Nella vita, e molto più spesso nel calcio, capita di imbattersi in personaggi senza mezze misure: o li ami o li odi. E le cose che fanno propendere per una o per l’altra scelta di solito sono la personalità, il carisma e il fatto di mantenere fede a sé stessi anche nei momenti di maggiore difficoltà. Ecco perché quando a Varese si parla di Giuseppe Puleo, la platea di tifosi e addetti ai lavori finisce inevitabilmente per dividersi tra chi non condivide i metodi e la personalità del tecnico e chi invece del suo spirito da trascinatore ne ha apprezzato ogni singolo gesto.

Non fa eccezione l’ultima vicenda che ha visto coinvolto l’allenatore siciliano, ossia quella rinuncia alla panchina della Sestese dopo la salvezza conquistata lo scorso anno, che ha destato particolare scalpore. Ebbene, ecco che dopo settimane di silenzio è proprio nel giorno del suo compleanno che insieme a mister Puleo siamo andati a ripercorrere quelle che sono state le motivazioni dell’addio, dando uno sguardo anche al futuro.

Sei sempre stato un mister e una persona molto diretta, per cui senza troppi giri di parole ti chiedo subito: cosa è successo nelle tue ultime settimane a Sesto?
“Inizialmente la cosa che mi ha fatto più soffrire è stata la mancata riconferma degli 8/9 giocatori della passata stagione che avevo chiesto. Come ho spesso detto, per me prima c’è l’uomo e poi il calciatore: i profili di cui avevo chiesto la conferma non solo erano ottimi calciatori, ma soprattutto erano delle grandi persone, perché in un momento difficilissimo della passata stagione mi hanno accolto e hanno saputo combattere per raggiungere la salvezza. Loro erano essenziali per il nuovo progetto che avevo in mente, tuttavia non sono stati confermati dal nuovo DS Merlin. Qui è iniziata la prima crepa, però sono andato avanti perché ho pensato che ci sarebbero comunque stati dei nuovi investimenti per il rafforzamento della squadra”.

I punti di rottura però non sono finiti qui immagino. Com’è andata poi avanti la vicenda?
“La seconda causa sono state le nomine dello staff tecnico, non di mia scelta, ma della società. Con il nuovo staff non c’era la stessa idea metodologica: con questo non voglio dire che la mia idea sia più giusta o meno, questo non spetta a me dirlo, ma semplicemente combaciare due filosofie così diverse era molto difficile. La sensazione, con Merlin, Improta e gli altri membri dello staff, è che si stava ricreando a Sesto lo stesso gruppo presente a Varese un paio di anni fa, ed io ero un po’ l’unica eccezione”.

L’arrivo in panchina di un altro ex Varese come Melosi sembra confermare questa tesi…
“Forse sì, ma su questo non discuto. È normale che un DS si porti dietro gli allenatori con cui si è trovato meglio. Alla fine, visto tutto ciò, ho preferito farmi da parte, perché non ero più in un ambiente in cui sentivo la fiducia necessaria per poter lavorare al meglio, soprattutto per quel che riguarda la routine settimanale. Se un mister non sente la fiducia non può lavorare, ogni idea nuova verrebbe vista come un azzardo, e alla fine si cercherebbe sempre la strada più semplice che però non sempre è quella giusta”.

Una cosa su cui molti ti hanno rimproverato è stata la tempistica di questa decisione, arrivata ad un giorno dall’inizio della preparazione. Come mai la tua scelta è giunta solo in quel momento?
“È vero, qualcuno mi ha rimproverato sulla tempistica, però anche qui voglio fare chiarezza. L’ultimo colloquio che con staff e dirigenza che mi ha fatto capire che non c’erano i presupposti per affrontare la stagione io l’ho avuto nella giornata di domenica 30 luglio, per cui la scelta è avvenuta il giorno dopo, alla vigilia dell’inizio del ritiro. Come ho detto, la mia è stata una decisione molto sofferta, ma arrivata con il massimo rispetto per la Sestese e per la proprietà che sta spendendo risorse ingenti per allestire la squadra”.

Dalla voce un po’ di rammarico si sente. Ti saresti aspettato un finale diverso dopo quello che era stata la passata stagione?
“Dopo quello che si era creato sì, non nascondo che mi sarei aspettato di più. In Italia purtroppo non è facile puntare forte sui giovani, non intendo solo per gli allenatori, ma in generale, perché è un fatto culturale: nei posti di potere abbiamo bisogno di gente di esperienza. Negli altri Paesi questo non succede, in Germania, così come in Spagna, se sei meritevole a 25 anni sei già ad allenare anche in una Serie B”.

A prevalere è quindi il rammarico oppure la soddisfazione per quanto di buono sei riuscito a costruire in nemmeno 12 mesi?
“Sicuramente la seconda. Apro questa risposta ringraziando il direttore Moffa e la famiglia Morello: sono figure speciali per cui ci sarà il mio ringraziamento perenne, perché dagli Allievi Élite sono passato alla Prima Squadra e solo chi ha allenato può sapere quanto questo possa essere ambizioso, difficile ma davvero gratificante. Il tutto andando a sostituire un maestro di calcio come Giorgio Dossena, per cui da esordiente sono estremamente orgoglioso di quanto fatto; anzi, penso non ci sia stata la giusta risonanza. Nelle ultime partite abbiamo affrontato Pavia, Solbiatese, Club Milano, Oltrepò e Magenta, tutte squadre di vertice con cui a detta di molti partivamo già spacciati. A Pontelambro abbiamo mantenuto l’1-1 nonostante la doppia inferiorità numerica ed nel ritorno in casa abbiamo dominato in quella che era la partita decisiva della nostra stagione. A questo aggiungo anche la non scontata salvezza con gli Allievi nel campionato Élite; per quel che mi riguarda la soddisfazione per il lavoro fatto non manca affatto”.

Immagino che dal momento della notizia il telefono abbia iniziato a squillare con insistenza. Hai già qualche movimento per la tua prossima panchina?
“La cosa che mi ha fatto riflettere e gioire allo stesso tempo è che dopo otto ore avevo ricevuto già 7/8 telefonate che mi hanno riempito di soddisfazione. Ci tengo a precisare che ora io sono libero: con la Sestese non avevo firmato nessun vincolo, per cui non ho problemi contrattuali che mi impediscono di prendere un nuovo incarico. Tornando a noi, naturalmente tutte le panchine che mi interessano sono occupate, però tutti quegli attestati di stima e di approccio per una possibile entrata in corsa mi hanno fatto molto piacere. Al momento aspetto solo la chiamata giusta, non mi importa la categoria ma il progetto, che sia importante e pronto ad accogliermi per l’allenatore che sono”.

Si prospetta quindi una stagione in cui ti toccherà entrare in corsa. Quando cambia per te questo rispetto ad una stagione in cui parti da agosto a lavorare con la squadra?
“Tutti mi riconoscono di essere un grande motivatore, quindi credo che una mia entrata in un gruppo presumibilmente scarico di autostima possa fare la differenza. Non lo nascondo, non vedo l’ora di ricevere la chiamata giusta che mi porti a risollevare un ambiente in difficoltà, perché penso che un allenatore con le giuste corde possa portare a risultati fantastici. Certo, partire dall’inizio ti consente di costruire la squadra e farla giocare con i tuoi dettami tattici, però subentrare ti porta a lavorare di più sull’aspetto mentale e motivazionale, una cosa che non hanno in molti, ma che penso sia uno dei miei pregi”.

Per chiudere, non mi sono dimenticato del tuo compleanno. Per cui ti chiedo quale vorresti che fosse un regalo per la tua carriera?
“Il mio desiderio è far capire alla gente che quando proclamo per il mio futuro cose grandissime non lo faccio per superbia, ma perché sono mosso da una grandissima fede. Da quando sono nella provincia di Varese sento come la mia ambizione sia vista come superbia, il fatto di aver lasciato il mio posto fisso è visto più come una pazzia e non come un atto di coraggio, quando invece un allenatore per me deve essere mosso proprio dal coraggio. Io penso in questi anni di aver dimostrato di avere coraggio da vendere, e il regalo più grande che desidero è che mi si giudichi solamente per quello che faccio in campo”.

Francesco Vasco

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