Chi l’ha detto che il sogno di chi ha il calcio come ragione di vita sia solo quello di fare il calciatore? Certo, immaginarsi lì, un giorno, a segnare il gol che vale il campionato sotto la curva della propria squadra del cuore all’ultimo minuto è a tutti gli effetti una prospettiva meravigliosa. Ma c’è chi è in grado di guardare anche oltre a questo, concentrandosi ad esempio su chi ha allenato quel giocatore che manda in visibilio una tifoseria intera, studiarlo, credere in lui e migliorarlo, facendo così per ogni membro della squadra; insomma, c’è chi alla carriera da giocatore, preferisce quella più intrigante dell’allenatore.

Tra questi fa sentire la sua voce in maniera forte e chiara Marco Brandazza, giovane mister classe 1996, che si sta facendo le ossa tra le fila della Varesina, grazie al suo duplice ruolo che lo vede coinvolto sia come vice nella Juniores Regionale A, grazie ai suoi studi in scienze motorie, ma anche, da qualche settimana, come mister dell’Under 18 Regionale.

Partiamo dal principio: da dove nasce la tua passione per il calcio, e cosa ti ha portato ad intraprendere il percorso in panchina?
“Nasce in fondo un po’ come tutti, ossia da bambino guardando e giocando partite, ammirando i grandi campioni che lo rendono speciale, e da romanista non posso non citarti Francesco Totti (ride nrd). Ad ogni modo, non è stato del tutto automatico perché sono nato in una famiglia di cestisti più che di calciatori; mio padre e mio fratello hanno intrapreso quella strada, mentre io ho voluto crearmi la mia giocando a calcio. Sono partito a giocare già da piccolo, senza mai raggiungere livelli altissimi, ma arrivando comunque a militare in alcune Juniores importanti nella zona di Varese come Bosto ed Insubria, dove ho poi concluso all’età di 17 anni. Tuttavia, mi ha sempre destato particolare curiosità mettermi nei panni dell’allenatore, avere la possibilità di decidere e di studiare. Per esempio, già tante volte da ragazzino, mi mettevo lì a vedere le partite di Serie A, di Bundesliga o di qualche altro campionato, e mi annotavo le cose che facevano i giocatori”.

E come hai compiuto il passo decisivo?
“Con il passare del tempo la questione è diventata via via una cosa sempre più seria, con l’idea di andare avanti, di approfondire, di studiare e di farne un giorno un lavoro. In più, avendo sempre frequentato l’ambiente dell’oratorio, in cui sei sempre molto a contatto con le persone e soprattutto con i ragazzi, mi sono accorto di come provare ad insegnare loro qualcosa sia qualcosa di veramente molto bello, e dunque iniziare nel settore giovanile per me voleva dire quello: non solo insegnare calcio, ma provare a trasmettere qualcosa che possa essere importante anche al di fuori del campo. Nel calcio le percentuali dei ragazzi che arrivano ai professionisti sono molto basse, dunque non si può pensare che tutti lo diventino, ma allo stesso tempo non si possono buttare via tutti i ragazzi che non ce la fanno. Credo che serva provare comunque ad insegnare qualcosa di importante, sia calcisticamente che umanamente”.

Quali sono state fino ad adesso le tue esperienze?
“Ho 25 anni ed ho iniziato ad allenare da quando ne avevo 17, quindi finora le esperienze non sono state moltissime. Ad ogni modo ho cominciato con l’Insubria seguendo Fabio Mascetti, che all’epoca mi allenava nella Juniores Regionale, con i ’99 prima nei Giovanissimi e poi negli allievi. In seguito sono passato al gruppo 2002, anche qui prima nei Giovanissimi e poi negli Allievi, seguendo anche da vice gli Esordienti 2003; da lì mi sono poi “trasferito” al F.C. Lugano per due anni, dove sono entrato grazie ad un tirocinio per l’Università, occupandomi sempre del settore giovanile, trovandomi molto bene. Tuttavia, sentivo di voler provare un’esperienza con dei ragazzi più grandi, e l’opportunità mi è arrivata tre anni fa grazie alla Varesina e a mister Ferraresi, che mi ha voluto con lui quando era alla guida dell’Under 16 con i 2004, affiancando poi anche l’incarico di primo mister dei 2012”.

Adesso di cosa ti occupi nel mondo Varesina?
“L’anno successivo al mio arrivo sono rimasto sempre con mister Ferraresi nell’Under 17 Elite, anche se è stato molto breve a causa della pandemia, e quest’anno siamo ripartiti con la Juniores a cui ho poi affiancato anche il lavoro con l’Under 18, che da due settimane mi vede ora coinvolto come primo allenatore. Nel frattempo, ho sempre portato avanti lo studio, ed anche qui posso dire di star per raggiungere un altro bel traguardo, con la Laurea Magistrale in Scienze Motorie che è prevista per febbraio”.

Qual è stata la sfida più ambiziosa del tuo percorso?
“Sicuramente quella che sto vivendo ora: allenare gli ultimi anni del settore giovanile di una Prima Squadra di Eccellenza, proprio a ridosso dei grandi”.

Sei approdato alla Varesina tre anni fa, che ambiente hai trovato?
“Un bellissimo ambiente, anche perché questa promozione avuta a gennaio per quanto riguarda l’Under 18 l’ho sentita come un attestato di stima da parte della società. Con tutti i dirigenti mi sono sempre trovato bene, ci diciamo le cose chiaramente senza nasconderci nulla; poi sono tre anni che salgo di categoria e di questo sono molto contento perché vedo una crescita. Sicuramente mister Ferraresi è una persona di cui avevo grande stima e con cui continuo a trovarmi molto bene sul campo, e a lui si sono aggiunti poi direttori e dirigenti con cui c’è un bellissimo rapporto di stima reciproca. So di essere in una società ambiziosa in cui si lavora bene, dove si fanno quattro allenamenti alla settimana con strutture ottime, dunque sono molto contento di stare qui”.

Sei stato fino ad ora a stretto contatto per lo più con i settori giovanili, in un futuro ti vedi anche impegnato con delle Prime Squadre?
“Assolutamente si. L’obiettivo è quello di crescere, di arrivare il prima possibile nel mondo dei grandi. Non ho paura a dirlo perché è ovvio che, quando cresci con questa passione, il sogno è di arrivare nelle squadre per cui si tifa da bambino; quindi un giorno magari mi siederò sulla panchina della Roma. Però, stando all’attualità, quello che voglio fare è innanzitutto sfruttare bene la possibilità che mi hanno dato, e dimostrare che posso stare in queste categorie; chissà magari un giorno di salire ancora, anche perché dopo l’under 18 e l’under 19 c’è la Prima squadra. Sono abbastanza ambizioso lo so, ma il sogno è di trasformare questa passione nel mio lavoro: così come ogni bambino sogna di giocare nella squadra del cuore, ogni giovane allenatore sogna di allenare la propria.”

Immagino che questi due anni di pandemia siano stati non poco complicati per programmare sia delle sedute atletiche che delle esercitazioni tattiche, alle prese con continui cambiamenti che hanno compromesso le vostre programmazioni di lavoro. Quanto è complicato gestire tutta questa situazione?
“Non sono stati due anni facili. Il primo lockdown del febbraio 2020 era stato un po’ una sorpresa per tutti: nei primissimi momenti c’era comunque la speranza, ma anche un po’ la consapevolezza, che tutto sarebbe ripartito. Di fondo quindi lì non era stato molto complicato, perché c’era stato un periodo di stop che pensavamo fosse breve, in cui avevamo dato un programma ai ragazzi per mantenersi in forma, sicuri che saremmo ripartiti. Poi questa situazione come sappiamo si è complicata, e alla fine abbiamo ripreso solo nell’agosto successivo. Si è quindi poi ricominciato con grandi speranze nella stagione successiva, in maniera abbastanza regolare per i primi due mesi, dopodiché è arrivato lo stop più o meno a fine ottobre. Lì ho avuto la netta sensazione che la stagione fosse finita, ed è stato quindi un colpo più duro della prima volta. Avevo dato dei programmi da svolgere, ma più per mantenersi in forma che per una ipotetica ripartenza. Da febbraio\marzo, quando sono ripresi poi gli allenamenti individuali si è potuto lavorare un po’ di più, con anche la prospettiva di alcune amichevoli. La cosa difficile è stata riprendere in modo graduale per evitare infortuni o altro, anche perché alcuni ragazzi li ho visti molto in difficoltà, sia a livello atletico che a livello psicologico. Recuperare persone che sono state in casa per mesi non è stato semplice, si è puntato molto sulla voglia di tornare a giocare che era tanta fortunatamente. E questa stagione? La sosta estiva dell’anno scorso è servita poi per preparare un programma apposito per presentarsi al 20 di agosto pronti, ed anche da lì la ripresa è stata graduale, con qualche problemino fisico in più rispetto agli altri anni. Si vedeva che c’era stato qualcosa di importante: la fatica emergeva prima, la voglia di fare era meno sostenuta dalle gambe, ma con un paio di mesi di allenamento si è potuti tornare alla normalità atletica e prestazionale. Ora speriamo che questa sosta non duri a lungo”.

Passiamo ora alla tua Juniores, che fin qui si trova in testa al suo campionato Regionale A, e che in ogni partita sembra andare il doppio rispetto agli altri. È un po’ anche merito tuo?
“No, direi di no (ride ndr)! Io sono sempre dell’idea che quando le cose vanno male le colpe sono dello staff, mentre quando vanno bene i meriti sono dei ragazzi: se un allenatore non ha i ragazzi, la partita non la gioca, mentre se i ragazzi non hanno un allenatore la partita la giocano ugualmente. Per come sono fatto faccio fatica a prendermi dei meriti, mi piace pensare che i mister senza i ragazzi non siano nulla. Senza giocatori predisposti al sacrifico e all’impegno i risultati non arrivano, anche se l’allenatore ha le idee più belle del mondo. Il merito quindi per me è tutto loro: raramente ho visto ragazzi di quest’età così attenti e sul pezzo, ci tengono davvero tanto. Se tu parti da questa base i risultati sono solamente una conseguenza”.

Per concludere, hai da poco maturato anche l’esperienza come primo mister con l’Under 18 Regionale. Che sensazioni hai per questa nuova avventura?
“Sono molto contento di questo incarico e della squadra che ho: è composta da tutti 2004 che avevo già avuto in passato con l’Under16 e Under 17, quindi c’è già grande stima. Ho iniziato solo da due settimane, per cui io mi devo abituare a loro e viceversa, anche se averli giù avuti in passato è un grande aiuto sia a livello tecnico e che a livello di rapporto personale. Poi, come ho detto, si sono presentati super pronti e disponibili, quindi l’idea è quella di costruire qualcosa di importante, di provare a vincere ogni partita e di portarci a casa il campionato, così come lo è in fondo anche per la Juniores. Sappiamo che da entrambe le parti il girone di ritorno è sempre più difficile specialmente se sei davanti, perché chiunque ti affronta gioca alla morte pur di batterti. Risultati a parte poi, l’obiettivo è anche quello di lasciare qualcosa dal punto di vista umano e calcistico, cercando di farli arrivare al meglio possibile al mondo della Prima Squadra che è lì a due passi”.

Francesco Vasco

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui