È stato uno dei nomi più caldi di questo calciomercato. Con la sua esperienza, i numeri da autentico bomber e la mentalità vincente con cui si è tolto non poche soddisfazioni, non c’è da meravigliarsi che Alex Romano fosse nel mirino di molti club. Ad accaparrarselo, come ormai noto, è stata la Solbiatese, che ha rinforzato un reparto offensivo già stellare con una vera e propria garanzia per la categoria. Dopo la vittoria del campionato con la Vogherese, seguita a stretto giro da una serie di problematiche che hanno causato il dissolvimento del gruppo, l’attaccante classe ’89 non ha avuto dubbi nel scegliere la sua prossima destinazione. Voluto fortemente dalla dirigenza e non solo, il ragazzo di Voghera torna dopo anni a vestire la maglia nerazzurra. Oltre a qualche vecchia conoscenza, al “Felice Chinetti” ritroverà anche il suo compagno di squadra Federico Riceputi, che lo stesso Romano definisce scherzosamente come il suo scudiero. In stile Don Chisciotte e Sancho Panza, partendo non dalle campagne della Mancha bensì da quelle del pavese, i due campioni di Eccellenza in carica si incorporano in un gruppo che, lungi dal combattere contro i mulini a vento, scenderà in campo con una missione ben chiara in testa.

Dopo ogni addio, c’è un nuovo inizio. Cosa puoi raccontarci di questo epilogo in rossonero e delle prime righe scritte in nerazzurro?
“Sicuramente dopo aver vinto il campionato a casa mia, a trentatré anni, mi sarebbe piaciuto restare qualche anno e magari finire la carriera lì. Mi è spiaciuto che sia andata in questo modo, però il bello del calcio è che c’è sempre un’altra sfida da affrontare. Ero tornato a Voghera dopo undici anni e ho vinto, ora torno a Solbiate dove ero già stato da under e sarebbe bellissimo vincere anche qui, ma anche divertirsi insieme ai compagni andrebbe più che bene. Ho anche ritrovato alcune persone che erano già qui ai tempi e un gruppo di ragazzi intelligenti che hanno subito cercato di fare gruppo”.

Tralasciando la conclusione, poteva esserci una stagione più perfetta di quella dell’anno scorso?
“Vincere a Voghera era qualcosa che sognavo. Già l’anno prima ci eravamo andati vicini con la finale playoff, ma la scalata in quel caso era partita un po’ in ritardo. L’anno scorso, tutto è quadrato fin da subito e penso sia fuori discussione che abbiamo dominato e meritato la promozione. Individualmente poi, quando contribuisci in maniera importante a una vittoria è ancora più bello, ma lasciando da parte il mio discorso personale, la cosa più importante era raggiungere l’obiettivo comune; ho fatto spesso qualche panchina di troppo, sapendo che era giusto così per il bene della squadra, e mi ha fatto piacere essere spesso vice capitano o indossare persino la fascia, visto che il nostro capitano era infortunato, quindi l’annata ha preso ancora più valore per quello”.

Voghera, si sa, aveva un legame profondo con il suo bomber. Cosa ti mancherà di più di quella piazza e quel tifo?
“Chiunque passi da Voghera anche solo per un anno viene amato dalla piazza, perché per Voghera tutti i giocatori sono importanti. Chiaro, io partivo un po’ avvantaggiato giocando nella mia città. Ci sono tante persone della curva che conosco personalmente e con cui ho un rapporto al di fuori del calcio. Mi hanno sempre portato in palmo di mano, anche nei momenti più brutti, quando le cose non giravano perfettamente, e il loro affetto mi mancherà di certo. Avere degli amici che cantano per te, e a Voghera sono in tanti a cantare (ride, ndr), è bello. Di sicuro mi porterò nel cuore il derby di ritorno col Pavia, con tremila persone sugli spalti: è stata una cartolina speciale per tutto il calcio dilettantistico e ho anche stampato una foto che ho a casa. Poi, non dimenticherò il gesto per la nascita di mio figlio, quando mi hanno fatto un coro allo stadio mentre ero in ospedale. Ho un bellissimo rapporto con tutti loro e li ringrazio per come mi hanno fatto entrare nel loro cuore”.

Ora un nuovo capitolo. Oltre ai chilometri che correrai in campo, per sposare la causa nerazzurra ne macinerai tanti anche per strada. Dietro un tale sacrificio deve esserci tanta motivazione e un progetto importante…
“La colpa in realtà è di Scapinello (ride, ndr). Era da quattro anni che provavo a portarlo dove ero io e alla fine ho capito che dovevo andare io da lui. Abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto da avversari e sono felice che finalmente giocheremo insieme. Quando mi hanno chiamato da Solbiate, e ho accarezzato l’idea di divertirmi e giocare in una delle squadre più attrezzate della categoria, ho capito che per un anno questo sacrificio posso farlo. Oltretutto, conosco bene mister Domenicali, che è di Voghera come me, e il suo calcio divertente, sempre all’attacco, ha reso ancora più facile la mia decisione. Avevo ricevuto qualche altra offerta importante, ma ho scelto Solbiate per il progetto, perché mi sembra una società seria e strutturata. Chiaro che quando si cambia squadra si va sempre a scatola chiusa, ma le prime impressioni sono state assolutamente positive perché sembra tutto molto ben organizzato”.

Organizzazione, serietà, ma anche una rosa che fa gola a tanti…
“Chiaramente non si vince coi nomi, però la società ha allestito una squadra forte e credo che l’obiettivo, dichiarato o meno, debba essere di stare in alto. Sicuramente ci saranno altre squadre attrezzate come Pavia, Caronnese, Saronno, Castanese, Oltrepò… Il campionato sarà molto più combattuto e penso che sarà più complicato vedere una squadra che prende e se ne va. Se poi ci riuscirà la Solbiatese, bene (ride, ndr), ma giocarsela sarà ancora più bello”.

E ve la giocherete con una rosa esperta, anagraficamente non tra le più giovani del girone. Tu che hai alle spalle tante stagioni, concordi che anche questo sia un fattore importante per puntare in alto?
“Secondo me la società ha puntato più che altro su giocatori abituati a vincere campionati. Oltre a me, ci sono Mira, Riceputi, Scapinello, Torraca, Russo… e altri ancora. Penso che sia questa l’esperienza vera, più di quella maturata con l’età. Spesso, infatti, anche i giovani fanno i colpacci; basta pensare al Club Milano, che con un allenatore giovane che ha saputo tirar fuori il meglio di ognuno di loro, è arrivato con merito in Serie D. Secondo me a Solbiate è stata fatta una scelta intelligente, poi ovviamente bisognerà compattarci sin da subito e sperare che tutto giri nel verso giusto, perché la stagione sarà lunga”.

E in questa annata cosa ti aspetti e auguri personalmente? Lo dico apposta per farti togliere un sassolino dalla scarpa: di sicuro per Alex Romano è ancora presto per limitarsi al ruolo di chioccia…
“Già, qualcuno ha provato a dirmi che devo fare la chioccia per i più giovani, ma ci sono giocatori con sei o sette anni più di me che rendono ancora. Dopotutto, se stai bene fisicamente, l’età non conta. Ovvio che devi stare più attento a tutto, però se ti sai gestire e mantenerti il meglio possibile, le doti sono sempre quelle, a venti, trenta o quarantacinque anni. E poi sarò sincero: non mi reputo inferiore a nessun attaccante della categoria. Sarò presuntuoso? Se i numeri dicono che nel nostro campionato sono al primo o secondo posto per la media di gol fatti, vuol dire che qualcosa lo saprò fare. Ormai a trentatré anni mi conosco e so cosa posso dare se mi trovo nel contesto giusto. Se poi attorno a me ho giocatori che fanno meglio, non sono di certo un egoista, e basta vedere quanti gol segnavamo io e Anzano insieme. Quanto alle mie aspettative, personalmente non mi piace fissarmi obiettivi, perché se si pensa a se stessi prima che alla squadra, allora conviene andare a giocare a tennis anziché a calcio. In generale mi piacerebbe tagliare il traguardo dei 250 gol, ma la cosa più importante deve essere divertirsi e far divertire la società che ha investito tanto per costruire questa squadra e deve essere giustamente ripagata degli sforzi”.

Silvia Alabardi

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