Katia sta sempre dietro le quinte, ma è forse quella che ci mette più cuore di tutte”. Con queste parole mister Andrea Bottarelli ha presentato la sua vice Katia Ferrario, attribuendole il compito di inaugurare (dopo la presentazione di Claudio Vincenzi) la lunga serie di interviste stagionali del Città di Varese femminile.

E lei ha risposto con un sorriso all’invito del tecnico, iniziando a spiegare il motivo del suo stare dietro le quinte. “Di mio sono molto timida e pertanto fa parte della mia indole lavorare in sordina. Vivere uno spogliatoio non è mai facile, va detto, e nella mia carriera ho imparato che a volte è meglio prendere le ragazze in disparte, parlarci, scherzarci e tirar fuori qualcosa per spronarle a far meglio. Poi l’apertura in gruppo arriverà con il tempo: diciamo che a volte il mutismo dello spogliatoio può mettere ansia, e lavorare su questo aspetto è fondamentale per costruire un team vincente”.

Il Varese è già una squadra vincente?
“Iniziamo subito con le domande facili (sorride, ndr). Diciamo che siamo in costruzione. Questo è per noi una sorta di anno zero perché, pur mantenendo lo zoccolo duro del gruppo, abbiamo perso i tanti gol di Cecilia Cavallin, che domenica era qui a vederci e a cui auguro il meglio; di contro abbiamo aggiunto parecchie pedine, cambiato modulo e ci stiamo ancora assestando. A volte le ragazze faticano a tirar fuori la grinta e questo aspetto è palese nell’approccio al match, da sempre il nostro tallone d’Achille che a volte ci costa dei blackout clamorosi. Il bello di questa squadra, però, è che nonostante tutto, magari dopo qualche bel cazziatone, trova la forza di tirarsi fuori: sono di parte, lo ammetto, ma credo sia davvero bello vederci giocare e vedere la passione di questo gruppo”.

A prescindere da ci, possiamo comunque dire che la stagione sia iniziata con ben altre aspettative rispetto al passato?
“Sicuramente sì, anche solo per il fatto che la società è ripartita con grandi progetti e noi stesse avvertiamo un bel senso di responsabilità. Oltretutto, la costante presenza di Nicla (Grizzetti, ndr) è un ulteriore stimolo a dare il massimo: vederla così partecipe è fantastico, anche perché non capita spesso di vedere una proprietà così vicina alla squadra. Venendo al campo, abbiamo sei punti, ma siamo ben consapevoli che avremmo potuto averne 7 o 9: il giro a vuoto casalingo contro il Fiamma Monza è la dimostrazione del discorso precedente, visto che abbiamo pagato un primo tempo davvero sottotono”.

Se è così semplice individuare il problema, perché è così difficile risolverlo?
“Bellissima domanda, e mi ricollego al discorso precedente: anche noi siamo un cantiere (con la mano indica i lavori alle Bustecche,ndr) e, ben consapevoli di un problema che ci portiamo dietro dallo scorso anno, siamo al lavoro per risolverlo. Sicuramente le defezioni d’organico di questo periodo, tra qualche acciacco e squalifica che ci portiamo dietro dalla passata stagione, non aiutano, ma vedendo le ragazze allenarsi non ho dubbi: con queste basi e uno staff così scrupoloso potremo toglierci grandi soddisfazioni. Credo che il lavoro quotidiano, fisico e mentale, ci aiuterà ad uscire da questo loop”.

Come si sono inserite le ragazze nuove nello spogliatoio?
“Essendo arrivate a scaglioni, tutte hanno avuto modo di inserirsi gradualmente: chi prima e chi dopo, tutte si sono integrate e stanno remando fin da subito nella stessa direzione. Per quanto mi riguarda, e torno alla mia timidezza, all’inizio sono stata in disparte; poi io tendo ad affibbiare ad ognuna dei nomignoli e ci ho provato anche con le nuove, sperando in una reazione positiva. Così è stato e ora ogni giorno va sempre meglio. Anzi, noto con piacere che aumentano gli scambi di idee, le sane punzecchiature e la metafora del cantiere restituisce appieno il nostro essere: siamo in costruzione e vogliamo costruirci al meglio”.

Mister Bottarelli ha parlato di “cuore” riferendosi a te. Per quale motivo?
“Perché sono una donna e quindi posso capire cosa frulla nella testa di una ragazza. Il calcio è sempre stato lo sport degli uomini: entrare in questo mondo e affermarci è ancora una missione difficilissima. Vedo però ogni giorno ragazze, soprattutto le più piccole, che danno tutto ciò che hanno per inseguire il proprio sogno, e questo è uno stimolo enorme che mi scalda il cuore. Un messaggino la sera o la giusta parola nei momenti difficili possono davvero la differenza”.

Visto che ancora oggi è così difficile affermarsi in un mondo tradizionalmente a trazione maschile, cosa ti porti dalla tua carriera sul campo?
“Mi porto la cultura del sacrificio e l’importanza dell’aspetto umano. Ho iniziato a giocare a 12 anni a Marchirolo e noi ragazze indossavamo divise grandi quattro volte la nostra taglia; in molte realtà se si doveva rinunciare a qualcosa si rinunciava in primis a noi. Oggi, fortunatamente, è diverso: qui a Varese sentiamo di essere importanti, la società è sempre presente e ci spronano a fare sempre meglio”.

Malgrado le ovvie difficoltà, non sono per mancate le soddisfazioni da giocatrice; o sbaglio?
“Sbagli! Un medianaccio come me… (ride, ndr). Scherzi a parte ammetto che me la sono goduta. Dopo Marchirolo avevo smesso qualche anno per poi riprendere all’Alto Verbano con uno schema complicatissimo: recuperare palla e passarla alla più forte (ride ancora, ndr). Da lì ho avuto la fortuna di andare al Lugano che, mi duole dirlo da italiana, è anni luce avanti a noi per quel che riguarda il calcio femminile. Purtroppo, non sapendo usare il sinistro e pagando un importante gap fisico, non ho avuto modo di giocare tantissimo, anche se i miei 7’ in Coppa Svizzera li ho giocati, ma mi sono portata quell’esperienza alle Azalee dove ho vissuto tre anni bellissimi. Idem al Gravellona, con cui ho vinto la Serie D conquistando l’accesso in Serie C. La mia carriera sul campo si è poi chiusa a 7 al Gazzada: il mio ginocchio non era più quello di un tempo”.

Si è però aperta un’altra bellissima parentesi.
“Sì, al Torino Club, dove ho allenato a 5. È sicuramente stata un’esperienza formativa e stimolante che mi ha spinto a proseguire al Gazzada dove, purtroppo, complice il Covid il progetto è andato via via spegnendosi. Il Varese mi ha però contattata e non ho avuto dubbi. Qui ho trovato l’ambiente giusto per crescere professionalmente, ho frequentato corsi da allenatore ho imparato a dar sempre più valore all’aspetto umano”.

Cosa significa per te essere al Varese?
“Ho sentito parlare del Varese per la prima volta quando ero piccola da mio padre, grandissimo cuore biancorosso da sempre. Dal canto mio, però, sia allora sia crescendo non avevo mai dato tanto peso al significato “Varese”: pensavo che, pur essendo la squadra della città, farne parte equivalesse al giocare o allenare da un’altra parte. Adesso che sono qui mi rendo conto di quanto mi sbagliassi: Varese è un mondo a sé, si avverte il peso della responsabilità di ciò che si fa e tutto questo… è semplicemente bellissimo”.

Come descriveresti il tuo Varese?
“Direi che la squadra mi stupisce ogni volta, nel bene o nel male (sorride, ndr). Queste prime partite ci hanno insegnato molto e mi godo la mia crescita, in parallelo a quella delle ragazze. Obiettivo? Punto in alto: possiamo arrivare fra le prime tre, ben consapevoli di come ci sarà da lottare e sudare in ogni campo. Il Lesmo è sulla carta un paio di grandini avanti, ma poi ci sono tante squadre pronte a giocarsela. Noi dovremo essere tra quelle. Il cantiere, prima o poi, smette di essere tale”.

Matteo Carraro

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