Chi salva una vita, salva il mondo intero. Questa è una frase contenuta nel Talmud, il libro sacro ebraico e che spesso viene associata al capitolo nero dell’umanità della Shoah. Anni, dal 1938 al 1945, in cui la barbarie e la follia nazifascista ha tentato di sterminare un polo intero, gli ebrei, e chiunque fosse considerato di razza inferiore: zingari, storpi, diversamente abili, malati mentali, autistici.

In un momento così tragico della storia dell’umanità, ci sono stati uomini che però hanno deciso di fare qualcosa, di rischiare la propria vita per salvare quella degli altri. Noi siamo una testata sportiva, parliamo di sport e siamo fortunati a poter raccontare una storia di un immenso campione sportivo, collegata all’Olocausto. Stiamo parlando di Gino Bartali, indimenticato eroe del ciclismo italiano e soprattutto sportivo capace di fare della sua immagine uno strumento di salvezza.

Bartali, durante il periodo delle persecuzioni razziali tra il settembre del 1943 ed il giugno 1944, mise al servizio la propria biciletta, il proprio coraggio e la propria vita per salvare quella di migliaia di ebrei. Lo fece nella maniera più naturale possibile, nel modo in cui aveva dato e stava dando gioia a tanti italiani: correndo in bici. Per anni fece da tramite per trasportare documenti falsi come membro dell’organizzazione clandestina DELASEM, permettendo così a tantissimi perseguitati di cambiare identità e sfuggire alla morsa nazifascista, alle deportazioni e ai campi di sterminio.

Un gesto custodito per anni da Bartali nel silenzio, senza voler divulgare nulla a nessuno, perché: “Il bene si fa ma non si dice. Certe medaglie si appendono all’anima e non alla giacca“, diceva lo stesso Gino. La storia completa delle sue azioni eroiche venne fuori piano piano dopo la sua morte nel 2000, riuscendo a dare nome e immagine a tante persone salvate. Nel 2006 Carlo Azeglio Ciampi conferì a Bartali la medaglia d’oro al valor civile ed il 23 settembre 2013 fu dichiarato “Giusto tra le nazioni” dallo Yad Vashem, il memoriale israeliano delle vittime dell’Olocausto.

Alessandro Burin

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