Da Legnago a Legnago. Un girone intero, 17 punti in 19 giornate (solo i veneti avversari di domenica con 15 e la Giana con 16 hanno fatturato di meno), 2 vittorie (nessuno ha fatto peggio), 11 pareggi (nessuno meglio o peggio, fate voi), e 6 sconfitte. Se il riferimento (più volte evocato da Prina) è la gara di Trieste (16^, 28 novembre), poco cambia: 14 gare, altrettanti punti. Così come erano stati 15 nelle (altrettante) 15 partite precedenti.

Insomma, qualunque sia il benchmark, la solfa è identica. La Pro Patria (nei numeri) è sempre quella. Da inizio stagione. E’ solo migliorata in difesa (15 reti subite nelle ultime 14 contro le 21 delle prime 15). Per effetto di una maggiore prudenza che ha ridotto le sconfitte (da 6 a 4), enfatizzando i pari (da 6 a 8) a discapito delle vittorie (da 3 a 2). Il saldo del maggior equilibrio di squadra non ha comunque portato frutti. Perché alla fine la differenza la fanno i 3 punti e non i semplici risultati positivi.

Quindi, per stare con Sala: “Ci vuole più coraggio”. Sintomo di un gruppo ad autostima limitata nei propri mezzi. A dispetto della presunta consapevolezza acquisita. L’1-1 con il Legnago non ha altre chiavi di lettura. E per fortuna che il sasso l’ha scagliato direttamente il vice biancoblu. Confortando chi in questi mesi ha sempre pensato che (cit. Vince Lombardi) “Il risultato non è tutto. E’ l’unica cosa”. E quando (troppo spesso), una buona prestazione incontra una sconfitta o un pareggino, beh, allora quella prestazione non è poi così buona.

Ora (inutile nasconderselo), lo scenario più plausibile sono i playout. Collo di bottiglia ineluttabile pensando a recente rendimento (un punto in casa contro le ultime 2) e calendario a venire. Un orizzonte scongiurabile solo attraverso una svolta immediata, concreta, percepibile nella classifica e non solo nella narrazione. Si (ri)comincia domenica con la Pro Vercelli (ore 14.30, stadio “Piola”). Servono punti. Non necessariamente pochi, certamente maledetti, tassativamente subito. Prima quelli. Per cui il tempo non c’è (quasi) più. Solo dopo prestazioni e consapevolezza. Per quelle, invece, il tempo lo si trova sempre.

Napule è mille paure. Domanda lecita: “Chi è alla Testa della società??”. Risposta implicita: il Consorzio Sgai. Piaccia o meno. Come nelle immortali lezioni di semiologia di Umberto Eco al Dams di Bologna, domenica i tifosi biancoblu si sono fatti una domanda (via striscione di cui sopra) e (si suppone) si siano anche dati una risposta. In realtà, il punto sarebbe un altro. E cioè, sino a quando sussisterà l’impasse attuale con l’uscente Patrizia Testa e (soprattutto) come la proprietà partenopea intende portare avanti la gestione del club? Ad oggi alimentata dall’inerzia. Non certo dalla spinta propulsiva. Grazie alla guida di un presidente (Domenico Citarella) che rappresenta Sgai senza essere un uomo Sgai. Roba kafkiana cui la piazza sembra essersi adeguata accettando lo status quo e mettendo in naftalina cori e contestazioni anti nuovi proprietari. Apertura di credito, tregua o semplice attesa? Alla fine, fa poca differenza.             

Giovanni Castiglioni

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