La Pallacanestro Varese sta vivendo sicuramente un momento particolare dopo le tre sconfitte consecutive in campionato, di cui due in casa contro Tortona e Trento, che hanno scatenato le prime critiche e dubbi dei tifosi nei confronti di un gruppo che sta cercando ancora la propria identità e che qualche lacuna a livello strutturale, evidentemente ce l’ha.

Per provare però a fare un’analisi approfondita e accurata della situazione in casa biancorossa, abbiamo deciso d’interpellare chi le gesta della OJM e di tutte le altre 15 squadre di LBA, le commenta ogni weekend su Discovery ed Eurosport, ovvero Mario Castelli.

Cosa sta funzionando e cosa no secondo lei in questo momento in casa biancorossa?
“Partirei da cosa non sta funzionando viste le tre sconfitte consecutive in campionato. L’idea che mi sono fatto e che la squadra non riesca a giocare con lo stesso ritmo a cui andava l’anno scorso. C’è la volontà di provare a giocare un basket simile ma senza gli interpreti adeguati come lo erano quelli della passata stagione. Mi sembrava lo scorso anno ci fosse una squadra molto più atletica, fisica, con uomini capaci di creare vantaggi dal palleggio, era una squadra, insomma, costruita diversamente. Quest’anno c’è meno atletismo, c’è meno capacità di battere l’uomo, chiaramente i playmaker di quest’anno hanno caratteristiche diverse da Ross, lo stesso Cauley-Stein ha caratteristiche diverse da Owens, deve toccare la palla in situazioni diverse rispetto a Tariq che era molto più idoneo a fare quello che deve fare il lungo a Varese, ovvero portare tanti blocchi, rollare e schiacciare su alley-oop. Non si fa arrivare la palla al lungo per giocare 1vs1 come secondo me, invece, avrebbe più bisogno di fare Cauley-Stein. E’ quindi una questione di caratteristiche degli interpreti. Prinipalmente penso l’atletismo sia la vera discriminante”.

Cosa sta funzionando invece?
“Devo dire che sicuramente l’atteggiamento difensivo visto nelle ultime partite è sicuramente un qualcosa di positivo, perchè Varese ha dimostrato di essere viva, di tenerci, di lottare e non a caso è arrivata a perdere solo di due e di un punto contro due realtà come Tortona e Trento che sono state costruite per obiettivi e con budget ben diversi da quelli di Varese. Non mi sentirei quindi di dire che Varese sia tutta da buttare, anzi, penso che proprio da questo tipo di energia, di atteggiamento, di voglia debba ripartire. E’ una squadra con problemi a livello di roster, con carenze strutturali ma non mi sento di dire che sia un gruppo molle che non ha voglia. Poi, comunque, siamo solo alla quarta giornata, quindi è anche giusto circostanziare tutto questo discorso al momento di stagione in cui ci troviamo”.

Per tutto quello che mi ha detto, analisi giusta e corretta, non pensa che allora forse il problema di fondo sia stato costruire una squadra su una certa filosofia ma sbagliando gli interpreti?
“In realtà, probabilmente, si pensava che questi interpreti potessero essere più adeguati. Prendo l’esempio di Shahid che in Islanda sembrava tutt’altro giocatore, come ha dimostrato con il Keravnos, facendo poi quello per cui penso sia stato comprato, ovvero battere l’uomo, dare velocità alla manovra, cose che poi in campionato, alzandosi il livello, però, non riesce a replicare e portare sul parquet. Quando hai il budget di Varese ci sta che puoi sbagliare qualche valutazione sul mercato, perchè ogni anno devi provare ad over-performare nelle scelte, trovando giocatori di valore sensibilmente superiore rispetto ai soldi che gli puoi dare. Ci sono anni nei quali azzecchi tutte le scelte come lo scorso anno ed altri dove qualche valutazione puoi anche sbagliarla, io credo sia normale e fisiologico, posto che, ripeto, siamo solo ad inizio stagione ed ogni valutazione è figlia di ciò che ha detto il momento, magari tra qualche tempo verrà smentita”.

Pensa che a questa Varese servirebbe di più un play puro o un giocatore capace di saltare l’uomo e creare vantaggi? Posto che lo scorso anno entrambe le cose le incarnava Colbey Ross..
“In un mondo perfetto ti direi che a Varese servirebbe un giocatore che incarna entrambe le caratteristiche, però elementi così nel mercato è difficilissimo trovarli, costano un sacco di soldi ed in questo momento della stagione sono già tutti accasati. Se dovessi scegliere, prenderei uno che sappia battere l’uomo e che crei vantaggi, perchè per come gioca Varese penso si possa fare anche a meno un play puro, visto che si gioca ad alto ritmo, con possessi rapidi, che hanno bisogno di meno impostazione tattica e gestione ma di maggior capacità di andare al ferro, di colpire con rapidità, di trovare lo spazio giusto al momento giusto senza dar modo alla difesa di schierarsi o di perforarla quando è chiusa. La cosa più importante per il gioco varesino è creare vantaggi ed è l’elemento che secondo me un po’ manca, perchè anche sugli esterni non ci sono grandi penetratori. Hanno altre qualità ma non quella”.

Si aspettava un impatto diverso da Cauley-Stein?
“Forse sì ma non di molto. Se è qui chiaramente non è più quello che giocava i primi anni in NBA, posto che probabilmente anche all’epoca furono sbagliate alcune valutazioni su di lui. Mi sembra essere arrivato con una struttura fisica diversa, lo vedo più fragile, non ha il corpo che aveva quando tutti i giorni doveva battagliare con i lunghi NBA. Non mi aspettavo che arrivasse e facesse 30 punti e 15 rimbalzi a partita, magari i tifosi sì per il nome e la carriera che ha alle spalle Cauley-Stein, ma era difficile da pensare ed in un gioco come quello di Varese, anche da realizzare. Lui non mi pare abbia le stesse caratteristiche atletiche e di esplosività di Owens, poi tante volte sono riusciti a trovarlo alzandogli il pallone grazie alle sue qualità fisiche, però per fare quel lavoro Owens probabilmente era più idoneo di Cauley-Stein che avrebbe bisogno di toccare la palla in maniera diversa. Però, onestamente, mi sembra anche ingeneroso parlare di delusione, bidone, fallimento. E’ vero che inganna parecchio il body language che ha, perchè sembra uno svogliato ma in realtà non è così, è lui che è proprio fatto così. Se andiamo poi a guardare le statistiche, i suoi numeri li fa sempre e se invece di Cauley-Stein si chiamasse Paperoga, probabilmente, verrebbe valutato in maniera differente perchè ci si aspetterebbe meno e queindi quello che fa sarebbe tanta roba, stiamo pur sempre parlando del miglior rimbalzista del campionato finora comunque. Chiaramente la gente si era fatta venire l’acquolina in bocca ma a me non sembra stia andando male. Male è un’altra cosa”.

Rimaniamo sempre in tema Varese, andando però al di là del campo. Lei sono anni che ormai ha un rapporto speciale con uno che qui ha lasciato un segno indelebile, ovvero Andrea Meneghin. Quando da giovane ha iniziato a fare telecronache nel basket minors si sarebbe mai aspettato di arrivare un giorno ad avere questo rapporto con il Menego?
“All’inizio non me lo sarei mai aspettato. Quando ero ragazzino vedevo gli Europei del 1999, l’anno dopo lui era diventato mister Europa, vedevo Varese vincere lo Scudetto della Stella, giocare in Eurolega con lui in campo e me lo immaginavo come un supereroe. Quando poi è arrivata quest’ opportunità di lavorare insieme all’inizio lo guardavo con grande ammirazione e deferenza, però è bastato poco per entrare subito in sintonia, perchè poi mi sono accorto che è davvero una bellissima persona, uno a cui piace ridere, scherzare, che fa la battuta, che non se la tira minimamente anche se potrebbe benissimo. E’ nata una bella sintonia sul lavoro e fuori. Dopo tutte queste telecronache assieme siamo ormai telepatici. E’ molto bello tutto questo, lui è una persona divertente, simpatica, lo considero un amico prima ancora che un collega ed a lui devo molto, perchè se mi arrivano i complimenti e gli attestati di stima è perchè funziona la coppia non perchè sia bravo io. Mi aiuta a farmi sembrare più bravo di quello che sono perchè lui è perfetto in quello che fa”.

Ultima domanda, cosa ne pensa della scelta di Pozzecco di andare ad allenare l’ASVEL pur rimanendo CT dell’Italbasket?
“Innanzitutto la reputo una scelta coraggiosa, perchè andando all’ASVEL si mette in gioco in un contesto non semplice, con una squadra non fortissima che in Eurolega ha davvero poche realtà alle spalle sulla carta, in una stagione dove potrebbero essere più le sconfitte che porti a casa che le vittorie. Tutto questo lo fa pur avendo il suo posto tranquillo da CT della Nazionale con cui ha dimostrato grandissimo valore e capacità come le ultime competizioni disputate dimostrano. Quindi io penso ci voglia grande rispetto nei suoi confronti e nella scelta che ha fatto. Per lui è una grande opportunità quella di allenare per la prima volta da capo allenatore in Eurolega e sinceramente gli auguro tutto il meglio possibile”.

Alessandro Burin

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