anni grazie ad innovazione e sviluppo sempre in primo piano nella crescita aziendale.

Della storia, del progresso e dei piani futuri ne abbiamo parlato con il figlio del fondatore, Massimiliano Binda, che ci ha dato un quadro completo e molto chiaro della realtà Masterpack.

Quando nasce e come si è sviluppata nel tempo Masterpack?
“Masterpack nasce nel 1988, fondata da mio padre Claudio. La scelta di creare quest’azienda venne a mio padre a seguito di un’esperienza lavorativa che fece quando aveva più o meno 20 anni, presso una ditta che lavorava materiali plastici; capì che il settore poteva essere redditizio e quindi scelse con giudizio di investirci. Fondata come azienda commerciale all’inizio, quindi solo come distributore di packaging, nel 1992 viene aperto il distaccamento produttivo, la Masterprint, venduto nel 1997. Con il guadagno ricavato dalla vendita di Masterpint fu aperta la sede produttiva di Masterpack a Monvalle. Nel corso degli anni ci siamo specializzati in una tipologia di stampa particolare che è la flessografia, però mio padre è sempre stato uno rivolto allo sviluppo e all’innovazione, ha sempre avuto una visione un po’ diversi dagli altri concorrenti sul mercato. Non ha mai voluto che l’azienda si fermasse nel gruppo, voleva spiccare, portare tecnologie nuove in Italia ed in Europa. Così dopo un viaggio negli Stati Uniti scopri la tecnologia zip “apri e chiudi” e comprando il macchinario, facendo all’epoca un investimento molto rischioso per il costo dell’attrezzatura, porto questa nuova tecnologia nel nostro continente e ne ebbe un grande ritorno. Abbiamo iniziato a sviluppare nuovi materiali e continuiamo ad innovare grazie soprattutto al lavoro di mio fratello che si occupa di tutta la parte di ricerca e sviluppo. Pensate solo che negli anni abbiamo depositato più di 35 brevetti, di cui 4 a stampo internazionale. Parlando di numeri oggi siamo un’azienda che ha chiuso lo scorso anno con un fatturato di 54.5 milioni di euro in costante crescita: ad oggi infatti siamo già cresciuti del 25% rispetto allo scorso anno. Siamo 180 persone divisi tra le due sedi, questa di Veruno e quella di Monvalle”.

Verso quali lidi state rivolgendo la vostra attenzione?
“Stiamo guardando molto oltre l’Atlantico. Stiamo già esportando in Nord America, vediamo che i nostri prodotti sono molto richiesti e anche se i competitor sono molti negli USA, la qualità del prodotto non è ancora comparabile con noi o con l’Europa in generale. Stiamo valutando quindi un’espansione sempre maggiore in Nord America”.

Ha parlato di un particolare tipo di stampa, quello flessografica, ci spiega di cosa si tratta?
“Nel nostro settore dominano due tipologie di stampa: la flessografia ed il rotocalco. La grossa differenza è su come vengono stampati i singoli colori. Nella flessografia noi lavoriamo su otto colori che vengono incisi su fogli di gomma, poi montati su cilindri che finiscono nella macchina stampatrice. Nella rotocalco invece ci sono dei cilindri in metallo preincisi.  Le macchine flessografiche sono molto più compatte rispetto a quelle rotocalche che sono molto lunghe, storicamente vi era anche un divario qualitativo tra le due tipologie che oggi si è assottigliato e la vera differenza a favore della flessografia è che possiamo lavorare ed ottenere soddisfazioni anche su quantitativi molto più piccoli rispetto a quelli su cui normalmente lavora una rotocalco”.

Nel pre intervista raccontava che suo padre ha sempre voluto un approccio rock in azienda, cosa vuol dire?
“Bella domanda, mi piacerebbe chiederlo a lui. Mio padre vuole un’azienda molto dinamica, aperta con il cliente, che sappia creare rapporti, anziché fare la classica azienda chiusa dove il cliente è solo un numero che si aggiunge al fatturato. Un approccio molto rock’n’roll appunto, rifacendosi alla sua grandissima passione per la musica che ama”.

Ha parlato molto di innovazione, ricerca e sviluppo, quali sono gli obiettivi a medio o lungo termine sui quali state investendo?
“Ad oggi stiamo cavalcando l’onda che c’è sul nostro mercato, ovvero la richiesta di materiali alternativi a quelli comuni in plastica. Abbiamo sviluppato ormai delle carte termosaldanti, 100% carta. Ci stiamo focalizzando molto su questo tipo di tecnologia che non per forza a nostro avviso vuol dire più sostenibile rispetto a quello che facevamo con la plastica prima, però la domanda è elevatissima e noi non possiamo rimanere indietro”.

Come può la plastica essere sostenibile in un momento in cui tanta attenzione viene posta all’esigenza climatica ?
“Quando quattro anni fa c’è stato lo scandalo dell’isola di plastica abbiamo visto un aumento spropositato di richieste per materiali compostabili. Noi li avevamo già a catalogo dal 2005, quindi esperienza ne avevamo ed eravamo pronti. Diciamo che però in realtà le richieste sui materiali compostabili sono andate a scendere perché i clienti si sono accorti dei costi decisamente più elevati rispetto alla plastica. La domanda è sempre molto alta ma rispetto a prima viene richiesto anche tanto film plastico riciclabile. Questo perché ci si sta rendendo conto che il film plastico è più sostenibile a livello di emissione di Co2, rispetto ai film compostabili”.

Infine parliamo ovviamente della vostra unione con Orgoglio Varese. Perché avete scelto di sostenere questo progetto?
“Io dal 2005 andavo tutti i weekend al palazzetto con la mia compagna perché lei è una fan sfegatata della Pallacanestro Varese, andavamo sempre in curva ed in trasferta. Quindi il legame con i biancorossi è molto importante. In generale poi con lo sport noi cerchiamo sempre di aiutare dove possibile. In famiglia tutti pratichiamo sport, io nel mio piccolo ho fatto motocross tanti anni, adesso mi sono dato alla mountain bike. Ci piace poter sostenere tante realtà sportive locali e in questo Orgoglio Varese è sicuramente un tramite principale”.

Alessandro Burin

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