Un capitano, c’è solo un capitano, un capitano, c’è solo un capitano“. Quante volte abbiamo sentito questo coro negli stadi o nei palazzetti d’Italia. Quante volte questo coro ha significato un attaccamento alla maglia, un rapporto viscerale, intrinseco tra il giocatore a cui era riferito e la propria gente, i propri tifosi. Quante volte l’abbiamo sentito eppure nessuna forse, come quella udita domenica dopo la partita tra Pallacanestro Varese e Givova Scafati, vinta dai biancorossi 95-81, con conseguente salvezza matematica per la OJM, ha avuto un risalto così forte, intenso, vero.

Perché se arrivi a farti cantare dalla gente del Lino OldriniC’è solo un capitano“, vuol dire che qualcosa di buono, più di qualcosa hai fatto, in campo e fuori. Vuol dire che hai lascito un segno, indelebile, che ti consegna alla storia, alla gloria, di questa città, di questa maglia e di questa gente, la gente.

La gente della Pallacanestro Varese che ha dedicato questo e avrebbe voluto dedicare molto di più al suo capitano, Giancarlo Ferrero, che ancora una volta, come fa da 9 anni a questa parte ormai, ha difeso la sua Varese e l’ha portata ancora una volta in salvo anche in mezzo alla tempesta.

Lo ha fatto come meglio gli riesce, con quell’essero così vero e così passionale nei confronti della sua maglia, quella biancorossa varesina, quella con su il suo numero 21, che è più di una seconda pelle. Lo ha fatto nel momento più delicato, quello nel quale dove, dopo mesi passati più in panchina che in campo, senza mai una polemica, anzi, sempre come il capogruppo di una squadra meravigliosa, è stato chiamato in campo, dal primo minuto, nella partita che poteva decidere il presente ed il futuro della sua Pallacanestro Varese, per sostituire un giocatore, Johnson, che in stagione il segno l’ha lasciato più volte, contro una squadra, Scafati, piena zeppa di fisicità, atletismo e muscoli.

Ferrero ancora una volta ha risposto presente, lo ha fatto con 20 minuti d’intensità purissima, lo ha fatto con quella bomba che in una serata da 95 punti per i suoi, ha scatenato il boato più forte di tutto il Lino Oldrini. Lo ha fatto mosso da un senso di responsabilità, come piace a lui definirlo, così grande, così vero, che non l’avrebbe fermato nessuno.

Lo ha fatto ancora una volta semplicemnte come lui sa fare, come è Giancarlo Ferrero. Lo ha fatto prima di esplodere in una gioia incontenibile, con il megafono in mano a cantare “sono varesino e me ne vanto” perchè lui così si sente, nonostante il paese d’origine sia Bra. Lo ha fatto poi prendendosi quell’abbraccio virtuale e fisico dei tifosi, della gente della Pallacanestro Varese, che non l’avrebbe mai voluto lasciar andare via dal campo come lui non se ne sarebbe voluto andare.

Lo ha fatto, aggiungiamo noi, nella speranza che questo non sia stato il suo ultimo ballo sul parquet del Lino Oldrini. Perchè si meriterebbe di concludere al meglio la sua avventura in biancorosso, come raccontava qualche settimana fa su queste colonne, con i playoff o con l’Europa, non raggiunti non per questioni di campo, lasciando la sua Varese in una situazione migliore di quella in cui l’ha trovata. Perché in fondo ci era riuscito, perché anche questa volta ha salvato la sua Varese, lo ha fatto alla sua maniera, con le parole in spogliatoio, con il sorriso sempre sulla faccia, con la pacca sulle spalle a tutti i compagni, con l’essere simbolo per un’intera città, con l’essere capitano nel vero senso di quanto questa parola voglia dire, al di là della tecnica o della tattica, al di là del fisico, al di là di tutto, Giancarlo Ferrero.

Il video del tributo dei tifosi al 21 biancorosso.

Alessandro Burin

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