L’ufficialità non c’è ancora (da lunedì prossimo ogni giorno sarà buono per la firma), ma ormai è certo che Pietro Tripoli sarà un giocatore dello Stresa Vergante. Un colpaccio a tutti gli effetti, quello messo a segno dalla neonata società piemontese (lo Stresa ha vinto l’Eccellenza e, in un secondo momento, si è fuso con il Lesa Vergante) che si aggiudica le prestazioni di un giovincello di trentacinque anni, autentica prelibatezza per la categoria.
Si perché a dispetto della carta d’identità (26 febbraio 1987) l’attaccante porta con sé tutta il suo estro, la sua qualità, i suoi gol, i suoi assist, il suo carisma e tutta la sua esperienza fatta anche di sette campionati vinti in carriera. Bagaglio, già di per sé ricco, portato con la stessa voglia e passione di sempre. “Non ho ancora firmato con lo Stresa – commenta Tripoli – ma l’accordo c’è e la mia parola vale più di ogni altra cosa. Credo che lunedì sarà ufficiale”.
Inevitabile chiedertelo: perché lo Stresa Vergante?
“Ci sono tanti motivi, a cominciare dal fatto che parliamo di una squadra ambiziosa e ben organizzata dalla forte matrice familiare. Tutti noi sappiamo i problemi di salute avuti da mister Giorgio Rotolo (il tecnico sta lottando contro un tumore, un carcinoma squamoso alla mandibola, ndr), e mi ha colpito il fatto che il DS Filippo Biscuola, in sinergia con tutta la società, abbia proclamato che senza il mister non avrebbero iscritto la squadra. Trovare un ambiente del genere è raro e un gesto di questo calibro non deve essere sottovalutato. Poi, c’è da dire che avevo troppa voglia di tornare in Serie D e, anche a livello personale, Stresa è la meta perfetta per me; l’estate scorsa ho rinunciato al Ligorna, con cui avevo conquistato la promozione, per motivi logistici dato che volevo tornare a vivere a Varese”.
Apriamo subito la parentesi Varesina?
“Certo. Dopo aver rinunciato alla Serie D in Liguria ho scelto di accettare l’offerta della Varesina e di restare in Ecccellenza: purtroppo le nostre strade si sono separate, prendo atto della scelta e li ringrazio dal più profondo del cuore perché mi hanno fatto vincere un altro campionato. Ci siamo seduti intorno ad un tavolo per parlare, e questo non è affatto scontato al giorno d’oggi, ma le nostre idee non combaciavano. È stato pertanto giusto lasciarsi così, nel modo più bello, dopo aver raggiunto i rispettivi obiettivi: io volevo vincere e loro inseguivano la Serie D da qualche anno, io avevo bisogno di loro e loro di me. Ci siamo separati nel migliore dei modi lasciando le porte aperte, perché si tratta di un arrivederci e non di un addio”.
In merito a questo, il bilancio nell’ultimo anno è stato ovviamente positivo, dico bene?
“L’ultima volta che ho fatto l’esterno era con Sannino al Varese e avevo vent’anni (ride, ndr), per cui alla luce dei nove gol e dei cinque assist direi che l’annata è stata sicuramente positiva. Ciò che mi ha soddisfatto di più, però, è stato entrare nel mondo della Varesina, di cui conoscevo poco o nulla: è un ambiente davvero bello, la società ha un’organizzazione tale da poter tranquillamente raggiungere il professionismo e mi auguro che possano finalizzare il progetto a lungo termine che vogliono portare avanti”.
Come sempre hai fatto gol brutti… qual è stato il più bello?
“La punizione contro il Settimo Milanese non è stata certo brutta, ma se devo sceglierne uno ti direi il gol contro la Base96 da posizione defilatissima: eravamo inchiodati sullo 0-0 e quella rete ci ha sbloccato per poi mettere in ghiaccio la partita. Anche il gol nella partita promozione, sempre contro il Settimo, lo ricordo con affetto”.
Tornando al presente, hai detto di aver fortemente voluto la Serie D; cosa ti aspetti a livello personale e a livello di squadra?
“Voglio riaffermarmi in Serie D, nell’anticamera del professionismo, e dimostrare di poter continuare a giocare a questi livelli ancora per qualche anno; voglio fare bene e smentire le dicerie per cui un calciatore a 35 anni debba essere considerato finito. Se si conduce una vita sana con allenamenti regolari e la giusta mentalità si può arrivare oltre i quarant’anni, come hanno dimostrato Ibrahimovic, Quagliarella e Buffon solo per fare dei nomi. A livello di squadra non mi permetto certo di parlare per conto dello Stresa, ufficialmente non sono ancora un loro giocatore, ma ti posso dire che approccerò il campionato con la stessa mentalità che mi ha portato a vincerne sette da quando avevo 19 anni al Varese ad oggi che ne ho 35. Si procede a livelli: conquistiamo la salvezza e guardiamo quanto distano i playoff, arriviamo ai playoff e guardiamo quanto ci manca per vincere. Si punta sempre in alto, ma per farlo devi aver una base solida e continuerò a portare avanti questa mia filosofia”.
Mi pare di capire che non hai certo intenzione di smettere a breve. Nel tuo futuro, però, inizia a prendere forma una carriera da allenatore?
“In un futuro, molto lontano, io farò l’allenatore; è una certezza. Ho avuto la fortuna di trovarmi in un ambiente in cui ho potuto prendere il patentino UefaB, sto facendo un campus con l’Inter e inizierò la mia prossima carriera da mister facendo crescere i più giovani. Quando avrò l’esperienza e l’età giusta per prendere in mano una prima squadra lo farò”.
Lo Stresa sarà sicuramente nel Girone A: per quanto sia ancora presto fare pronostici, che campionato ti aspetti?
“Per quanto si vociferi che le liguri potrebbero finire nel girone delle toscane, credo che alla fine non cambierà granché rispetto agli ultimi anni: ci saranno le piemontesi, il PDHAE, le liguri e qualche lombarda. Sinceramente non mi cambia nulla, ma non nego che mi piacerebbe incontrare le squadre che conoscono e in cui ho giocato, tra cui il Varese…”.
Visto che l’hai nominato, cosa puoi dirmi in merito?
“Ti dico che lo scorso anno mi ha stupito davvero tanto. Cambiare l’allenatore in corsa non è mai facile, per di più considerando che Rossi stava facendo tutto sommato bene, eppure hanno vinto i playoff. Conoscendo chi sta dietro alla società non ho dubbi che prima o poi il Varese tornerà dove deve stare. Ripescaggio? Mi spiace dirlo perché vado controcorrente, ma credo sia oggettivamente molto difficile: dovrebbero incastrarsi al meglio troppe dinamiche e poi, egoisticamente, ho già ammesso a più riprese che vorrei tornare a giocare all’Ossola… anche da avversario”.
Domanda retorica per concludere: perché non sei tornato?
“Perché i matrimoni si fanno in due. La scorsa estate ci sono stati dei contatti e avrei fatto qualche rinuncia pur di tornare dove ho contribuito a scrivere una pagina di storia con la cavalcata dalla salvezza in C2 alla quasi promozione in Serie A, ma le condizioni affinché ciò avvenisse non si sono verificate. Di certo porterò sempre con me la magia di quegli anni, i tifosi, la città e il calore della piazza; certi ricordi non svaniscono e vorrei tornare davvero tanto a giocare una partita all’Ossola”.
Matteo Carraro