Il calcio. Generalizziamo: il sogno di qualsiasi bambino. Poi, per carità, esistono gli altri sport e nella vita c’è molto altro, ma in Italia l’amore per il mondo del pallone tocca da sempre vette altissime e smuove più di qualsiasi altra cosa la passione delle persone.

C’è di più, dicevamo, perché non tutti (anzi, pochissimi) possono trasformare quel sogno in realtà. E, allora, il calcio può restare una passione da coltivare, ma va affiancata da un lavoro che diventi parte integrante e appagante della propria vita. Se l’attività lavorativa è poi legata al mondo del calcio e alla propria altra grande passione, allora tanto meglio e questo è proprio ciò che sta facendo Emanuele Antonio Mongelli.

Il centrocampista classe ’01, figlio del “Monge” (storico e appassionato tifoso del Varese che ogni estate fa sentire la sua voce in merito alle ambizioni biancorosse), continua a far parte attivamente del mondo calcistico provinciale e ha iniziato la stagione con la maglia del Caesar nel Girone X di Seconda Categoria, ma sta per compiere il primo grande passo della sua vita lavorativa che lo porterà per un paio di mesi a Tirana, in Albania.

“Nella vita – spiega Mongelli – bisogna trovare il coraggio di fare delle scelte: io ho fatto la mia e sono pronto a scoprire con entusiasmo dove questa mi porterà. Lunedì prossimo (6 novembre, ndr) partirò per l’Albania e, salvo una settimana a Vienna per una convention, starò due mesi lontano da casa per gettare le basi della mia carriera lavorativa”.

Procediamo con ordine, però, perché prima di questo passo c’è stata una lunga carriera, che prosegue tutt’ora, a prendere a calci il pallone.
“Diciamo che abitando a due passi dall’Ossola e con papà che è leggermente tifoso del Varese (ride, ndr) non potevo non innamorarmi io stesso di questo sport. A cinque anni e mezzo ho iniziato a giocare proprio al Varese e in biancorosso cono cresciuto fino ai quattordici anni: è stata un’esperienza di vita fantastica che mi ha formato come persona e come sportivo. Dopo il fallimento sono andato al Mendrisio, ma in Svizzera noi italiani non sempre siamo visti di buon occhio e sono dunque tornato in Italia a diciassette anni passando al Morazzone”.

In rossoblù c’è stata una tua prima grande “svolta” a livello personale, dico bene?
“Assolutamente sì, e il merito è di Marco Dallo. All’apparenza può sembrare rude, ma è una persona speciale di gran cuore che se vede impegno ti dà tanto. Io ho dato tutto me stesso per il Morazzone e sono stato ricambiato alla grande, migliorando sotto tutti i punti di vista: Dallo ha lavorato sul mio carattere un po’ lamentone, e da lì non ho mai più preso un cartellino rosso (sorride, ndr). Dalla Juniores alla Prima Squadra è stata una bellissima avventura, rovinata purtroppo dal Covid e da un infortunio ai legamenti e al tendine del polso”.

E poi?
“Poi sono ripartito dal Lonate Ceppino, altro ambiente a cui devo dire grazie perché mi sono davvero divertito tanto. Purtroppo uno strappo mi ha distrutto l’annata scorsa e, considerando che era il mio terzo infortunio grave dopo essermi fatto anche il menisco a Mendrisio, ho seriamente pensato di smettere. In estate, però, è arrivata la chiamata di Matteo Fortunato (DS del Caesar, ndr): mi è bastato parlare con lui per una mezzora abbondante per cambiare idea e rimettermi in gioco dalla Seconda Categoria. Mai scelta fu più azzeccata perché al Caesar ho trovato un posto speciale: più si scende più si respira la passione per il calcio. Non sono mai stato così bene in uno spogliatoio, “Birra e Caesar” è il nostro motto, e tutti, dal primo all’ultimo, mi hanno accolto e supportato pur sapendo che a inizio novembre sarei partito”.

Prima di aprire questa parentesi, commentiamo l’inizio della stagione del Caesar. Campionato al momento al di sotto delle aspettative, l’esonero di Fusco lo dimostra, ma la squadra è in risalita. Come l’avete vissuta da dentro lo spogliatoio?
“L’esonero di mister Fusco è stato un po’ un fulmine a ciel sereno perché, pur facendo parte di questo mondo da tre mesi, ho subito percepito quanto ci tenesse e quanto abbia lottato per il Caesar. Purtroppo l’inizio del campionato non ha rispettato quelle che erano le nostre aspettative, ma sono certo che mister Baj troverà un gruppo eccezionale che potrà competere per l’obiettivo minimo prefisso dal pres. Cesare Orlando, ovvero i playoff. La squadra è forte, già nelle ultime partite siamo rinati con sette punti, e proprio ieri sera ho avuto modo di conoscere il nuovo allenatore: si è presentato nel migliore dei modi, facendo a tutti una buonissima impressione, e ha subito detto di non voler stravolgere quanto fatto finora ma di volerlo implementare. Per il Caesar si aprirà ora un nuovo campionato”.

E tu? Parlaci un po’ della genesi della tua “particolare” attività lavorativa.
“Durante il periodo del Covid ho iniziato a guardarmi intorno per capire se esistesse un lavoro in grado di accomunare le mie due grandi passioni, il calcio e i viaggi. Il mio amico Lorenzo, casualmente, mi ha proposto un modello di business che esiste da anni ma che è sempre visto con scetticismo: il Network Marketing. La cosa è morta lì, finché recentemente, insieme ad un altro mio amico, Vilson, mi sono deciso a partire. In cosa consiste il network marketing? È un modello di business basato sulla condivisione e costruzione di reti: le persone diventano distributori, vale a dire venditori indipendenti dell’azienda ch provano e vendono prodotti e/o servizi guadagnando una commissione”.

Qual è il vantaggio e qual è una tua giornata tipo?
“Il network marketing è un’opportunità di business flessibile che ti aiuta a crescere personalmente, permea le tue abilità di leadership e, soprattutto, premia la meritocrazia. Ogni giorno mi sveglio alle 7.00, vado in palestra per rimanere in forma, poi studio la giornata lavorativa aggiornandomi su ciò che succede nel mondo e/o sviluppando nuove conoscenze. Dopo pranzo mi metto al lavoro senza un orario di fine, perché non si stacca mai senza aver raggiunto l’obiettivo minimo di giornata. Poi dopo cena leggo sempre un capitolo di un libro formativo, aggiorno l’agenda con gli appuntamenti dei giorni successivi e vado a letto carico per una nuova giornata”.

Come mai l’Albania?
“Qui ho già una vita costruita, ma è tempo di staccarmi dalla mia routine e dalle relative, passami il termine, distrazioni. Il nostro sogno è quello di conoscere nuovi paesi in cui portare la nostra fede calcistica e a Tirana creeremo per la prima volta qualcosa di concreto sviluppando al 100% il set-up della nostra vita futura. In questi due mesi getteremo le prime basi per diventare networker, dei free lance che tramite il proprio lavoro possano poi spostarsi in tutto il mondo. Il mio obiettivo non è creare una rete di network gigantesca, ma una decina/quindicina di collaboratori stretti con cui condividere la passione per il calcio e i viaggi”.

Come hanno preso questa scelta i tuoi genitori?
“Fino a pochi giorni fa ho lavorato con mo padre per la Hometech S.r.l. che è un’azienda specializzata nella realizzazione di quadri elettrici in edifici o in altre opere di costruzione. Per alcuni lavorare in famiglia è un agevolazioni, per altri è una pressione; dal mio punto di vista non era né l’una né l’altra, ma mi è sembrato giusto staccarmi per intraprendere la mia strada. Papà l’ha presa molto bene perché ha apprezzato il mio spirito di iniziativa e la mia voglia di intraprendere una nuova strada; mamma è più scettica, non lo nego, ma ha capito quanto sia importante per me”.

Chiudiamo tornando a parlare di calcio: segui ancora il Varese? Cosa vuoi dire al Caesar?
“Purtroppo mi sono un po’ disinnamorato del Varese, ma la fede biancorossa sarà sempre integrante della mia famiglia e io stesso avrò sempre il biancorosso tatuato sulla mia pelle. Al Caesar dico in primis grazie per questi mesi passati insieme e poi faccio ai miei compagni il più grosso in bocca al lupo: abbiamo dimostrato di essere una grande squadra e sono certo che continueranno a dimostrarlo da qui a Natale raccogliendo ottimi risultati. Poi, al mio ritorno, ci vedremo per l’immancabile birra!”.

Matteo Carraro

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